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Cibele, gli open world e la narrazione nei videogiochi

Cerchiamo di capire come funziona la narrazione nei videogiochi partendo dal piccolo Cibele

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   05/01/2016

Ultimamente ci è capitato di provare un videogioco minimale in termini di contenuti, ma interessante per ciò che propone a livello narrativo. Stiamo parlando di Cibele di Nina Freeman, titolo fuori dai radar delle grandi pubblicazioni che ha però ottenuto diversi riconoscimenti dalla scena indipendente.

Cibele, gli open world e la narrazione nei videogiochi
Cibele, gli open world e la narrazione nei videogiochi

Guardandone le immagini o leggendone la sinossi è difficile rendersi conto di che cosa si tratti. Si apprende che è una storia d'amore e sesso di una diciannovenne ai tempi di internet, ma non si va molto oltre. In verità la trama non è nemmeno troppo interessante o elaborata, visto che non presenta grossi colpi di scena o situazioni inedite. Allora perché parlarne? Perché si tratta di uno di quei rari casi in cui il racconto viene costruito attraverso i soli mezzi espressivi del videogioco e non sarebbe possibile proporlo negli stessi termini se tradotto nel linguaggio di in un altro medium. Quando avviamo Cibele ci ritroviamo a guardare il desktop del PC di Nina, la protagonista. Aprendo le cartelle e avviando i file che ospita possiamo leggere le sue email, altri testi e guardare le sue foto; immagini di una ragazza come tante al primo anno di università. Scopriamo anche che sta vivendo un intenso scambio di messaggi con un ragazzo conosciuto su un MMO. Dopo aver concluso la revisione di tutti i file possiamo lanciare l'MMO galeotto per far proseguire il racconto al suo interno. Qui capiamo finalmente cosa rende Cibele speciale: la Freeman non ci sta raccontando una storia, ma ce la sta facendo rivivere esattamente dal suo punto di vista, ricostruendola sullo schermo come l'ha vissuta ella stessa. Chiariamo: l'MMO di Cibele, che in pratica non è nemmeno un MMO ma la rappresentazione di un MMO, è bruttino, anche noiosetto nella sua ripetitività. Ma non è questo il punto visto che a contare è principalmente la sua funzione di luogo d'incontro tra l'avatar di Nina e l'avatar del suo amante virtuale che, mentre ammazzano mostri e boss, flirtano e cercano di conoscersi chiacchierando. Anche in questo caso la mediazione di terzi è minima e il racconto si sviluppa tutto all'interno del videogioco nel videogioco, come prima era emerso dai file del desktop. In Cibele non c'è nessuna forma di narrazione diretta, a parte alcuni brevi filmati d'intermezzo che legano i diversi capitoli. Eppure la figura dell'autrice emerge con una forza che non si trova in titoli che pure sfruttano tecniche narrative più classiche e, in un certo senso, controllate. Cerchiamo di capire perché prendendola da molto lontano.

Partendo da Cibele di Nina Freeman, parliamo di narrazione e videogiochi in questo ricco speciale.

Lascia che ti racconti

Cibele, gli open world e la narrazione nei videogiochi

Nei videogiochi la narrazione può rappresentare un limite, soprattutto se non si ha a disposizione la completa libertà di plasmare il gameplay intorno ad essa. I videogiochi non narrano allo stesso modo di film o libri e hanno forme retoriche molto peculiari, rintracciabili nel rapporto che intercorre tra il videogiocatore, le interazioni che è chiamato a compiere e gli output che ne ottiene. Le forme classiche del raccontare possono diventare un peso se gestite malamente o se forzate in un tessuto ludico che le tollera con difficoltà. Ce ne stiamo rendendo conto in particolare in questi ultimi anni per via della maggiore diffusioni di titoli open world, che offrono problematiche particolari a cui ancora non è stata trovata una soluzione concreta. Attualmente non esiste un videogioco open world in grado di proporre una narrazione coerente dall'inizio alla fine. Forse solo la serie Mafia ha cercato di ovviare, lavorando per privazione, ma ha finito per essere criticata aspramente proprio per questo motivo. Parlando di coerenza in questo caso non ci riferiamo solo alla mera logica del racconto, ma alla concordanza di ciò che viene raccontato con le azioni del giocatore. Facciamo qualche esempio partendo da titoli celebri per rendere più chiaro il concetto. Vi avvisiamo che da qui in poi ci saranno delle anticipazioni sulle trame dei giochi citati. Se non volete averne non leggete oltre.

L’urgenza di essere Geralt

"Mondo aperto" significa tutto e nulla. Negli anni recenti è si identifica questo particolare modo di strutturare un videogioco con il modello Grand Theft Auto: ossia il mondo di gioco viene trasformato in un grosso luna park in cui il giocatore può scegliere di svolgere diverse attività. Corse, prove di resistenza, mini-giochi vari e così via. Tra queste c'è anche la "storia principale", che però viene trattata alla stregua di tutte le altre, ossia viene ridotta a un punto di interesse sulla mappa accessibile in qualsiasi momento.

Cibele, gli open world e la narrazione nei videogiochi
Ciri, verrò a salvarti, ma solo dopo aver raccolto tutti i forzieri sparsi per il vasto mare
Ciri, verrò a salvarti, ma solo dopo aver raccolto tutti i forzieri sparsi per il vasto mare

Non è difficile rendersi conto di quanto un'impostazione simile sia castrante per raccontare una storia, visto che l'autore finisce per non avere nessun controllo non tanto sugli eventi, quanto sui tempi della narrazione in relazione con le altre attività. Prendiamo The Witcher 3: Wild Hunt di CD Projekt RED. Le ultime avventure di Geralt non sfuggono dallo schema Rockstar e oltre a seguire la storia che lo porterà a confrontarsi con la Caccia Selvaggia, il giocatore è libero di esplorare le tre mappe che compongono il mondo di gioco per accumulare esperienza, soldi e bottino. Purtroppo questa libertà è foriera di situazioni narrativamente inconsistenti. Ad esempio seguendo la storia principale Geralt dovrebbe sentire una certa urgenza di svolgere il suo compito, ossia ritrovare prima Yennefer, la donna che ama, e poi Ciri, la sua allieva prediletta. Le sequenze narrative passive (filmati, dialoghi) chiariscono senza fraintendimenti il suo volere, ma lo stesso non trova nessun corrispettivo in termini di meccaniche di gioco. Esplicitiamo meglio: una volta conclusa una parte dell'attività "storia principale", non c'è nessuna leva che spinga il giocatore a desiderare di farla proseguire subito, come ad esempio un timer o una concatenazione di eventi che se non seguita comporterebbe dei malus. Di fatto gli viene permesso di entrare in contrasto con quelli che sono i desideri del personaggio che sta guidando, svuotando le sue azioni del senso che la narrazione pretenderebbe di attribuirgli. Sia chiaro che non si tratta di un problema del solo The Witcher 3, ma riguarda tutti gli open world attualmente sul mercato: in generale i sistemi di gioco non fanno alcuna pressione sul giocatore per spingerlo allo svolgimento dell'attività narrazione, facendo perdere consistenza al racconto, che finisce per fluttuare nel tessuto del gameplay. In questo modo per gli sviluppatori diventa anche difficile gestire alcuni eventi fissi che servono per far progredire la storia.

La vita spezzata di Snake

Le difficoltà offerte da questo approccio sono evidenti in alcune scelte di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. Il titolo di Kojima Productions ha una progressione molto libera, in cui il giocatore può scegliere non solo il modo in cui affrontare le varie minacce, ma anche quale equipaggiamento sviluppare. Il sistema funziona alla perfezione finché non ci si trova di fronte a dei veri e propri colli di bottiglia narrativi, che hanno costretto il team a una scelta drastica quanto disperata: spezzare in due alcune sequenze della storia dividendo i combattimenti contro i boss dal resto del racconto.

Cibele, gli open world e la narrazione nei videogiochi

Il motivo è semplice: si tratta di scontri difficili e potrebbe darsi il caso che il giocatore ci arrivi impreparato, ossia che abbia con sé armi dalla potenza limitata o completamente inutili nella data situazione. Spezzando in due queste fasi gli si consente di riorganizzarsi. Ovviamente ciò che in termini di gioco ha un senso, non lo ha invece in termini puramente narrativi. Così quando l'elicottero con a bordo Snake e Code Talker viene abbattuto dagli sgherri di Skull Face ci si ritrova in una specie di paradosso temporale in cui prima dello scontro a terra si possono svolgere altre attività, anche per diverse ore, nel caso si voglia o, peggio, sia necessario potenziare Snake. Lo stesso accade quando bisogna affrontare il Sahelanthropus alla fine del primo capitolo. Insomma, possiamo fuggire dalla continuità narrativa, facendo affrontare la stessa sequenza a due personaggi differenti, magari vestiti in modo diverso, come se ci si possa cambiare d'abito mentre si sta precipitando a bordo di un velivolo. In termini strettamente retorici si tratta di una dichiarazione di impotenza del team di sviluppo, con la voce narrante implicita che afferma l'impossibilità di gestire quella determinata sezione e la divide d'imperio per non rischiare un blocco. Una debolezza manifesta del ruolo autoriale, che comprime la volontà di raccontare e la costringe al compromesso. Sembra come se si tentasse di far accoppiare due specie incompatibili.

Accordi e dissonanze

Volendo sarebbe possibile fare molti altri casi di open world che presentano forti inconsistenze narrative. Ad esempio gli Assassin's Creed, oppure Watch Dogs, o lo stesso Grand Theft Auto V, ma anche Fallout 4, Skyrim e così via. Ovviamente ci sono molti casi anche tra i non open world che però esulano da questo speciale (se ci allarghiamo troppo finiamo per scoppiare, come la rana della favola). Purtroppo l'impostazione luna park non permette di sfuggire facilmente al problema, che è insito nella loro stessa struttura. E qui possiamo tornare al piccolo Cibele e alla figura dell'autrice/autore. Nei giochi sopra citati la figura dell'autore, o se vogliamo di colui che dirige la narrazione, sembra essere quasi un peso. Una storia deve esserci ma viene gestita come una parte del tutto, per quanto molto importante.

Cibele, gli open world e la narrazione nei videogiochi

Si tratta di un inserto in quello che è il vero fulcro dell'esperienza che viene proposta, ossia la riproduzione plastica di un intero pezzo di un mondo immaginario descritto nei suoi diversi aspetti. Le cose da fare vengono inserite in una fase successiva e sono, o diventano, sempre strumentali alla descrizione. Cibele, e in realtà molti altri titoli (ad esempio SOMA, ma anche Dear Esther o The Stanley Parable) mostrano invece un approccio completamente differente: la loro intera struttura gira intorno al racconto e le singole meccaniche nascono da esigenze strettamente narrative. Per fare un confronto banalissimo, il sistema stealth di Metal Gear Solid V funzionerebbe benissimo anche senza una trama, così sarebbe per il sistema di combattimento di The Witcher 3, mentre il desktop di Nina in Cibele ha bisogno di quella storia in particolare per assumere un senso. Badate bene che non stiamo dando giudizi qualitativi o stabilendo gerarchie. Non per niente chi scrive considera The Witcher 3 e MGS V tra i giochi dell'anno. Stiamo solo affermando che la narrazione tradizionale per trovare una sua coerenza in un videogioco richiede sacrifici e un approccio dedicato. Magari in un altro speciale discuteremo di come alcune tecniche narrative ancora usatissime, appaiano mal applicabili al tipo di videogiochi che vanno per la maggiore. Spesso ci si trova a vivere le sequenze di racconto come pezze messe lì da qualcuno che deve confezionare per forza un prodotto in un certo modo, ma non sa come fare. Comunque la nostra speranza non è che prendiate questo breve articolo come un qualcosa di definitivo sull'argomento, ma come uno spunto per approfondire la materia. Anche perché c'è davvero molto altro da dire e da scrivere. La narrazione è un argomento complesso soprattutto in un medium dalle ampie possibilità come quello videoludico, che permette l'inclusione di molte forme espressive differenti. Tutta sta nella volontà di capirne un po' di più.