È abbastanza bizzarro riscontrare nelle recensioni di un prodotto d'intrattenimento notevoli divari tra voti di pubblico e critica, ma non per i videogiochi. Questi sostanziosi gap di votazione, dove quelli dei giocatori sono più bassi rispetto a quelli dati dalle testate giornalistiche, sono un fattore abbastanza normale e tutto sommato accettato di comune accordo da entrambe le parti, ma a cos'è dovuto il divario? Vediamo di fare il punto su questa annosa situazione...
Voti di utenti e critica più diversi che mai: quale sarà il motivo?
Errata omologazione
Uno dei casi tra i più recenti ed emblematici è probabilmente rappresentato da Fallout 4 e dalla sua situazione su Metacritic, perché sul noto sito di votazioni i voti di pubblico e addetti ai lavori sono molto diversi: nella votazione PC, in particolare, la media della critica è di 84/100 basata su 38 voti ma quella dei giocatori è 5.4/10 su 6910 voti (dati raccolti il 15 aprile 2016). Stando a questi giudizi non sembra nemmeno si stia parlando dello stesso gioco, com'è possibile? Il problema probabilmente dipende dall'errata concezione che si ha del pubblico e dei suoi gusti. I videogiochi ormai fanno parte dell'intrattenimento di massa da oltre trent'anni e questo farebbe pensare ad un diverso target, ad un'evoluzione del giocatore medio ma il problema è proprio questo: il giocatore medio non esiste. Chiunque con un'età compresa tra i sei e i cinquant'anni è un potenziale giocatore e capite bene la vastità dello scenario che si viene a creare. Tutti però sono convinti di avere la soluzione: i reparti marketing sanno cosa i giocatori vogliono, le testate giornalistiche sanno ciò che il pubblico ama e odia e persino i giocatori sono perfettamente capaci di distinguere un vero gamer da un semplice casual.
Media e pubblico
Riferirsi spesso al pubblico usando termini come "i giocatori", "i fan" o "gli amanti di" appiattisce la varietà della stessa comunità che la compone e il continuo perpetrare di questi stereotipi impatta seriamente sul mondo delle recensioni, ma non solo.
Questa omologazione forzata dei videogiocatori, se ci pensiamo viene operata sia dai media del settore che da quelli al di fuori: avete mai fatto caso che non appena salta fuori un fatto di cronaca legato tristemente ai videogiochi, nei telegiornali i servizi parlano sempre al plurale usando termini come "i giovani videogiocatori" e appellativi simili? Abbastanza seccante, in effetti, ma sarebbe ipocrita ammettere che sono solo i media ad operare questo appiattimento del pubblico perché c'è molta poca tolleranza persino tra i videogiocatori stessi. Se termini come "i fan" e "i giovani videogiocatori" hanno ripercussioni abbastanza evidenti sulla comunità videoludica, anche frasi come "i veri gamer" sono altrettanto dannose. Con l'esplodere del trend mobile e l'ampliarsi del mercato si è creata un fetta sempre più intransigente di giocatori che credono di custodire l'ultimo baluardo di saggezza rimasto, arroccati dietro l'etichetta di "hardcore gamer". Ma da quando un giocatore con vent'anni di Word of Warcraft alle spalle è migliore di un appassionato di Call of Duty? Avrà forse più esperienza, ma questo non crea una gerarchia nella community, così come un giocatore professionista non ha il diritto nel ritenersi superiore rispetto a chi decide di non cimentarsi a livello agonistico nei videogames.
Effetto domino
La teoria dell'omologazione dei giocatori è quindi alla base del divario sempre più frequente delle votazioni di pubblico e critica. È comprensibile che aziende e testate si facciano certe domande sul pubblico, del resto parliamo di business, ma le risposte sono sempre giuste? Se da una parte i reparti marketing operano attraverso dati di vendita e ricerche di mercato, le testate giornalistiche hanno un lavoro ben più difficile perché si tratta di cercare uno schema plausibile di fronte all'immensità del pubblico. Come dicevamo la comunità mondiale dei gamer non è tutta uguale ma non solo per ovvie differenze riguardanti i contesti geografici e sociali di appartenenza, ma anche per le differenze di gusti e le diverse priorità su cui ognuno di noi basa i suoi giudizi.
Non si sa per quale motivo però pare che la critica abbia trovato alcuni punti topici nei gusti dei gamer e attraverso un tacito accordo con loro li abbia convertiti in metro di giudizio delle recensioni, convinti di sapere cosa il pubblico desidera; il rapporto durata/prezzo (a prescindere dalla qualità) o un discutibile comprato grafico a favore di una buona storyline, sono esempi abbastanza chiarificatori. Il problema è che pensare di sapere ciò che il pubblico vuole influenza in ogni caso una recensione e cercare di seguire questa coerenza di fondo a tutti i costi mentre si scrive, è un'operazione più deleteria che benefica, ecco perché alla fine i plausi della critica non riflettono l'opinione del pubblico. L'intento di questo editoriale non è certo puntare il dito e accusare, chiunque almeno una volta nella vita ha sottovalutato l'eterogeneità del pubblico e non è grave, però è anche vero che forse è arrivato il momento di abbracciare una filosofia nuova perché lo scopo non è semplicemente abbassare il gap di votazioni laddove persiste, ma cercare un nuovo metodo adatto al panorama contemporaneo... perché logicamente il problema non c'è solo quando il divario si manifesta, il problema c'è sempre, è solo in quei casi anomali che ce ne accorgiamo. Tornando all'esempio di partenza: chi ha apprezzato Fallout 4 e si trova in linea con la sua media Metacritic, probabilmente è un appassionato della serie, conscio di come sia il gioco ma sinceramente disposto all'investimento perché divertito dalle meccaniche di gioco e alla fine un discorso di questo tipo può essere esteso a tanti altri titoli. Ma tutti gli altri giocatori dove li mettiamo? Dove mettiamo i fan sfegatati che "volevano di più" o quelli che "non ho mai giocato a"?
Le possibili soluzioni
Da questo punto in poi tutto il discorso diventa molto personale e ognuno di voi probabilmente avrà la sua opinione. Una prima riflessione andrebbe fatta su coloro che le recensioni le scrivono e chi è veramente indicato per farlo, perché uno dei problemi è sicuramente rappresentato dal "chi", in questo caso l'appassionato che recensisce: è cosa buona e giusta che una recensione venga affidata ad un redattore con un background legato alla saga o al team di sviluppo, ma è anche vero che dall'altra parte ci vorrebbe un Grillo Parlante capace di aiutarlo a ridimensionare il punto di vista, una recensione scritta a quattro mani insomma, frutto di una mediazione che possa rappresentare l'eterogeneità dei lettori.
Da qui deriva anche una riflessione collaterale sullo standard che un gioco dovrebbe raggiungere per guadagnarsi una voto alto, perché se la recensione giusta è quella scritta da più teste, a rigor di logica il gioco perfetto deve poter soddisfare più tipologie diverse di giocatore... e trovare un titolo capace dell'impresa è quasi impossibile, e non è detto che sia per forza una cosa giusta. Il problema delle recensioni odierne è che vengono date in pasto al pubblico non solo viziate da un'idealizzazione da parte della critica dei gusti dei giocatori, ma scritte a prescindere dal pubblico di rifermento in questione. Ecco perché basterebbe semplicemente essere più chiari fin da subito specificando a priori a chi è rivolta quella recensione: provate a pensare quanto possa essere complicato spiegare ad un giocatore che non conosce Dark Souls e che in un'ora è morto trenta volte, per quale motivo quel gioco meriti un voto al di sopra dell'otto. Ovviamente il gioco merita il giusto trattamento e una recensione dignitosa, senza dimenticare che deve anche essere codificabile da chi lo sta leggendo, ragion per cui non si può più pensare di esprimere un giudizio univoco senza prestare la massima attenzione a chi lo leggerà. Questo non vuol dire creare mille recensioni diverse per ogni tipologia di lettore, ma semplicemente non dimenticarsi mai di specificare a chi si consiglia o sconsiglia il titolo in questione e quando ci si dimentica di farlo ecco che il compare il divario di rating da cui tutto il discorso è partito. L'ultima parola, come sempre, spetta al pubblico, ai lettori, agli acquirenti: quanto vorreste che i vostri gusti venissero tenuti in considerazione in una recensione?