Qualche giorno fa i principali franchise Blizzard si sono arricchiti di oggetti, di premi e di una speciale sorpresa dedicata ai giocatori di Diablo III, una sorpresa che è stata realizzata nel nome di una celebrazione importante ed è di quelle capaci di far scendere qualche lacrima sul viso dei più anzianotti. Stiamo parlando dei venti anni di Diablo, un titolo ormai leggendario che ha cambiato il volto del genere hack & slash grazie all'eccellente combinazione tra l'atmosfera cupa, le meccaniche di gioco e una dimensione cooperativa che per molti è stata la prima occasione per completare un gioco di ruolo al fianco di tre sconosciuti sparsi per il mondo. Tutti pregi che combinati assieme a molti altri dipendono dal lavoro di Condor Games, una software house che si è trasformata in Blizzard North portando i fratelli Shaefer e David Brevik nella vecchia Blizzard, quella più cupa e sanguinolenta che molti rimpiangono. Oggi quella compagnia resiste nei brand, in alcune tematiche e nei concept, ma quel piglio crudo con cui abbiamo imparato a conoscerla è sempre più diluito e non solo nell'estetica, sacrificato nel nome di un bacino d'utenza più ampio che ha già trasformato radicalmente numerose software house.
L'obiettivo, Blizzard, l'ha centrato in pieno, a partire da un MMORPG che è diventato simbolo del genere e rimasto in vetta alle classifiche per 12 anni, ma nel caso di Diablo III non tutto è andato per il verso giusto. Atteso per dodici lunghi anni, il gioco che ha scatenato l'ira dei puristi nei confronti di Jay Wilson è sceso in campo forte di un gameplay dinamico e avvincente ma appesantito da una lunga serie di problemi. Quelli più eclatanti sono dipesi dalla decisione di implementare un asta in gioco legata anche al denaro reale, un'asta che ha portato a ridurre all'estremo il tasso di ritrovamento degli oggetti leggendari e l'effettivo impatto di questi sul gameplay. Inoltre i giocatori si sono trovati di fronte a una difficoltà mal bilanciata, un'impostazione giocattolosa non particolarmente gradita a buona parte della vecchia guardia e un'evidente carenza di contenuti end-game che ha avuto un grosso peso quando, nonostante le buone vendite, la polemica ha investito una Blizzard che dopo qualche tempo ha addirittura deciso di riassegnare Jay Wilson a un altro incarico. Solo a quel punto Diablo III ha iniziato una trasformazione importante fatta di contenuti end-game, configurazioni ben differenziate, oggetti finalmente capaci di dare una marcia in più al personaggio e capaci di valorizzare un gameplay che anche nei momenti peggiori ha comunque convinto milioni di giocatori a spendere centinaia di ore alla ricerca di spade, asce, pantaloni, amuleti e via dicendo. Eppure, nonostante i cambiamenti importanti, alcune scelte iniziali gravano ancora sul gameplay di un gioco che nonostante le vendite non è riuscito a togliersi di dosso il marchio del capitolo debole, quello che non ha goduto del patrocinio dei ragazzi di Blizzard North. Ed è probabilmente per questo che Diablo III festeggia i venti anni della serie con una sorpresa speciale, un dungeon caratterizzato da un motore grafico pesantemente rimaneggiato per rievocare le origini di Diablo.
L'originale Diablo è tornato nel terzo capitolo della serie con un dungeon molto speciale
Un anniversario in grande stile
L'evento dedicato ai venti anni del leggendario Diablo ha contagiato buona parte dei titoli Blizzard con una pioggia di contenuti extra più o meno rilevanti. Starcraft si accontenta di poco, con il ritratto delle unità lavoratrici che si è trasformato in quello del Signore del Terrore e tornerà normale una volta terminati festeggiamenti. Segue Overwatch che ci propone qualcosa in più con un'icona giocatore e sei spray, dedicati però alle classi di Diablo III. In terza posizione c'è Hearthstone che compie un salto qualitativo e quantitativo netto con il Viandante Oscuro, un nuovo boss controllato dall'intelligenza artificiale che nasconde un segreto bovino. Heroes of the Storm, invece, ci regala una rissa in quel di Silver City che consente di guadagnare un nuovo ritratto a tema Diablo mentre, a chiudere i giochi, c'è l'immancabile World of Warcraft che ci porta addirittura nel livello delle mucche con tanto di oggetti speciali e imprese da sbloccare.
Nostalgia canaglia
Il regalo di Blizzard per l'anniversario di Diablo, purtroppo destinato a svanire a fine gennaio, rappresenta una vera e propria ancora di salvezza per una nona stagione che come la precedente è decisamente povera di contenuti. La piacevole sorpresa ci aspetta nel bel mezzo delle Vecchie Rovine ed è un portale che ci conduce nel bel mezzo della vecchia Tristram, riconoscibile benché trasfigurata da un evento nefasto. Ed è qui che, ripercorrendo il sentiero che molti di noi hanno già intrapreso venti anni fa, ci troviamo ancora una volta sulla strada per la cattedrale, diretti verso le profondità di un dungeon composto da sedici livelli che rispecchiano quelli del buon vecchio Diablo. Le differenze con il capostipite della serie sono evidenti ma di questo parleremo tra non molto. La prima cosa che ci teniamo a sottolineare è che pur non essendo particolarmente longevo o difficile, il nuovo dungeon può dare qualche soddisfazione a tutti, soprattutto se affrontato con un personaggio tutto nuovo. Partire dal primo livello, cosa facilitata dalla nuova stagione, è importante perché ci permette di ottenere un piccolo Macellaio da portarci dietro e, cosa ancora più importante, ci permette di assaporare un'esperienza che purtroppo non offre una sfida memorabile e si completa in poco più di un'ora. I livelli, comunque, salgono piuttosto rapidamente e l'uccisione del signore del terrore ci permette di ottenere una nuova gemma che si lega al finale di Diablo, piacevolmente incluso nel pacchetto celebrativo. Inoltre il bottino include oggetti inutili ma dalla forte carica nostalgica come il Valore di Arkaine, oltre a diverse ricompense legate a obiettivi che comprendono il ritrovamento di sette pagine reperibili massacrando cultisti in tutto Diablo III, una quest basata sulla leggendaria Gamba di Wirt e l'uccisione di tutti i quaranta mostri del dungeon che in alcuni casi compaiono casualmente costringendoci ad affrontare più volte la cavalcata verso Diablo. Parliamo, è chiaro, di extra totalmente rinunciabili, anche se mascotte come il Macellaio e il Vitello Reale fanno senza dubbio piacere, ma sono un semplice contorno del regalo più grande: la trasformazione visiva del motore grafico che punta a rievocare le atmosfere dei primi due capitoli.
Grafica tutta pixel, filtri e nuove animazioni simulano un motore grafico bidimensionale che rinuncia a buona parte della fisica di Diablo 3, ma ci ripaga con un fascino intramontabile, con un tipo di grafica che è vecchio ma non invecchia e non a caso funziona ancora. I dettagli dei modelli, è chiaro, si perdono tra le maglie dei pixel grossolani, ma lo stesso discorso vale per i difetti del motore grafico di Diablo III che si fanno sempre più evidenti con il passare del tempo. Per questo, paradossalmente, il look del terzo capitolo non risente in modo drammatico delle modifiche che rievocano fedelmente le atmosfere dei primi capitoli della serie, nonostante buona parte del materiale base, a partire dagli asset usati per i livelli, sia il medesimo di Diablo III. E lo stesso vale per il gameplay con le abilità, i personaggi e le build che sono gli stessi dell'ultimo capitolo ma non impediscono alle modifiche di dare un sapore diverso al tutto. A cambiare sono il movimento dei personaggi limitato a sole otto direzioni e i nemici che ci riportano direttamente ai tempi del vecchio Diablo, quando le stanze erano buie, i mostri potevano caricarci istantaneamente e numerose creature invisibili ci aspettavano al varco dietro a ogni angolo. Tutto condito, ovviamente, da un'interfaccia retrò e da una colonna sonora impareggiabile, una di quelle che valgono da sole una buona fetta dell'atmosfera di un gioco. Il risultato è un omaggio trasversale che attraversa venti anni di Diablo, un piacevole regalo che, legato al motore e alle meccaniche di Diablo III, è incapace di recuperare a pieno l'anima del capostipite della serie ma risulta abbastanza curato da permetterci di respirarne il profumo, alcune tempistiche e l'importanza di dettagli come il tintinnio delle monete che cadono al suolo. Per questo il duello finale con il vecchio Diablo, benché rimodellato su quello del secondo capitolo, vale senza dubbio un giro, almeno per i nostalgici, anche se avremmo senza dubbio preferito qualcosa di più corposo dal punto di vista della sfida e del bottino, magari destinato a restare come contenuto fisso nel panorama di Diablo III. E invece l'appuntamento per qualcosa di più corposo, che speriamo includa un patch importante, è rimandato al negromante, la settima classe che debutterà, purtroppo come DLC a pagamento, nel corso del 2017.