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L'uomo che ha salvato Zelda - La Bustina di Lakitu

Chi ha diretto lo sviluppo di Breath of the Wild?

RUBRICA di Alessandro Bacchetta   —   11/03/2017

Nintendo, per la prima volta col nome di EPD (Entartainment Planning & Development), è tornata sul trono degli sviluppatori del globo terracqueo dopo svariati anni, almeno sette, da quando insomma aveva pubblicato Super Mario Galaxy 2: ci saranno modi e tempi di celebrare il trionfo di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, ma è davvero strano che non ci sia qualcuno da "venerare" per un'opera del genere. Nintendo da diverso tempo mette in mostra i suoi sviluppatori, ed è stata la prima a proporne uno come autentica star (Miyamoto, ovviamente); proprio in concomitanza con l'uscita di Super Mario Galaxy (il primo, nel 2007), il pubblico conobbe il direttore di quel progetto, Yoshiaki Koizumi, che adesso è diventato una delle figure maggiormente riconoscibili dell'azienda.

L'uomo che ha salvato Zelda - La Bustina di Lakitu

Per tanti anni è stato il pupillo di Miyamoto, la persona che con lui, in ufficio anche di notte, ha studiato i movimenti di Mario in Super Mario 64, che con lui ha forgiato lo "Z-Targeting" che tutti, orientali ed occidentali, hanno poi imitato e utilizzato come standard nei combattimenti in terza persona. Koizumi è, in poche parole, un predestinato: dopo aver diretto Super Mario Sunshine e Donkey Kong: Jungle Beat, quel capolavoro di Super Mario Galaxy ha rappresentato il momento opportuno per rendere pubblica la sua figura, un evento che comunque, prima o dopo, sarebbe comunque arrivato. Perché parliamo di Koizumi in questo articolo, direte voi? Be', perché lui avrebbe potuto essere l'assoluto protagonista di questo pezzo. Qualche anno fa ha detto: "avrei delle idee per la serie, sono sicuro che il mio Zelda vi piacerebbe". Oltre ad essere d'accordo con lui, e nonostante i miracoli compiuti con l'idraulico, crediamo che la coppia composta da Koizumi e Zelda possa rappresentare un connubio pirotecnico: del resto il talento narrativo di questo ragazzo con Super Mario non viene pienamente espresso. Ha ampiamente dimostrato la sua passione per le storie nell'unico gioco della serie che ha co-diretto, ovvero Majora's Mask, per il quale ha ideato l'esoscheletro dei tre giorni e ha scritto tutte le - grandiose e forse insuperate - sidequest. Perché quindi questo matrimonio non si è mai celebrato? Perché l'altro direttore di quel progetto, ovvero Eiji Aonuma, non ha mai amato i giochi d'azione: per sua stessa ammissione non sa giocare a Super Mario Bros., e non ha mai finito, né tanto meno sopportato, il primo The Legend of Zelda. Erano i due giovani in rampa di lancio, e Miyamoto aveva deciso di affidare a loro le "sue" saghe principali: Koizumi con The Legend of Zelda avrebbe fatto cose sensazionali - ci scommettiamo - ma Aonuma avrebbe distrutto Super Mario. La soluzione possibile era solo una.

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L'era Aonuma, tra puzzle e dungeon

Eiji Aonuma ufficialmente è entrato in contatto con The Legend of Zelda durante lo sviluppo di Ocarina of Time, gioco in cui si è occupato della creazione - e dell'effettivo disegno - dei dungeon. Il suo è stato un lavoro eccellente, molto apprezzato da Miyamoto, come del resto testimoniano le conseguenze. Tuttavia Eiji già prima di Ocarina of Time era un fan della saga, approccio traumatico col primo capitolo a parte: A Link to the Past è uno dei suoi giochi preferiti, e il primo progetto che ha diretto, Marvelous (uscito solo in Giappone), ne sfrutta diversi elementi grafici. Ha anche la stessa visuale, lo stesso rapporto tra personaggi e ambiente, e un feeling vagamente simile: a parte i tre avventurieri al posto del singolo protagonista, può sembrarne uno spin-off.

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Con una grande, enorme, differenza: un focus esagerato sugli enigmi e l'assenza di combattimenti (come detto prima, Aonuma non apprezza l'azione). Miyamoto ne ha ammirato le doti durante lo sviluppo di Ocarina of Time, ma forse avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione a Marvelous, che potremmo definire il "manifesto" videoludico di Aonuma. Eiji ha l'aspetto di un umanista, è un appassionato di marionette ed è un musicista, nonché una persona elegante e attenta ai dettagli: tuttavia si è trovato a dirigere uno dei giochi più famosi del mondo, e a guidare uno dei team più talentuosi del pianeta, senza apprezzare pienamente una delle anime di The Legend of Zelda (quella più action, evidentemente). Durante la sua gestione la saga, pur rimanendo su ottimi livelli, ha perso prestigio e qualità, nonché rilevanza: tuttavia il taglio che avrebbe dato alla serie, almeno in parte, era preventivabile, e quindi non è tutta colpa sua. Il suo gioco più riuscito è senza dubbio il primo che ha diretto da solo, The Wind Waker: un'opera visivamente eccezionale, che tramutava in realtà due sogni di Aonuma, e cioè un'opera che fosse ambientata sull'oceano, e la creazione di un'avventura da dedicare al figlio che, per sua stessa ammissione, durante lo sviluppo immaginava al posto di Link. The Wind Waker è un bellissimo titolo, ma, se Nintendo si fosse presa il tempo necessario a completare il progetto - come fa di solito - e non lo avesse lanciato in fretta, probabilmente sarebbe stato un capolavoro à la Ocarina of Time. Come abbiamo anticipato Aonuma non ama i giochi ardui, e prima di lui The Legend of Zelda era noto - tra le altre cose - per essere molto impegnativo: tuttavia il calo di difficoltà, almeno in The Wind Waker, era giustificato dal contesto fiabesco ed infantile. Negli anni seguenti, e nei progetti successivi, la saga sarebbe divenuta sempre meno esplorativa - a vantaggio della linearità - e sempre meno impegnativa, con un'attenzione sempre maggiore per i puzzle piuttosto che per i combattimenti, al punto da tramutare questi ultimi in degli "enigmi in movimento": una volta compreso il punto debole del nemico, soprattutto in Skyward Sword, l'esecuzione era una semplice conseguenza.

Il gioco di Fujibayashi

Dopo Twilight Princess per Aonuma è arrivato il momento di divenire producer della serie, sollevando dall'incarico Miyamoto, e di trovare quindi un successore per il ruolo di direttore: non è mai una scelta semplice, e proprio a noi Eiji ha confessato che la cosa più importante è "la volontà di terminare un progetto così lungo, perché ci sono momenti in cui è davvero dura, in cui sembra impossibile arrivare al traguardo". L'uomo che ha selezionato, quello che poi ha salvato Zelda nel mondo reale, non è un predestinato come Koizumi e, caso più unico che raro per EPD, è cresciuto in un'altra azienda. Fujibayashi è entrato per la prima volta in contatto con la serie a fine anni '90, quando, da dipendente Flagship, gestiva la comunicazione tra Capcom e Nintendo, che ambivano a sviluppare insieme due episodi (in qualche modo integrabili) della saga: a Miyamoto il suo lavoro piacque così tanto da nominarlo responsabile del progetto.

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Da quella collaborazione nacquero Oracle of Seasons e Oracle of Ages per Game Boy Color. Vista la qualità dei giochi a Fujibayashi venne affidato anche il successivo capitolo portatile, ovvero The Minish Cap (pubblicato nel 2004). Poco dopo però Capcom, proprietaria dello studio, decise di chiuderlo: la maggior parte dei dipendenti vennero riassorbiti dalla casa madre, ma Nintendo si assicurò i talenti di Hidemaro Fujibayashi (classe '72), che venne subito dirottato su Phantom Hourglass e, anche qui dimostratosi valente, successivamente eletto a direttore dei giochi "principali", quelli per home console. In questa veste il suo primo progetto è stato Skyward Sword, uscito nel 2011 per Nintendo Wii. Non notate niente di strano? Fujibayashi ha forgiato il proprio successo partendo dal basso, ma soprattutto si è sempre dimostrato, più che un visionario, un designer diligente: ha sempre anteposto la qualità dei propri progetti al perseguimento delle sue idee. Non è un genietto in stile Koizumi, e non ha nemmeno un "manifesto" alla Aonuma: ha semplicemente tratto il meglio da quello che gli è stato proposto. Non si spiegherebbe altrimenti come, all'interno della stessa serie, qualcuno possa passare dal dirigere alcuni dei giochi portatili più complessi e tradizionali - la serie degli Oracle, appunto - a scolpire quelli più compatti e atipici (Phantom Hourglass, Skyward Sword). Ci sono delle qualità che accomunano tutte queste creazioni, tuttavia: l'attenzione maniacale - letteralmente maniacale - al dettaglio, l'equilibrio nell'economia complessiva delle avventure, la coesione tra personaggio e mondo di gioco. Riguardo alla prima caratteristica, non va dimenticato che Fujibayashi - a inizio carriera, ovviamente - progettava delle case stregate per Luna Park, un'esperienza che probabilmente ne ha esacerbato la vocazione da cesellatore. Insomma, con qualità e costanza il buon Hidemaro, a inizio 2012, è riuscito a farsi dire le parole che ogni sviluppatore sogna: "fai quello che ti pare".

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E così sono finalmente emerse non solo le sue doti, ma anche le sue idee. Fujibayashi ha preso seriamente la frase di Aonuma, tanto da estenderla al giocatore stesso: lui ha fatto ciò che voleva, e ciò rendere noi liberi, finalmente e meravigliosamente, di andare dove vogliamo. Pare che, testando la prima bozza del titolo, Miyamoto abbia vagato per mezz'ora semplicemente arrampicandosi sugli alberi, tanto deve averlo colpito la verticalità del progetto. The Legend of Zelda è tornato ad essere libero, difficile e impegnativo - ed è anche tornato a scrivere la storia, ma questa forse è una semplice conseguenza. Fujibayashi non è ancora diventato famoso, molti videogiocatori non lo conoscono affatto, e difficilmente diverrà uno degli uomini immagine della Nintendo: nonostante il capolavoro appena concepito continua ad essere diligente, tanto da sostenere che, anche per lui, l'anima della serie risiede nella risoluzione dei puzzle (seguendo la linea di Aonuma, insomma). Peccato che, come esempio di puzzle, abbia citato il senso di scoperta provato proprio nel primo The Legend of Zelda (che puzzle sarebbe?). Breath of the Wild è nato così, con un piccolo team di giovani sviluppatori da lui guidati, con un prototipo - estremamente interattivo e dalla buona fisica - basato sul capostipite della serie: quel capostipite a cui l'opera rende omaggio, e che Aonuma non ha mai sopportato. Del resto quest'ultimo ama le marionette, mentre Fujibayashi la speleologia subacquea: chissà se lo ha confessato al suo superiore, quando gli ha detto di fare ciò che voleva. Se ne sarà pentito, Eiji?