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Single player morto o no?

Cerchiamo di capire cosa intende chi afferma che "il single player è morto"

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   24/04/2018

Ultimamente capita di leggere sotto a notizie o articoli in cui si parla del successo di titoli single player, commenti stizziti di persone che li prendono come dimostrazione dell'assurdità della tesi "il single player è morto". Insomma, secondo queste persone il successo di titoli quali God of War, The Legend of Zelda: Breath of the Wild, NieR: Automata, Horizon: Zero Dawn, Super Mario Odyssey, Forza Motorsport 7, Divinity: Original Sin II e altri sarebbe la prova che ci sono ancora moltissimi giocatori desiderosi di vivere esperienze in solitaria, e ovviamente di comprarle. Quindi sbaglia chi pensa che il futuro dei videogiochi sia legato ai soli giochi servizi online. Per molti il single player non solo non sarebbe morto, ma prospererebbe, offrendo ancora oggi le esperienze di gioco più appaganti.

Single player morto o no?

Il nodo della questione

In realtà non è difficile concordare in buona parte con il paragrafo precedente, visto che vengono fatte delle affermazioni innegabili: i giochi single player vengono ancora prodotti, alcuni hanno un successo enorme e ci sono molti giocatori che li amano. Il problema ora è farvi capire come ciò significhi poco o nulla se non si osservano le tendenze attuali del mercato e, soprattutto, se non si fa un confronto con quello che era il mercato fino alla generazione precedente. Quando si afferma che il single player è morto non si vuole dire che non saranno più prodotti giochi single player. La verità è che sarebbe assurdo anche solo pensarlo, vista la mole di uscite con questa modalità che emergono giornalmente dalla scena indipendente e dalla cosiddetta fascia dei doppia A. Osservando però quali sono i titoli più giocati e quali sono quelli che producono più ricavi, è indubbio che la fetta più consistente del mercato attuale sia fatta da modelli completamente diversi, per i quali il single player esiste come un accessorio e nulla più. Parliamo non a caso di ricavi e non di vendite, perché queste ultime ormai rappresentano solo una frazione, pur consistente, del mercato dei videogiochi.

Single player morto o no?

Basta osservare una qualsiasi classifica digitale degli ultimi anni per scoprire che a produrre più ricavi sono spesso dei giochi free-to-play, quindi ad accesso gratuito, come Fortnite, League of Legends, World of Tanks e altri. Comunque, anche quei titoli che richiedono un prezzo d'ingresso, come Playerunknown's Battlegrounds, Overwatch, Destiny 2, Counter-Strike: Global Offensive, Rainbow Six: Siege e altri, appartengono di fatto al modello dei giochi servizi e spesso il single player non ce l'hanno proprio. Alcuni, come Grand Theft Auto V, Battlefield 1 e Call of Duty: WWII, hanno delle campagne da giocare in solitaria, ma, come scrivevamo sopra, sono da considerarsi dei semplici accessori dedicati a una fetta minoritaria di acquirenti. L'esempio più lampante dell'andamento attuale del mercato è proprio il titolo di Rockstar: lanciato come gioco esclusivamente single player per la vecchia generazione di console (Xbox 360 e PlayStation 3), è stato arricchito nei mesi successivi da una modalità online che ha talmente superato le aspettative in termini di incassi con le microtransazioni da aver prodotto la cancellazione delle pianificate espansioni single player.

Single player morto o no?

Ma facciamo un altro esempio e guardiamo cosa stanno per offrire alcuni dei publisher maggiori nel 2018: Activision Blizzard ha tagliato il single player dal nuovo Call of Duty: Black Ops IV per aggiungere una modalità battle royale e per potenziare le altre funzioni multiplayer del gioco; l'unico titolo single player puro che proporrà sarà la remastered della trilogia di Spyro; Electronic Arts probabilmente inserirà delle modalità single player nei suoi sportivi e il nuovo Battlefield avrà una sua campagna, ma continuerà comunque a concentrarsi sulle modalità online, intendendo le prime come accessori (il modello da seguire è la serie FIFA, del resto i suoi titoli single player del 2017 hanno fallito miseramente); Take-Two e Rockstar proporranno una sontuosa modalità single player con Red Dead Redemption 2, ma scommettiamo anche che offrirà un lato multiplayer che seguirà pedissequamente quando fatto da GTA V (ovviamente in salsa west); Ubisoft proseguirà sulla strada tracciata con i suoi ultimi titoli: in alcuni il single player ci sarà, ma nessuno rinuncerà ad alcuni dei benefit del modello dei giochi servizi. Vedere Ghost Recon: Wildlands o Assassin's Creed: Origins (se vogliamo questa è anche la scelta fatta da altri publisher).

E il single player?

Come detto, lo scenario descritto sopra non ha eliminato e non eliminerà completamente i giochi single player, che però finiranno per assumere un ruolo differente da quello del passato. Se vogliamo aggiustare il tiro, più che morti possiamo considerarli come messi al margine dal mercato di massa. Traduciamo: non sono più il perno dell'industria dei videogiochi.

Single player morto o no?

Dove sopravvivranno intonsi rispetto all'arrembare dei nuovi modelli è in tutti quegli ambiti in cui sviluppare un rapporto sincero con i cosiddetti giocatori "core" è essenziale. Ad esempio produttori hardware come Sony e Nintendo non hanno nessun interesse a smettere di finanziare titoli single player perché gli sono indispensabili per vendere le loro console, determinandone l'identità. Speriamo che anche Microsoft torni su questa strada, dopo aver sperimentato il semi-fallimento del tentativo di diventare una pura fornitrice di servizi videoludici. Continueranno a produrre titoli single player anche tutti quegli sviluppatori e quei publisher che non possono permettersi di competere con i colossi dell'online. Ad esempio Focus Home Interactive, THQ Nordic, Obsidian, Larian, Warhorse, Ninja Theory e così via. A loro conviene più continuare a puntare su progetti minori e ben indirizzati, che rischiare in campi dove ormai gli investimenti richiesti nel marketing sono superiori di varie grandezze a quelli richiesti per lo sviluppo. Infine, il single player sopravvivrà tra gli indie, per il semplice fatto che per molti è la scelta più economica, visti i budget limitatissimi che girano. Oltretutto è difficile che in team composti da poche persone ci siano degli esperti dell'online, la cui implementazione non è affatto banale.

Single player morto o no?

Infine, il single player non morirà tra gli sviluppatori giapponesi, anche grazie a Switch, che ha di fatto ricreato un ambiente salubre per tutta una fascia di studi medio/piccoli non in grado di reggere su un mercato fatto solo da macchine come PlayStation 4 o Xbox One, dove per competere è richiesto un salto tecnologico che molti, semplicemente, non possono permettersi. Certo, chi si aspetta una vitalità del single player paragonabile a quella della generazione PlayStation 2/Xbox/Gamecube o successiva rimarrà deluso, perché quei tempi non ritorneranno semplicemente più. Rimarrà deluso anche chi spera nel ravvedimento dei publisher maggiori, perché attualmente non hanno alcuna convenienza a fare retromarcia. Ecco, se dovessimo provare a contestualizzare l'affermazione "il single player è morto", diremmo che è morto nella distanza che ormai separa questi mercati, una misura che alcuni non vogliono vedere o accettare.