Da Daxter per PSP a The Order: 1886, Andrea Pessino e la sua software house, Ready at Dawn, hanno fatto la storia dei videogiochi. Nel 2020 la sua società è stata acquisita da Meta (ex Facebook) e ora sta abbracciando con forza il comparto VR. Originario di Asti, lo storico sviluppatore è stato ospite del Cortocircuito nell'acquario di Casa ebay alla Milan Games Week 2022 per raccontare la sua carriera, la sua compagnia, i suoi giochi preferiti e come vede il presente e il futuro dell'industria del gaming.
Ecco l'intervista a Andrea Pessino fatta da Pierpaolo Greco, Alessio Pianesani e Francesco Serino pinta di birra alla mano.
L’inizio della carriera
Secondo te come è cambiata l'industria e come sono cambiati i videogiocatori?
È cambiato tutto. Nella nostra industria, nel mondo dello sviluppo, non solo ci sono poche persone della mia età, ma ce ne sono ancora meno che sono ancora in trincea come me. Io ho iniziato 40 anni fa a fare videogiochi e da 35 li faccio come lavoro a tempo pieno per cui si può dire che le ho viste tutte. Negli anni '90 sono arrivato negli Stati Uniti lavorando su piccoli giochi per Macintosh in una società di Santa Barbara in California, poi sono passato a sviluppare per 3DO (la console di Panasonic n.d.r.). Dopo che l'hanno lanciata nel 1991 alla Game Developers Conference ricordo che siamo rimasti stupiti dal fatto che un piccolo team come il nostro potesse sviluppare per console, perché prima di allora per lavorare su Sega Genesis o Super Nintendo dovevi essere una grossa corporation. Poi nel '98 sono andato da Blizzard, dove all'epoca c'erano 60 o 70 persone, e ho iniziato un mese o due dopo l'uscita di StarCraft. Il primo gioco su cui ho lavorato è stato StarCraft: Brood War, l'espansione, e poi ho lavorato alla musica di Diablo 2 perché sono anche un compositore non ufficiale, è una cosa che mi ha permesso di unire le mie due passioni: la musica e il coding. Io, infatti, ho iniziato più come musicista che come programmatore e c'è sempre stato questo dualismo.
Le basi per tutto questo ti derivano dallo studio o dal lavoro?
Per la musica tanto studio, 18 anni di formazione; per la programmazione, invece, ho fatto tutto da solo perché non sono mai stato molto in sintonia con l'istruzione formale nelle scuole, specialmente italiane. Io ho studiato un sacco, specialmente da solo e in particolare matematica e fisica, poi computer science, che era molto difficile da approfondire in Italia, e questa è una delle ragioni per cui sono andato negli Stati Uniti. Se volevi lavorare con i videogiochi dovevi emigrare, farli in Italia era come andare in una galassia lontana lontana. Tornando alla mia storia, in Blizzard ho passato la maggior parte del mio tempo a lavorare su Warcraft III per cui ho fatto molte delle tecnologie di base che poi sono state anche usate per World of Warcraft. Poi nel 2003, quando Sony ha annunciato Playstation Portatile pensavo che fosse un'idea fantastica e un'opportunità incredibile. Da Blizzard si facevano giochi per PC e nient'altro, soprattutto allora, e io volevo tornare a fare giochi per console perché ho sempre avuto questa passione. In PSP ho visto un'ottima opportunità, credevo molto nel formato e allora per fare un AAA avevi bisogno di 50 o 60 persone (non parliamo di oggi) mentre un gioco per PSP con 10-15 persone riuscivi a metterlo insieme.
Nasce Ready at Dawn
È in questo momento che hai fondato Ready at Dawn?
In quel momento ho iniziato a cercare partner, perché se vuoi avviare uno studio, oggi come allora, devi avere tutte le professioni fondamentali coperte e noi volevamo avere programmazione e game art. Un mio carissimo amico di Blizzard, che è un'artista incredibile, ha fatto da co-fondatore e tutto è decollato dopo che ci hanno presentato un programmatore di Naughty Dog tramite amicizie comuni. Quando ci siamo incontrati abbiamo capito che volevamo le stesse cose e che saremmo andati d'accordo. A settembre di quell'anno abbiamo fondato Ready at Dawn e il nostro amico Jason Rubin, che è stato eletto vicepresidente di Oculus mentre stavamo finendo The Order: 1886 e oggi è VP del Metaverse content di Meta, ci ha offerto di mettere in piedi una versione di Daxter per PSP.
Dopo un brindisi "all'Italia dei videogiochi" la conversazione è continuata: Hai visto come gli sviluppatori in Italia si siano moltiplicati? hanno chiesto i ragazzi del Cortocircuito.
Non soltanto questo! Ci sono molte opportunità che stanno venendo fuori ed è veramente fantastico perché non mi sarei mai aspettato una cosa così. Sono 5 anni che cerco di venire alla Milan Games Week ma tra acquisizioni e Covid non sono riuscito. Finalmente sono qui e non riesco a crederci, è assolutamente incredibile. Io dico da sempre che l'Italia ha tutti gli ingredienti giusti dal punto di vista del mercato dello sviluppo, della creatività al patrimonio artistico con anche la capacità di trasformare oggetti d'arte in prodotti capaci di scatenare un'emozione. Non ho mai capito perché l'Italia non fosse al vertice, almeno in Europa, in questo senso. Però le cose stanno rapidamente cambiando.
Ci parlavi di Rubin, Naughty Dog e Daxter, e poi?
Con Daxter abbiamo iniziato alla fine del 2003 ed è stato un processo difficilissimo, ma abbiamo imparato tanto, e per un nuovo studio riuscire a finire il primo gioco è già un gran traguardo. Il titolo, poi, è stato forse uno di quelli che ha avuto maggior successo su PSP, anche rispetto a God of War, perché ha avuto un pubblico molto più largo. Questo ci ha aperto un sacco di possibilità per costruire un team come lo volevamo partendo da 3 persone e arrivando a 30 con Daxter e a 80 con God of War per non parlare di The Order: 1886 in cui eravamo più di 160. Forse erano troppe, ma certe cose puoi farle soltanto quando fai queste transizioni che però non sono la mia parte preferita. È bello lavorare con tante persone di talento, ma superata una certa soglia tutti questi nuovi strati di amministrazione e burocrazia si fanno sentire e sei sempre meno connesso con il gioco. 15-20 persone è il numero perfetto e invidio molto gli studi indipendenti che riescono a raggiungere quel livello e stare lì.
I soldi son fantastici e a me piacciono moltissimo ma non sono mai stati l'obiettivo, anche perché ci sono modi molto più facili e meno faticosi del fare i videogiochi. Tutti gli sviluppatori che conosco, a parte qualche personalità nel publishing, sono artisti che lo fanno perché non possono farne a meno, viene prima la passione e poi il resto e questo viene spesso sfruttato da chi non ha scrupoli. Non è una carriera facile e non è remunerativa subito: questa è una differenza fondamentale quando confronti quello videoludico con altri ambienti di sviluppo (e ora che siamo parte di Meta si vede molto chiaramente), c'è una differenza culturale profonda. I giochi sono un processo lentissimo fatto di creazione artistica ed è molto difficile tenere alto il morale perché le cose non vanno mai come previsto. Io ho sempre detto che quando qualcuno decide di fare un gioco, decide cosa sarà, quando le cose succederanno ed è pieno di entusiasmo, deve farlo consapevole che le cose non andranno secondo i piani. È un processo molto simile a un vortice da incubo. In Blizzard i primi due anni era completo caos, non c'era un minimo di organizzazione e non si capiva niente.
Quindi è vera quella cosa che dicono di Blizzard che il gioco veniva fuori negli ultimi 2 o 3 mesi prima del lancio?
Non erano 2 o 3 mesi (ride), diciamo 2 o 3 anni, ma prima di quel momento c'erano altri 2 o 3 anni in cui tutti sono lì che dicono 'mmmhh, boh, giochiamo e si vedrà'. Ormai non so più se è ancora così perché io sono 20 anni non sono più in Blizzard, ma allora era così. Quando abbiamo finito Warcraft 3 tutti hanno passato un anno a giocare a Ever Quest. Arrivavi la mattina e trovavi le persone con la faccia sulla tastiera dopo aver passato la notte a giocare.
The Order: 1886, tra traguardi e polemiche
Secondo noi The Order è stato un po' lo spartiacque, il giro di boa perché prima parlavamo del cambiamento dell'industria e dei giocatori e The Order è arrivato quando il pubblico era già cambiato rispetto a quando è stato pensato e sviluppato. Perché The Order ha sofferto così tanto secondo te?
Io penso che ci siano molti fattori che si sono accavallati uno, che sicuramente non dipendeva da noi, era che il gioco è diventato un portabandiera per la console war. Per la prima volta nella mia vita ho assistito a delle persone che speravano attivamente che il gioco fallisse, non vado nei dettagli, ma diciamo che ai tempi di quando ero in Blizzard tu annunciavi un gioco quando mancava poco tempo all'avere una demo giocabile. Andavi all'E3, lo facevi vedere, la stampa lo provava ed era accettabile avere una demo che fosse molto indietro rispetto allo stato dei lavori; poi era molto più lento il processo che portava all'uscita. Leggevi le prime impressioni e poi tornavi a fare il tuo lavoro. Ora dal primo secondo in cui un gioco arriva sotto gli occhi del pubblico, specialmente quando si tratta di first party come è stato The Order, moltissimi reagiscono negativamente e si mettono ad analizzare ogni cosa; è una situazione molto difficile soprattutto quando hai anni di sviluppo davanti. Abbiamo dubitato di noi stessi non poco e c'è stato un periodo in cui gli sviluppatori di titoli molto visibili hanno dovuto imparare nuovi modi di interagire con il pubblico e comunicare. Noi abbiamo fatto una serie di errori enormi nella comunicazione perché non eravamo preparati. In più lo sviluppo di The Order è stato molto incentrato sulla parte tecnica, audiovisiva, e abbiamo fatto degli errori in quel senso. Per farla breve, avevamo bisogno di un altro anno, ma non essendo un team interno a Playstation quando è arrivata la scadenza dovevamo uscire. Molte cose che dovevano essere interattive sono state semplificate e intere sezioni della storia sono state eliminate riducendo di molto la durata e la comprensibilità. Se ti dicessi tutte le cose che avevamo giocabili già nel prototipo del 2011... La gente le vedeva e diceva 'questo è impossibile su una PS4'. Non solo il prodotto finito era ancora superiore rispetto al prototipo, ma purtroppo certi aspetti di gameplay non siamo riusciti a trasferirli al gioco finale.
C'era molto attrito con i capi quindi non potevamo fare dei downgrade temporanei alla grafica per lavorare sul gameplay, cosa che ci avrebbe permesso di espandere il gioco. The Order è diventato un simbolo delle cose che ai piani alti non volevano più: il solo single player, la durata breve eccetera...Sapevamo i limiti del gioco, ma pensavamo che nel complesso i giocatori sarebbero rimasti soddisfatti.
È stato un problema di mercato il fatto che non sia arrivato un sequel?
Non è stato un problema di mercato e vi assicuro che avete visto il 5% di quello che era pronto, scritto e in produzione. Nessuno ci ha perso dei soldi con questo gioco, il problema è stata la comunicazione interna con certe parti di Sony che avevano prerogative diverse. Alla fine, la responsabilità è caduta su di noi anche se c'erano tanti fattori che non dipendevano da noi.
Ti è dispiaciuto non lavorare più su quell'IP?
Ci piango ancora, specialmente perché sono nella posizione unica di conoscere tutto quello che avremmo potuto fare ed è un vero peccato. Se ci fosse una qualunque possibilità di fare qualcosa in quel mondo io sarei il primo in fila e mi ci fionderei.
Dopo The Order avete fatto Deformers com'è andato?
Non solo non è andato bene ma è stato una cosa allucinante. Deformers era un progetto molto personale per me, un'idea che ho avuto più di 20 anni fa basata su un cortometraggio tedesco in stop motion chiamato Balance che ha vinto l'Oscar nell'89. Quando abbiamo finito The Order una delle cose che non siamo riusciti a presentare bene è stata la nostra tecnologia di simulazione della fisica. Nel prototipo di The Order potevi manipolare i metalli, c'era una arma magnetica con cui sparare i pezzi di metallo che staccavi dalle cose e tutto questo volevo sfruttarlo al meglio. Così ho iniziato un passion project lavorando di notte anche per mettere in piedi la una tecnologia di network gaming che non avevamo. Volevo ripensare in maniera moderna il multiplayer per sincronizzare sistemi di simulazione molto complessi per cui ho iniziato a lavorarci tanto. È stato uno dei miei progetti più divertenti, doveva essere piccolo, su Steam, e ogni sera tutto lo studio restava per giocarci. Poi si è presentata un'occasione di trasformarlo in un gioco vero e proprio e ho fatto l'errore di dire di sì. Ho fatto delle promesse che oggi vedo come sbagliate, come uscire su 3 piattaforme al lancio, perché ho mal calcolato la quantità di lavoro che serviva. Abbiamo dovuto ridurlo molto perché era sperimentale, per cui alla fine, quando è uscito è passato completamente inosservato. È una cosa che ti fa pensare. Se non fosse stato per Deformers, però, non sarebbe iniziata la nostra avventura con la VR.
L’approdo nella Realtà Virtuale
Raccontaci del passaggio alla VR, è stato complesso?
Echo Arena, il nostro gioco in VR, è nato in un fine settimana durante una game jam in cui uno dei nostri programmatori ha preso il codice per il multiplayer di Deformers e in due giorni ha creato questo gioco anche grazie alla sua passione per l'ultimate frisbee. Il lunedì dopo siamo entrati in ufficio e abbiamo sentito tutti gridare perché si stavano divertendo un sacco con Echo Arena nella sua forma prototipale. Da lì ci abbiamo lavorato e lo abbiamo fatto vedere a Oculus che ha detto subito sì.
Poi siete stati acquistati da Oculus Studio nel 2020 e siete diventati automaticamente il team più grosso e famoso. Come avete vissuto tutte le trasformazioni che ci sono state in questi pochi anni?
Nel 2015 già stavamo parlando con Jason Rubin che, appena finito The Order, ci ha detto di prenderci 6 mesi per sperimentare e trovare idee per un gioco nuovo in VR. Questo era il periodo del primo Rift, quindi appena dopo l'acquisizione di Facebook. Allora Oculus è stato il publisher dei sogni perché soprattutto dopo The Order i nostri designer erano stanchi. C'era bisogno di libertà creativa e il nostro team è rimasto unito anche grazie alla capacità di pianificazione del mio co-fondatore. Gli artisti lavorano al loro meglio quando possono esprimersi e lavorare a questo progetto è stato una rinascita che ha dato a tutti tantissima fiducia. Lavorando al nostri primo titolo c'erano già tante regole su cosa si poteva e cosa non si poteva fare in VR, e su cui non andavamo molto d'accordo. La motion sickness però resta perché c'è discrepanza tra quello che i nostri occhi vedono e quello che i nostri sensi riescono a percepire, sono milioni di anni di evoluzione che non possiamo semplicemente ignorare. Progettando un gioco in gravità zero, però, il cervello non ha punti di aggancio quindi, partendo dal movimento, i nostri designer sono riusciti a creare un gioco che non faceva stare male. Progettare per il VR è completamente diverso ma l'immersività che si riesce a raggiungere è incredibile: quando mi hanno messo il visore per la prima volta e mi sono ritrovato in orbita a Saturno avevo dei brividi che non posso neanche descrivere.
Sei soddisfatto di come il VR stia arrivando alle masse?
I numeri in Europa sono leggermente diversi da quelli negli Usa, lì l'anno scorso il Quest è stata una delle piattaforme più vendute, parliamo di milioni di unità, ma rispetto all'intero mercato è ancora in sviluppo. È parte del processo: chi promette le esplosioni istantanee di numeri di solito non è chi ci lavora dentro, spesso è chi insegue i soldi o vuole creare clickbait. Le aspettative nell'industria della VR sono molto più concrete e io penso che questa tecnologia continuerà a crescere ma ci sono ancora delle barriere.
Come vedi l'arrivo di Playstation VR2?
Il fatto che abbia un cavo a cui attaccarsi non è ideale insieme all'assenza di una buona riproduzione sonora però quello che PS VR2 farà è fortificare la presenza del VR di fascia alta. Come in tutti gli altri mercati, non può esserci solo il prodotto per la massa, ci deve essere un hardware aspirazionale. Da una PS5 con il VR2 mi aspetto grandi cose.
La visione di Andrea Pessino sull’industria del gaming
Cosa ne pensi dell'acquisizione di Acrtivision Blizzard da parte di Microsoft?
Ho i miei punti di vista, ma non sono nella posizione in cui posso giudicare una cosa di questa portata, è al di sopra del mio livello di stipendio. Un'acquisizione di questo calibro, devo ammetterlo, non solo mi spaventa, ma mi deprime un pochino perché, sarò onesto, negli ultimi 2/3 anni il 95% di quello a cui gioco sono indie che trovo su Steam a 15 dollari. Se sei in questo mondo da abbastanza tempo non è più possibile separare un gioco dal team che l'ha fatto quindi è difficile tenere in piedi l'illusione. Ci sono alcuni giochi, invece, che proprio mi catturano con la stessa intensità di 40 anni fa e quei giochi sono quasi sempre indie. Inscryption mi ha fatto esplodere il cervello e ho 200 ore su Dead Cells, ma mi spiace che ora il mondo sia diviso tra gli studi con 15 persone e i colossi giganteschi. È molto utile avere una scena florida di AA indipendenti e non so se arriveremo mai di nuovo ad avere situazioni come nel passato.
Sei mai stato incuriosito da Nintendo Switch?
Il mio gioco preferito di tutti i tempi è Breath of the Wild, come quasi tutti gli Zelda. BotW però è stata un'ossessione come non mi capitava da quando avevo 16 anni. Quando ho cominciato a giocarlo ho detto subito che questo gioco sarebbe stato al top nella storia del game design e potrei fare un trattato di 6 ore su quanto è fatto bene. L'ho sempre giocato in portabilità e me ne sono fregato subito della storia: ho passato il primo mese nella pianura iniziale. Questo titolo è stato l'eccezione per quanto riguarda le produzioni gigantesche a dimostrazione che le limitazioni tecniche non sono un problema. Ho studiato con passione il modo di sviluppare giochi di Nintendo e nessun'altro poteva fare una cosa del genere, il loro approccio è unico ed è quello il loro segreto. La ricetta con cui hanno combinato esplorazione, avventura, combattimento è geniale. Poi l'art del gioco è semplicemente wow... ci sono momenti in cui arrivi vicino a un precipizio e anche se non è un paesaggio realistico ti trovi davanti a una bellezza quasi spirituale.
dE Elden Ring? Sei fan anche di quello?
Lo ammiro, l'ho provato diverse volte, ma sono troppo vecchio, non ho mai avuto quelle abilità manuali.