Oh, caro Dreamcast, quanto ti abbiamo voluto bene. In realtà te ne hanno voluto tutti coloro che, in preda a chissà quale impeto, decisero di investire denaro ed aspettative sulle tue promesse, magari addirittura in versione Giapponese perché quelle meraviglie no, non potevano aspettare. Oggi può suonare strano, ma in passato l'importazione parallela era un obbligo per gli appassionati di videogiochi più infoiati. E per il Dreamcast, ovvero la next gen prima della next gen, la tentazione di pagare di più per averlo prima di tutti era davvero fortissima, insostenibile. Nel 1999, per il pubblico lo standard grafico è la prima PlayStation: la console Sony dominava incontrastata con le sue texture senza prospettiva perché il Sega Saturn si rivelò presto un disastro, mentre il Nintendo 64 con le sue costosissime cartucce faticava ad imporsi nei sogni del suo potenziale pubblico. È per questo stesso motivo che, specialmente in Italia, tutti sembrano aver giocato Crash Bandicoot e meno della metà a Super Mario 64, ancor meno NiGhTs into Dream. Il Dreamcast arrivò proprio quell'anno, mettendo sul piatto una grafica mai vista prima, un sonoro avvolgente, una memory card e un pad avveniristici. Durante il debutto venne persino accompagnato nei negozi da giochi straordinari: con le prime unità d'importazione arrivarono in Italia giochi come il piacchiaduro delle meraviglie Powerstone, l'avventura venuta dal futuro D2 firmata dal compianto Kenji Eno, mentre la stessa Sega affiancò la console con due pesi massimi come Sonic Adventure, House of the Dead 2 con light gun allegata e Virtua Fighter 3tb.
Buon inizio, pessima fine
Nel suo primo anno di vita, sia in Giappone che negli Stati Uniti il Dreamcast non andò poi cosi male. Sega però non rappresentava più quella magica "factory" di un tempo: la sua presenza nelle sale giochi aveva un peso minore rispetto al passato proprio perché le sale giochi stavano vivendo le loro ultime gloriose stagioni, mentre il ricordo del Saturn era ancora ben presente nei ricordi di chi lo acquistò, fiducioso, al posto di PlayStation, finendo per cambiare "casa" in corsa. Buona parte del pubblico decise di aspettare, limitando la penetrazione della console nei mercati più importanti; ed ancora peggio andò in Europa, dove Sega si affidava ancora a singoli distributori, in Italia per esempio Giochi Preziosi, strettamente legati a un'idea del videogioco come giocattolo. Eppure di soldi ne spesero tanti; il problema è che li spesero tutti e spesso inefficacemente.
Per esempio, un conto fu apparire per un anno sulle maglie della corazzata Arsenal, un altro su quella della nostrana Sampdoria che in quegli anni militava in Serie B, quando comunque in Italia non avevi nemmeno una distribuzione forte. Inoltre, Giochi Preziosi si sfilò prestissimo dall'operazione Dreamcast che, dopo l'interessamento passeggero di GIG e la sua divisione Electronics, rimase figlio di nessuno fino alla fine dei suoi giorni. La nostrana Samp è soltanto uno dei tanti esempi di investimenti a vuoto da parte di Sega in quel particolare momento storico, a cui se ne aggiungono fortunatamente di più oculati: anche Soulcalibur, il meraviglioso Soulcalibur, divenne esclusiva Dreamcast attraverso una partnership squisitamente economica. E non dimentichiamoci dei soldi ben spesi per rendere operativo il servizio online DreamArena su ogni territorio in cui il Dreamcast era presente, addirittura contro ogni previsione in Italia, grazie all'appoggio di una British Telecom all'epoca appena sbarcata sul nostro territorio. Del resto, con DreamArena, Sega stava tracciando nuove strade ed esplorando nuove soluzioni, ma ci voleva più tempo e quel tempo andava riempito con grandi giochi.
Gamechanger
Il Dreamcast non è stata la console più potente della sua generazione, non ha avuto il supporto terze parti sperato, non ha venduto quanto meritava, e aveva innegabili difetti tipici di un progetto nato per bruciare le tappe, ma tutto questo non gli ha impedito di divenire in breve tempo un hardware di culto. Il motivo? I suoi giochi, o ancora meglio: i giochi sviluppati dagli studi della stessa Sega. Lanciare sul mercato una nuova console richiede investimenti ingenti già di suo, e nel frattempo Sony aveva settato nuovi standard semplicemente perché solo lei poteva permetterselo, ma con la sua ultima console, Sega fu presto costretta anche a colmare i buchi nella line-up lasciati dalle altre software house. Per una società già economicamente traballante fu un durissimo colpo, ma dopo aver lavorato a vuoto o al risparmio durante la generazione a 32-bit, quella Saturn per intenderci, i suoi molteplici team di sviluppo erano carichi come non mai e di quella pioggia di soldi, di quella rinnovata libertà creativa, ne fecero il miglior utilizzo possibile. Sonic Adventure ti staccava il collo, Jet Set Radio inventò di nuovo il cel shading per applicarlo su un platform mai visto prima, Space Channel 5 portò nella next gen il genere dei rhythm game senza periferiche e Samba de Amigo con la più folle e dispendiosa periferica di sempre. Non che la canna da pesca per Sega Bass e Marine Fishing fosse meno divertente.
Che dire poi di Crazy Taxi (ya, ya, ya, ya, yaaa), F355 Challenge e la sua simulazione senza compromessi, il drogatissimo Rez, il cielo infinito di Skies of Arcadia e il blu profondo di un nuovo onirico Ecco the Dolphin? E poi naturalmente Shenmue, nato su Saturn e tenuto per anni in lavorazione, concettualmente e tecnicamente anni avanti rispetto al resto dell'industria dei videogiochi. Infine Phantasy Star Online, il trionfo finale del tonfo finale. Non possiamo nemmeno dimenticarci di Visual Concept, la software house specializzata in sportivi di cui Electronic Arts aveva chiesto la testa, cosa che Sega non fece ed è proprio per questo che Fifa, Madden e Nba Live non arrivarono mai su Dreamcast. Siamo d'accordo sul fatto che nel 1999 la cosa più logica da fare, specialmente per chi non aveva denaro da sperperare, era quella di aspettare PlayStation 2, anche solo per capire le differenze con la console Sega, ma oggi possiamo dire che chi perse il treno lo perse per sempre. Il picco creativo e qualitativo di Sega durante la breve vita del Dreamcast è un evento da ricordare, qualcosa forse irripetibile. Capirete quindi che vivere tutto questo nel momento esatto in cui veniva proposto, ti faceva sentire quasi in una timeline diversa da quella ufficiale, quella in cui il grosso degli appassionati di videogiochi continuava a farsi bastare la prima PlayStation mentre sognava PlayStation 2. A tutti questi giochi si aggiungono anche diverse produzioni terze parti piuttosto originali, tipo il Wacky Racer di Infrogrames, il gioco su licenza di Berserk, il già citato Powerstone e, sempre da Capcom, Resident Evil Code Veronica.
Un'eredità per tutti
Nel 2001, con l'acqua alla gola nonostante il lascito miliardario del presidente Isao Okawa, morto nel marzo dello stesso anno, terrorizzata dai forecast economici e da dati di vendita in veloce calo, la compagnia getta la spugna: il Dreamcast è morto e con lui la Sega del '900. Ma negli anni a seguire, quest'ultima gloriosa console ha continuato in qualche modo a vivere, nel Progetto Midway (diventato poi Xbox), nell'idee di gameplay e nelle rivoluzioni tecniche e di know-how che, nate durante questi rampanti anni, trovarono maturazione solo successivamente e per mano di altri. Da questa incredibile storia, qui semplificata per rispettare il festeggiato, sono passati ben venti anni. Io ne avevo diciannove, facevo il mostro al lunapark, crescevo e sognavo tra le braccia di una Francesca e proprio il Dreamcast fu la prima console che acquistai con i miei soldi, la prima che giocai da... grande. E voi, invece, chi eravate, dove stavate quando cadde il gigante e il mondo dei videogiochi cambiò per sempre volto?
Mentre ci pensate, prima di buttarvi sui commenti, togliamoci il pensiero e facciamolo in coro: auguri Dreamcast!