In occasione della GDC del 2011, un analista di Lazard Capital Markets di nome Atul Bagga si è presentato sul palco presidiando un panel che all'epoca era al limite della fantascienza. In "Trend emergenti nei giochi come servizi", di fronte a una platea non certo gremita di partecipanti, ha praticamente predetto il futuro, tratteggiando l'intera evoluzione del mercato dei videogiochi nel corso del decennio successivo, inclusa la transizione verso i dispositivi mobile, l'impatto dei nuovi sistemi di monetizzazione e la struttura delle opere nostre contemporanee. È possibile che risalga proprio a quel momento la prima coerente, seppur ancora nebulosa, definizione dei "Games as a Service", i giochi come servizi, ancora oggi tremendamente difficili da inquadrare in una fattispecie chiara e univoca.
Prendendo per valide le interpretazioni di Bagga, della pubblicazione IEEE Internet Computing e di altri autori accreditati, si può definire "gioco come servizio" ogni videogioco che mira alla monetizzazione nel lungo periodo, in un momento successivo a quello dell'acquisto, integrando un flusso indefinito di nuovi contenuti volti a mantenere attiva - e spendente - la comunità di giocatori. Secondo tale corrente di pensiero Minecraft o No Man's Sky, per fare due esempi classici, non si potrebbero definire dei "GaaS", perché nel loro caso il ricco supporto post-lancio ha l'unico scopo di alimentare i numeri delle vendite senza introdurre ulteriori elementi di monetizzazione. Di contro, rientrerebbero perfettamente nella definizione parecchie esperienze che presentano profonde differenze: c'è il modello Destiny, fondato sul lancio di corpose iniezioni di contenuto originale a pagamento; c'è l'esempio di Fortnite, che ha corredato la pubblicazione free-to-play con un sistema a base di contenuto stagionale e pass battaglia; ci sono le antiche strutture degli MMORPG come World of Warcraft, che prevedono il pagamento di un canone mensile obbligatorio.
Nella nostra contemporaneità, l'emersione della nomenclatura GaaS accanto a un nuovo prodotto viene accolta in modo profondamente diverso a seconda della natura stessa dell'opera. Nel caso dei videogiochi orientati verso il multigiocatore competitivo, il pubblico si è abituato a dare per scontate la natura di gioco come servizio e la presenza di contenuto stagionale, al punto tale che sarebbe ormai decisamente più sorpreso del contrario; quando invece si tratta di esperienze di altro tipo - come nel caso del recente annuncio di Suicide Squad secondo Rocksteady - le frange più rumorose degli appassionati non esitano a esprimere il proprio disappunto, mentre la stessa critica non può fare a meno di mostrare una certa sfiducia.
Come mai l'etichetta del gioco come servizio è ancora così discussa? Ma soprattutto, quali sono effettivamente i numeri dei GaaS? La situazione è estremamente complessa, perché il quadro che si è venuto a delineare racconta un mercato fatto di estremi, di clamorosi successi e di scoraggianti fallimenti. Un mercato che sembra al tempo stesso più che saturo, nel quale è estremamente difficile riuscire a sottrarre scettro e corona ai pochi eletti che sono riusciti ad ammaliare un'enorme fetta di pubblico, ormai legata indissolubilmente al singolo progetto.
Brevissima storia dei GaaS
Al netto di qualche arcaico precursore, il primo gioco come servizio in senso stretto è considerato World of Warcraft di Blizzard Entertainment, celebre MMORPG originariamente rilasciato nel 2004. La scatola magica delle fucine di Irvine fu piazzata sugli scaffali dei negozi al prezzo di $49.99, ma per poter effettivamente giocare sarebbe stato necessario anche sottoscrivere un abbonamento mensile di $14.99. Tale tariffa aveva lo scopo di finanziare i massicci server multigiocatore e, al tempo stesso, di garantire agli utenti un costante flusso di contenuti aggiuntivi, da intendersi come una sorta di assicurazione sul divertimento: se l'opera non avesse dovuto soddisfare le aspettative della base installata, gli utenti sarebbero stati liberi di sospendere il servizio in qualsiasi momento, spingendo gli sviluppatori a lavorare alacremente per mantenere in vita la comunità di appassionati.
Attorno al 2007, durante la prima emersione del segmento mobile, Tencent iniziò a esplorare le diramazioni del mercato orientale attraverso diverse formule di social-gaming, prima attaccando le sponde del PC attraverso le conversioni cinesi di opere come Dungeon Fighter Online - titolo che nel suo intero ciclo vitale ha incassato oltre 20 miliardi - e poi gettandosi a capofitto nella mischia delle applicazioni per smartphone. Un anno più tardi, nell'aprile del 2008, Team Fortress 2 di Valve Corporation ha accolto sulle sue sponde il Gold Rush Update, il primo di una serie di aggiornamenti votati alla personalizzazione dei personaggi che, nel lungo periodo, resero possibile una transizione completa verso la formula free-to-play, spostando il peso della monetizzazione nelle sole mani delle cosiddette microtransazioni.
Nel corso degli anni successivi ciascuna di queste radici germogliò in modi differenti. Valve Corporation tradusse la lezione impartita da Team Fortress 2 nelle architetture di Counter Strike: Global Offensive e soprattutto di DotA 2. Quest'ultimo, infatti, nacque per competere direttamente con League of Legends di Riot Games, neonato MOBA che aveva già da qualche tempo messo in piedi un eccellente e oltremodo redditizio sistema di monetizzazione sviluppato in orizzontale. Nel frattempo numerose opere, specialmente nel segmento MMORPG, iniziarono ad abbracciare il modello free-to-play rinunciando completamente al prezzo d'ingresso - fu anche il caso di progetti di una certa caratura come Star Wars: The Old Republic - mentre l'unico porto rimasto sicuro nel mezzo del mare in tempesta era quello degli hardware da salotto.
Dopo il timido ingresso in scena di GTA Online, che poté contare su un lancio tutt'altro che entusiasmante, nel 2014 Bungie mosse l'ultimo passo della rivoluzione attraverso la pubblicazione di Destiny. Il tentativo di replicare il modello World of Warcraft in salsa sparatutto su PlayStation e Xbox - sostituendo il prezzo d'ingresso nelle espansioni alla tariffa dell'abbonamento - riuscì a traghettare oltre 30 milioni di giocatori in soli due anni nel suo universo persistente. Attraversando quel ponte di vetro in modo tanto deciso, e rendendo familiare al grande pubblico la definizione di "Game as a Service", Bungie convinse gran parte dei grandi del mercato a seguirla senza esitazioni. Se da allora non è praticamente più emerso videogioco multigiocatore che non fosse un GaaS, fino ad arrivare a exploit clamorosi come quello di Fortnite, Destiny ha inaugurato con le sue sole forze un genere inedito di produzioni, l'ispirazione che oggi sembra aver portato Suicide Squad di Rocksteady a inciampare con mesi di anticipo rispetto alla pubblicazione.
I numeri dei GaaS
In occasione dell'esordio di Destiny 2: L'Eclissi, la variante Steam del titolo di Bungie ha segnato il nuovo record di giocatori simultanei, toccando quota 316.750. I giocatori giornalieri su tutte le piattaforme orbitano attorno agli 1.6 milioni, al netto di oltre 40 milioni di account registrati. È bene precisare che Destiny 2 rappresenta senza ombra di dubbio una mosca bianca nel suo sottobosco di riferimento: l'opera che più gli si avvicina è Warframe di Digital Extremes, con una media di 40.000 giocatori attivi giornalmente su PC e circa 30.000 su console, mentre tutti gli altri rivali e anche i tanto attesi "Destiny-killer" sono ormai caduti nelle metriche. Attenendosi esclusivamente ai dati di Steam, The Division 2 conta attualmente una media di 2.000 utenti giornalieri, Outriders oscilla attorno ai 400, Marvel's Avengers è sceso da tempo sotto quota 200, i numeri di Anthem non sono più disponibili da anni, mentre il triste destino di Babylon's Fall è ormai ben noto alla piccola comunità di ormai ex-appassionati.
Il discorso è molto diverso sul fronte degli MMORPG in senso stretto: sebbene la leggenda di World of Warcraft, con i suoi oltre 100 milioni di utenti registrati, sia praticamente impossibile da scalfire, i numeri contemporanei raccontano un mercato diviso fra due superpotenze equivalenti, perché Final Fantasy XIV si è fatto più vicino che mai. Si stima siano circa 2.300.000 gli utenti che visitano Azeroth ogni giorno, contro gli 1.700.000 che battono i sentieri del continente di Eorzea. Gli equilibri sono fortemente mutati in seguito alla pubblicazione di Shadowlands a firma di Blizzard Entertainment, espansione che ha portato una fetta considerevole della base installata a virare verso l'opera di Square Enix. Il ruolo di terzo incomodo è interpretato da Old School Runescape, per gli amici OSRS, i cui effettivi numeri - sulla carta prossimi al milione - risultano di difficile lettura a causa della massiccia presenza su piattaforme mobile. Al netto del peso dei grandi, alle loro spalle si estende un florido ventaglio di produzioni in perfetta salute, da Lost Ark fino a Black Desert, passando per Guild Wars 2 per arrivare infine a The Elder Scrolls: Online. Persino limitando l'analisi al solo mercato occidentale, gli MMORPG di "seconda fascia" non faticano a tenere impegnate diverse decine di migliaia di giocatori ogni giorno, scendendo molto raramente al di sotto della media dei 15.000 utenti quotidiani solamente su Steam.
Non stupisce che lo scettro dei GaaS resti saldamente nelle mani delle produzioni pensate per il multigiocatore competitivo, i cui dati sono tuttavia spesso imprecisi a causa della natura marcatamente cross-platform e della refrattarietà dei publisher a diffonderli pubblicamente. Incrociando i report più accreditati, tuttavia, è possibile farsi un'idea piuttosto chiara: League of Legends accoglie un numero di utenti mensili che si colloca nella forbice tra i 117 e i 150 milioni di appassionati, una cifra esorbitante che si è cristallizzata in seguito all'esordio della serie TV Arcane nel 2021. Si sono invece sciolti i dubbi su Fortnite: durante la diretta UEFN, Epic Games stessa ha dichiarato che la sua opera magna può vantare 70 milioni di utenti attivi su base mensile, al netto dei 500 milioni di giocatori registrati; nel corso dell'evento legato alla sconfitta di Galactus si sono sfiorati i 15 milioni di giocatori connessi contemporaneamente.
Valorant di Riot Games, ultimo arrivato fra gli sparatutto tattici a squadre, ha conosciuto una leggera flessione in seguito all'exploit iniziale, e il mese scorso si è assestato attorno ai 18 milioni di Agenti attivi. Resta ancora lontano il rivale Counter-Strike: Global Offensive, forte di una solida fanbase che orbita costantemente attorno al milione e mezzo di accessi giornalieri, per un totale fra i 31 e i 40 milioni di utenti unici mensili. Siamo pur sempre al di sotto dei risultati raggiunti dai titani multipiattaforma, da Call of Duty fino a PlayerUnknown's Battlegrounds, storicamente capaci di accogliere centinaia di milioni di utenti grazie allo straordinario peso della piattaforma mobile, che hanno penetrato in modo efficace: entrambi hanno fatto registrare medie mensili oltre i 100 milioni di utenti. Proprio come nel caso dei MMORPG, d'altra parte, esiste una florida scena di titoli in perfetta salute, da Overwatch, passando per Apex Legends, per arrivare a Rainbow Six Siege, sempre premiati dalle rispettive comunità attraverso milioni di accessi mensili.
Restano da valutare le altre derive dei giochi come servizi, in primis quelle venute dall'oriente, esplose nella cultura di massa a seguito del successo di Genshin Impact. Il gacha game di MyHoYo, secondo ricerche estensive condotte nella rispettiva comunità Reddit, conta circa 65 milioni di utenti mensili - la maggior parte dei quali attivi su dispositivi mobili - ed è al momento l'unica produzione del genere ad aver sfondato con successo qualsiasi barriera territoriale.
In linea generale, il mercato maturato su smartphone gioca in un campionato a sé stante: cinque titoli - PUBG Mobile, Pokémon GO, Mobile Legends: Bang Bang, Garena Free Fire e Candy Crush Saga - hanno da tempo infranto l'invalicabile muro del miliardo di giocatori registrati. Il MOBA per mobile Honor of Kings di Tencent, con il suo picco di 200 milioni di giocatori mensili, è invece il titolo con la base installata attiva più vasta in assoluto.
Questione di soldi?
La domanda da porsi, al netto dei numerosi GaaS incapaci di sopravvivere alla prova del tempo, è se convenga realmente proseguire in questa direzione, e anche in questo caso la risposta è molto complessa. Sì, realizzare giochi come servizi conviene, ma solo se si riesce a soddisfare almeno una fra due condizioni specifiche: la prima è che la base installata si faccia talmente ampia da consentire alla frazione del pubblico più spendente di generare abbastanza ricavi per sostenere l'interezza del pubblico. Ciò è molto difficile, perché è stato desunto che nel prodotto medio il 50% dei ricavi complessivi provengono dallo 0,15% dei giocatori totali, frazione che genera una ARPU (Average Revenue per User) molto superiore alla media; in poche parole sarebbero 15 persone ogni 15.000 a mandare avanti l'intero ciclo di sviluppo, pertanto è fondamentale allargare il più possibile il bacino d'utenza. La seconda condizione è che il GaaS rimanga operativo per tutto il tempo che servirebbe a pubblicare due "Games as a Product" egualmente redditizi, portando all'abbattimento dei costi di lavoro e soprattutto alla quasi totale eliminazione di determinate fasi della produzione. Di mezzo c'è anche una noiosa ma importantissima questione legale: per diverso tempo l'industria ha tentato di far classificare i videogiochi come "servizi" in modo da poter proporre determinati accordi di licenza - spesso predatori - all'utente finale. Accordi che non sarebbero leciti per semplici "prodotti", come per esempio quelli volti a limitare la rivendita dell'usato, ed è evidente che tale problema scompaia del tutto nel sottobosco dei GaaS.
Vale la pena, arrivati a questo punto, stilare una lista dei quindici giochi come servizi più redditizi di tutti i tempi per farsi un'idea chiara della situazione globale. Tale lista è stata stilata incrociando e aggiustando i dati e le stime reperibili pubblicamente, senza tenere conto dell'inflazione.
- Dungeon Fighter Online - PC - $20.000.000.000
- Honor of Kings - Mobile - $15.600.000.000
- League of Legends - PC - $13.450.000.000
- CrossFire - PC - $13.000.000.000
- World of Warcraft - PC - $11.300.000.000
- PUBG - Multipiattaforma - $11.180.000.000
- Monster Strike - Mobile - $10.500.000.000
- Fortnite - Multipiattaforma - $9.000.000.000
- Puzzle & Dragons - Mobile - $8.500.000.000
- Pokémon GO - Mobile - $7.760.000.000
- Grand Theft Auto V - Multipiattaforma - $7.506.000.000
- Candy Crush Saga - Mobile - $7.450.000.000
- Clash of Clans/Clash Royale - Mobile - $6.500.000.000
- Fantasy Westward Journey - Multipiattaforma - $6.100.000.000
- Fate/Grand Order - Mobile - 5.500.000.000
Se da una parte è evidente che i GaaS che riescono ad accumulare enormi masse di pubblico sono in grado di generare ricavi impensabili per produzioni di altro genere, ciò sembra valere esclusivamente per la fascia più alta del mercato. L'esempio di Destiny 2, infatti, suggerisce che il GaaS non sia sempre una gallina dalle uova d'oro: Sony ha acquisito Bungie per $3.6 miliardi, una somma ragionevole dal momento che si stima che i guadagni della compagnia siano nell'ordine dei $300 milioni all'anno. Il che rappresenta senza dubbio un risultato eccellente, ma non certo una cifra da capogiro di per sé capace di convincere qualsiasi sviluppatore a esplorare tale modello. È diverso il caso di società come Electronic Arts e Activision Blizzard: stando a uno studio di DFC Intelligence, il valore della prima è cresciuto da $3 miliardi a $33 miliardi in seguito al passaggio al modello GaaS, mentre nel medesimo periodo quello di Activision-Blizzard è schizzato da $20 miliardi a $60 miliardi, somma che spiega l'esborso di Microsoft ai fini della tentata acquisizione.
Il lato oscuro
Successo, soldi, fama, riconoscimenti. Guardando al volto illuminato dei GaaS è facile trarre la conclusione che si tratti di un modello quasi perfetto, ma è sotto gli occhi di tutti come esista un lato oscuro ormai impossibile da ignorare. Solamente tra il 20 gennaio e il 3 febbraio del 2023, otto diversi GaaS hanno chiuso i battenti per sempre: si è trattato di Apex Legends Mobile, Battlefield Mobile, CRIMESIGHT, Knockout City, Rumbleverse, CrossfireX, Dragon Quest The Adventure of Dai: A Hero's Bonds, ed Echo VR.
C'è poco da esserne felici, perché dietro questi titoli si celavano sviluppatori appassionati che hanno accumulato anni di lavoro nel tentativo di attrarre orde di videogiocatori. Fa riflettere la lettera pubblicata da Iron Galaxy, sviluppatore di Rumbleverse oggi nell'occhio del ciclone per il port PC di The Last of Us Parte I, in occasione della chiusura definitiva: "Quando lavori a un videogioco, immagini che ci sia una comunità che prima o poi si faccia viva per giocarci. Per anni abbiamo sognato una città piena di vita e di giocatori pronti a lottare per diventare dei campioni. Abbiamo combattuto per creare un luogo vibrante che celebrasse lo spirito competitivo. Il nostro scopo era quello di portare nuovamente gioia al mondo multigiocatore online".
Nonostante le cattive notizie, il mondo dei GaaS continua ad esercitare un fascino magnetico che al tempo stesso profuma di necessità. Lo scorso gennaio, Yves Guillemot di Ubisoft ha pubblicato una comunicazione sul mutamento degli obiettivi finanziari, affermando che: "Stiamo attraversando dinamiche di mercato avverse, mentre l'industria continua a spostarsi verso i mega-brand e i giochi come servizi destinati a durare in eterno. [...[Ci aspettiamo che la nostra nuova strategia riesca a costruire live-games destinati a durare a lungo e trasformi i nostri brand in veri fenomeni globali, attraverso tante offerte su diverse piattaforme e modelli di business, con il fine ultimo di generare valore, portando una crescita del fatturato e del reddito operativo nei prossimi anni". Siamo nel territorio della speculazione, ma la sensazione è che le grosse società abbiano il bisogno fisiologico di puntare sui GaaS come modello sostenibile; Gwent di CD Projekt e Fallout 76 di Bethesda sono solo due esempi di produzioni live-game emerse subito dopo un grande e costoso prodotto di successo.
È decisamente più difficile da spiegare la filosofia che ha portato Warner Bros a impiegare Rocksteady sul progetto Suicide Squad, un GaaS che sembra uscito da un altra epoca e che, soprattutto, si è visto chiaramente sfilare davanti agli occhi i resti di opere come Marvel's Avengers di Square Enix. Forse il problema risiede proprio nei tempi di sviluppo, nel fatto che le produzioni concepite per competere nel mercato di sei anni fa stiano vedendo luce solo adesso, nei confini di un'industria che continua a mutare a velocità folle in seguito alla battuta d'arresto portata dalla pandemia. O forse, ragionando in termini più filosofici, è tempo che le idee alla base dei progetti tornino ad essere tali: delle semplici idee, non il frutto dell'inseguimento forzato di una corrente di mercato redditizia. Se poi quelle idee contemplano incidentalmente la formula del GaaS, come dimostrato da esempi virtuosi quali Destiny o League of Legends, allora non c'è niente di cui preoccuparsi.