Uno dei più grossi problemi che i game designer di coin op si trovarono ad affrontare tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 aveva una natura squisitamente economica. Le sale giochi erano piene di ragazzi e ragazzini che non vedevano l'ora di spendere le loro monetine sui cabinati del momento e il settore era in forte crescita, ma diversi gestori iniziarono a lamentarsi del fatto che i ricavi dei singoli giochi diminuivano all'aumentare della bravura dei giocatori. Titoli come Space Invaders o Pac-Man, che avevano una struttura ricorsiva con difficoltà crescente, dopo qualche settimana di permanenza in un locale venivano letteralmente dominati e alcune partite iniziavano a durare decine di minuti, riducendo il flusso di monete dei cassoni.
Le soluzioni trovate per ovviare al problema furono diverse, alcune squisitamente tecniche (modifiche ai giochi, spesso non autorizzate, per renderli più difficili), altre meramente gestionali (rotazione dei coin op più veloce, soprattutto quando i giocatori fissi diventavano troppo forti) e altre legate al game design stesso dei titoli. La scuola giapponese in questo senso si dimostrò particolarmente attiva e capace di intercettare una delle prime grandi mutazioni del mercato, sfruttandola a vantaggio del modello economico degli arcade. Pac-Man in particolare aveva dimostrato che gli utenti potevano apprezzare moltissimo la narrativizzazione dei videogiochi, tanto che dal gioco di Tōru Iwatani in poi fu tutto un fiorire di personaggi caratterizzati in modo riconoscibile, protagonisti di vere e proprie storie, raccontate attraverso delle brevi e spesso semplicissime sequenze narrative. L'epoca della rappresentazione simbolica era al tramonto, marginalizzata dall'avanzamento tecnologico che aveva inevitabilmente finito per alterare i gusti del pubblico, dandogli qualcosa che non aveva mai visto prima. Inoltre, la possibilità di raccontare delle storie aveva un grosso vantaggio per gli autori coin op: consentiva di delimitare in modo molto più arbitrario l'estensione dei giochi, permettendo di definire dei punti di inizio e di fine forti e vincolanti. In fondo ogni storia deve avere una sua conclusione, prima o poi.
Una retrospettiva sensata sulla serie Ghosts 'n Goblins non può che partire contestualizzando il primo capitolo all'interno del sistema economico che lo ha generato, evitando così i fraintendimenti tipici di chi tende a rileggere quell'epoca del videogioco adottando una prospettiva moderna, di suo poco efficace per comprenderla.
Il design di Ghosts ‘n Goblins
Il coin op Makaimura di Tokuro Fujiwara, da noi conosciuto come Ghosts 'n Goblins, arriva in sala giochi il 19 settembre del 1985, appena sei giorni dopo Super Mario Bros. per NES. Né il titolo di Capcom, né il titolo di Nintendo sono considerabili i primi platform della storia. Giochi come Snokie di Funsoft (1983), B.C.'s Quest for Tires di Sierra On-line (1983) e Pac-Land di Namco (1984) li avevano anticipati, sia temporalmente, sia nell'introduzione di molti degli elementi che sarebbero poi diventati canonici nel genere. Si tende a dimenticarli o ignorarli perché non hanno produttori hardware o editori che ne rivendano la memoria a ogni generazione. Ma non lasciamoci trasportare da discorsi che ci condurrebbero troppo lontano e torniamo a noi.
L'accostamento tra Ghosts 'n Goblins e Super Mario Bros. è particolarmente interessante, perché i due classici condividono alcune soluzioni di design per l'epoca decisamente all'avanguardia, ma adattate a contesti di gioco completamente diversi. Ad esempio in entrambi viene garantita una certa libertà di approccio ad alcune sezioni, con il moltiplicarsi delle vie per raggiungere la fine dei livelli, così come entrambi offrivano un buon numero di segreti da scoprire (pratica nata in sala giochi ma sdoganata proprio dal titolo di Miyamoto). Certo, le differenze erano ancora più marcate, per il semplice fatto che in un caso ci trovavamo di fronte a un gioco pensato espressamente per il mercato casalingo, quindi maggiormente diluito, mentre nell'altro il team di sviluppo fu costretto ad adoperare una fortissima compressione, che portò però ad avere una varietà di situazioni davvero eccezionale, tanto da fare scuola.
In effetti vale la pena elencare tutti i luoghi che Arthur, il protagonista, si trova ad attraversare per raggiungere e salvare la principessa Prin Prin, rapita all'inizio del gioco da una red guard, uno dei luogotenenti di Satana: un cimitero pieno di zombi e di piante carnivore spara occhi, supervisionato da uno dei figli di satana (un demone rosso molto agile, diventato una vera e propria icona della serie); un piccolo specchio d'acqua che ospita una singola piattaforma semovente; una foresta dove bisogna prima evitare dei cavalieri ondulanti protetti da degli scudi indistruttibili, quindi affrontare i wraith, uno dei nemici tipici del gioco (sostanzialmente delle piadine con degli occhi al posto dello squacquerone) e infine combattere contro un grosso ciclope, il boss del primo livello; delle torri di ghiaccio che spuntano da un lago dove vivono dei diavoletti blu; un palazzo infestato da dei goblin viola che ci dà il benvenuto nella città di Camelot, un grosso edificio controllato dai possenti ogre (che simpaticamente hanno dei cuori tatuati sulle braccia); una sezione della città piena di piattaforme semoventi e corvi rossi, che si conclude con lo scontro contro due ogre (i boss di fine secondo livello);
una grotta piena di zombi e di torrette golem a due teste; una grossa grotta popolata da wraith e figli di satana, che si conclude con un possente drago (il boss del terzo livello); un abisso solcato da piattaforme formate da bulbi oculari; un ponte infuocato che conduce allo scontro con un altro drago (il boss del quarto livello); l'ingresso del castello di Satana pieno di scheletri, demoni blu armati di palle infuocate e di wraith; la parte superiore dell'ingresso, dove bisogna superare delle piattaforme semoventi e degli ogre; poi la parte superiore dell'area, dove si trova la prima red guard (il boss del quinto livello); la torre di Satana, dove ci si scontra, nell'ordine, con due ciclopi, un drago, diversi demoni rossi, degli ogre e due red guard; infine gli alloggi di Satana, che può essere sconfitto davvero solo usando un'arma specifica (lo scudo o la croce, a seconda della versione del gioco). Secondo voi qual è il tempo necessario per superare quest'apparentemente interminabile serie di ostacoli? Circa dieci minuti al primo giro, venti considerando il secondo (necessario per sbloccare il vero finale del gioco).
Come dovreste avere ormai intuito da soli, il lungo elenco di luoghi e nemici fatto nel precedente paragrafo non è semplicemente un vezzo per dimostrare che conosciamo il gioco, ma anche un modo per far capire il livello di compressione dei contenuti operato dai designer, che non potevano permettersi di far durare l'avventura troppo a lungo, per non rendere il coin op economicamente controproducente, rallentandone troppo la monetizzazione.
Fu proprio in quegli anni che moltissimi coin op iniziarono a essere pensati come delle rapide cavalcate che dovevano tenere desta l'attenzione dall'inizio alla fine, offrendo una miriade di situazioni differenti, per non annoiare mai il giocatore, convincendolo a infilare monetine nel cabinato per vedere cosa c'era dopo e provare la soddisfazione data dal superamento di ostacoli spesso difficilissimi, a volte al limite dell'impossibile. Fujiwara in questo senso fu un vero e proprio cantore della nuova tendenza dei coin op narrativi, nonché un abilissimo designer che studiò attentamente ogni singolo pixel dei livelli di gioco per velocizzarli.
Esaminando il gameplay di Ghosts 'n Goblins non è difficile notare che è pieno di piccoli accorgimenti che mirano a rendere il più rapide possibili le azioni del giocatore, fluidificandole in ogni modo concepibile. Arthur è un personaggio molto debole, cui basta essere colpito due volte per perdere una vita (al primo colpo perde solo la corazza, rimanendo letteralmente in mutande). A sua disposizione ha poche armi, ottenibili uccidendo i nemici che portano dei vasi, alcune delle quali quasi controproducenti, tanto sono difficili da usare con perizia (pensate alle asce o alle torce). Volendo è possibile trovare delle corazze extra nascoste nei livelli, ma per ottenerle bisogna appunto conoscerne la posizione, nonché le modalità di sblocco (solitamente bisogna compiere dei salti in dei punti precisi, o passare su delle piattaforme specifiche).
Il campione del gioco di Fujiwara è colui che ha dei tempi di reazione rapidissimi all'apparire degli ostacoli, cui non deve dare il tempo di diventare pericolosi. Conosce a memoria la posizione dei nemici e delle trappole e sa come anticipare ogni possibile rischio. Non reagisce a ciò che vede succedere sullo schermo, ma pre-agisce per evitare che si esprima. Analizziamo ad esempio la sezione iniziale, quella del cimitero. Un giocatore molto forte può superarla nel giro di quaranta secondi o poco più. Difficilmente si attarderà, perché nel caso si fermasse, renderebbe gli ostacoli potenzialmente più letali.
Succede con le piante carnivore, che sparano proiettili che tentano di anticipare i movimenti del giocatore. La prima in particolare è posizionata in modo tale da rendere deleterio ogni stop: conviene correre immediatamente sulle scale, senza fermarsi (se non per evitare i colpi) e spararle appena arrivati in cima. Nel caso si può saltare un proiettile, ma non conviene tergiversare troppo, perché aspettare si tradurrebbe nel dover evitare più colpi e più zombi contemporaneamente.
Qualcosa di simile succede anche con il demone rosso, posto alla fine dell'area, che si può eliminare agilmente saltandogli davanti e sparando una rapida serie di tre colpi. Nel caso si decidesse di applicare una tattica più attendista, lo scontro diventerebbe incredibilmente più arduo, a causa della sua incredibile agilità e alla su capacità di schivare i colpi, anticipando gli attacchi del giocatore.
Anche con i cavalieri ondulanti e con i wraith la storia si ripete: rallentare significa vedere i nemici moltiplicarsi e attaccare in modo meno prevedibile. Meglio studiarli partita dopo partita per imparare a superarli correndo, anticipandone le mosse. Pensiamo proprio ai cavalieri dondolanti: un nemico pensato per apparire in gioco dieci secondi e non ritornare più.
Di esempi fattibili ce ne sarebbero anche altri, come la rapidità con cui si devono attraversare le torri di ghiaccio del secondo livello per non essere attaccati da tutte le direzioni, o quella richiesta per superare le piattaforme semoventi del quarto livello, che seguono degli schemi di movimento molto precisi, che si rompono nel caso ci si attardi troppo. La sostanza è però sempre la stessa: una partita ben giocata di Ghosts 'n Goblins sembra quasi un balletto, diretto da un coreografo invisibile, ma molto presente, che lascia un certo margine di libertà, ma impone continuamente dei ritmi serratissimi.
La nascita della serie: Ghouls ‘n Ghosts
Ghosts 'n Goblins ebbe un grandissimo successo. Non divenne famoso come Pac-Man o Space Invaders, ma la sua formula fu ripresa da moltissimi altri autori di coin op perché, semplicemente, funzionava sia a livello ludico, sia a livello economico. In realtà non fu nemmeno il primo gioco a proporla, ma fu uno dei primi ad affinarla, offrendo un'esperienza appassionante ai giocatori, senza far pesare troppo sui locali che lo ospitavano la loro crescente bravura. Giochi come Wardner di Taito o Legend of Hero Tonma di Irem (tanto per fare due nomi) devono moltissimo al gioco di Fujiwara. Capcom stessa non solo ne riprese alcune idee in altri suoi titoli, come Black Tiger, ma trasformò Ghosts 'n Goblins nel capostipite di una serie, il cui seguito Daimakaimura, Ghouls 'n Ghosts in occidente, uscì nel 1988.
Ghouls 'n Ghosts condivideva completamente il concept del suo predecessore, pur aggiungendo diversi elementi alla formula originale. Intanto graficamente era molto più bello, grazie all'uso della nuovissima scheda arcade CPS-1, capace di quelle che all'epoca erano considerate delle vere e proprie meraviglie: una paletta di colori più ampia e variegata; l'alzamento della risoluzione e uan maggiore disponibilità di memoria, che permise la realizzazione di grossi boss dalle animazioni spettacolari (pensate a Loki, il boss finale, che occupava più spazio dell'intero schermo). Fujiwara a parte, il gioco fu sviluppato da un team differente da quello di Ghosts 'n Goblins, che fece comunque un ottimo lavoro, catturando appieno lo spirito dell'originale, proponendo una varietà incredibile e un altissimo livello di sfida, pur se leggermente addomesticato.
Diverse anche le novità del gameplay, come la presenza di una corazza dorata, che consentiva di utilizzare i poteri speciali di ogni arma, da caricare alla maniera del beam di R-Type (altro fenomeno da sala giochi di quegli anni) e il maggior numero di trasformazioni di Arthur, che oltre a diventare una papera, poteva mutare anche in un vecchio lento e goffo. Rivisto anche il secondo giro dei livelli: finendo il primo si poteva sbloccare un'arma molto potente e divertente da usare, che rendeva meno pesante dover rifare tutto il gioco.
A Ghouls 'n Ghost seguì nel 1991 Chohmakaimura, da noi, Super Ghouls 'n Ghosts, per Super Nintendo che, pur riprendendo tutti gli elementi cardine degli altri due episodi, li svolse in modo leggermente differente, per onorare il fatto che dovesse girare su di una piattaforma casalinga e non in sala giochi: quindi Capcom introdusse livelli più lunghi, un maggior numero di segreti, un terzo tipo di armatura (quella magica), che modificava gli effetti delle armi, e il doppio salto. La difficoltà era sempre elevatissima, ma meno punitiva dei coin op.
Il nemico finale è sempre un demone, che in questo caso chiamato Sardius, e bisogna sempre fare due giri dei livelli per completare il gioco, ma qui l'oggetto letale è un braccialetto. Per il resto c'è il cimitero di partenza, ci sono i demoni rossi e ci sono altri nemici iconici come i mini demoni blu o delle copie di Satana (il boss finale del primo gioco) a fare da corollario a un ottimo titolo, molto più amato all'epoca che oggi (diciamo che i giocatori moderni tendono ad appassionarsi meno a certe forme di gameplay).
La lunga pausa: i Gargoyle’s Quest e i due Maximo
Dopo Super Ghouls 'n Ghosts la serie fece una lunga pausa. Capcom sembrò volersi concentrare su port e spin-off. Già Ghosts 'n Goblins era stato portato su di una moltitudine di piattaforme, con risultati a volte ottimi e altri pessimi. Ghouls 'n Ghosts aveva avuto un destino simile, con conversioni eccellenti come quella per PC Engine, e altre dimenticabili come quella Amiga. Nel 1990 Capcom decise di espandere la serie con Gargoyle's Quest per Game Boy, in cui sostanzialmente si guidava il demone rosso visto nei coin op in un platform i cui livelli erano progettati intorno ai poteri della creatura, in particolare quello del volo. Gargoyle's Quest II uscì invece nel 1992 per NES, riprendendo buona parte delle idee del primo capitolo per Game Boy, senza introdurre niente di davvero rivoluzionario. Purtroppo uscì in un periodo in cui il NES era già in una fase calante, quindi passò abbastanza inosservato.
Sempre il demone rosso fu protagonista di Demon's Crest per Super Nintendo, un titolo eccellente uscito nel 1994, considerato tra i platform game migliori tra i molti disponibili per la console a 16-bit della casa di Mario. Da qui in poi la serie accumulerà una serie di progetti di secondo piano, alcuni dei quali mai arrivati in occidente.
Nel 1996 viene pubblicato su Sega Saturn e PlayStation il puzzle game Arthur to Astaroth no Nazomakaimura: Incredible Toons, ossia una copia carbone di Sid & Al's Incredible Toons riletta in chiave Ghosts 'n Goblins. Altro progetto minore legato alla serie fu il Makaimura del 1999 pubblicato sulla console portatile WonderSwan di Bandai. Come la console, anche il gioco non uscì mai dal Giappone. Peccato, perché l'idea di creare livelli e nemici prendendo idee dai tre capitoli precedenti era davvero interessante e il gioco viene considerato come molto riuscito, nonostante la grafica monocromatica.
La mini serie Maximo risale invece al 2001 ed è formata da due soli capitoli: Maximo: Ghosts to Glory (2001) e Maximo vs. Army of Zin (2003) , pubblicati soltanto su PlayStation 2, pur essendo inizialmente stati pensati per Nintendo 64. Si tratta di due action 3D puri che tentano di mescolare alcuni elementi di gameplay dei Ghosts 'n Goblins a uno dei generi all'epoca più in voga.
In realtà i legami tra i due universi sono molto sottili e sono riscontrabili più in alcuni elementi secondari, come i boxer di Maximo che mostra fieramente quando colpito, che in altri di maggior sostanza. Anche personaggi e nemici sono completamente diversi, a parte per la presenza di alcune creature generiche come gli zombi. L'elemento che avvicina maggiormente le due serie è sicuramente la musica, visto che i Maximo offrono delle versioni remixate dei brani della colonna sonora di Ghosts 'n Goblins e Ghouls 'n Ghosts. A parte questo, sono entrambi dei titoli molto validi, che vale la pena di giocare ancora oggi. Peccato che Capcom non abbia mai pensato a realizzarne delle riedizioni.
Ultimate Ghosts ‘n Goblins e i progetti minori
Per avere un nuovo capitolo regolare della serie bisognò attendere il 2006, quando Capcom lanciò Gokumakaimura, Ultimate Ghosts 'n Goblins dalle nostre parti, su PSP. Si tratta del primo GnG in grafica 3D, pur avendo mantenuto un gameplay sostanzialmente 2D. Capcom sa che i tempi sono inesorabilmente cambiati e tenta una strada nuova per Arthur, proiettando le sue avventure in un mondo non lineare, i cui livelli possono essere affrontati in diverso ordine e vanno rigiocati più volte per sbloccarne tutti i segreti.
La difficoltà è sempre altissima e gli elementi più riconoscibili dei capitoli storici ci sono tutti, come le diverse armature, le armi nei vasi e molti dei nemici più riconoscibili. Per accedere al boss finale bisogna trovare degli anelli dorati esplorando in lungo e in largo i livelli, spesso messi in zone raggiungibili solo dopo aver sbloccato dei poteri specifici. Complessivamente Ultimate Ghosts 'n Goblins non è un brutto gioco, ma molti fan non lo ricordano con particolare trasporto per via delle modifiche alla struttura della serie. Capcom aggiornò il gioco per cercare di venire incontro alle richieste dei giocatori, ma senza mai convincerli pienamente.
Peggio ancora è andata con i due Ghosts 'n Goblins mobile: Ghosts 'n Goblins: Gold Knights (2009) e Ghosts 'n Goblins: Gold Knights II (2010) per sistemi iOS, che attualmente risultano inaccessibili. L'unico modo per poterli provare è averli installati su di un vecchio apparecchio iOS. I giochi in sé sono due platform che riprendono personaggi e situazioni dei capitoli originali, pur offrendo un gameplay più lento e semplificato. Inevitabile, visto l'uso esclusivo di controlli touch per giocare. Arthur, accompagnato da Lancelot nel primo capitolo e da Perceval nel secondo, deve combattere contro i soliti demoni, recandosi nel reame dei ghoul. Da notare che ogni personaggio ha le sue abilità speciali, caratteristica che aggiunge un po' di varietà all'azione. Peccato siano entrambi considerabili come scomparsi, visto che Capcom non ha ritenuto necessario portarli su altri sistemi.
In realtà c'è anche un terzo titolo mobile tratto dalla serie Ghosts 'n Goblins: si chiama Otoranger, risale al 2013 ed è un rhythm battle GDR pubblicato solo su sistemi iOS, svanito anch'esso nel nulla come i Gold Knights. In questo caso nessuno lo ha mai visto fuori dal Giappone e in pochi ne sentono la mancanza.
Infine, va sicuramente segnalato l'infelice esperimento Ghosts 'n Goblins Online, che fu lanciato nel 2012 soltanto in oriente e non ottenne alcun successo. All'epoca si parlò anche di una possibile versione occidentale, ma fu abortita abbastanza rapidamente, condannando il gioco all'oblio.
Ghosts 'n Goblins Resurrection
Serie come quella Ghosts 'n Goblins sono difficili da modernizzare perché, a differenza di altre come quella Super Mario Bros., ciò a cui i giocatori sono legati non sono tanto i personaggi, quanto un certo stile di gameplay, che non ti puoi trascinare dietro da un titolo all'altro cambiandogli semplicemente contesto. Per questo motivo Capcom non è riuscita a mantenerla attiva come avrebbe desiderato e sempre per lo stesso motivo i migliori GnG degli ultimi anni sono dei titoli ispirati agli orginali, come Maldita Castilla di Locomalito o Battle Princess Madelyn di Causal Bit, e non delle produzioni ufficiali.
L'editore giapponese sperava di poter recuperare parte dello scenario dei GnG con i Maximo, franchise che in caso di successo avrebbe potuto espandere all'infinito, ma non ci riuscì. Ultimate Ghosts 'n Goblins fu un tentativo quasi disperato, reso possibile dai costi di sviluppo non eccessivi per realizzare un gioco per PSP, ma anche in quel caso le vendite non andarono benissimo. Così il franchise fu di fatto messo in soffitta e riesumato solo per qualche cameo e per tentativi estemporanei come i titoli mobile o i port, sempre per sistemi mobile, degli originali, cui però Capcom non ha dato praticamente alcun vero supporto.
Solo il successo di una console come Nintendo Switch, che coniuga modernità e costi di sviluppo contenuti, poteva aprire all'ipotesi di un nuovo capitolo della serie, che si è materializzato in Ghosts 'n Goblins Resurrection. Capcom ha visto la possibilità di cavalcare il successo di alcuni titoli appartenenti a franchise classici, rivitalizzandone uno dei suoi. L'operazione in sé è stata condotta con grande sapienza (per saperne di più vi rimandiamo alla nostra recensione), mettendo Fujiwara alle redini del gioco e non pretendendo di venderlo come qualcosa di moderno ma, anzi, vantandone in ogni possibile occasione l'aderenza con il modello originale.
Si tratta di un reboot in piena continuità con i primi due episodi, dai quali riprende moltissimi elementi, che abbandona per strada il capitolo per PSP e tutti gli esperimenti fatti sulla pelle del povero Arthur. Ce ne saranno altri? Impossibile dirlo. Tutto dipenderà dalle vendite e dalla possibilità di ripetere un'operazione simile, rendendola economicamente sostenibile. Comunque sia ben tornato Ghosts 'n Goblins, fosse pure per un solo gioco.