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I videogiochi hanno smesso di raccontare?

Vediamo in che stato si trovano i videogiochi, analizzando la situazione da un punto di vista prettamente narrativo, e cerchiamo di capire perché stanno smettendo di raccontarci grandi storie.

SPECIALE di Mattia Pescitelli   —   16/02/2025
Il Giappone feudale di Assassin's Creed Shadows

Qualche giorno fa è stato il venticinquesimo anniversario di Vagrant Story, un videogioco per la prima PlayStation che ha lasciato un grande segno all'interno dell'industria. Mentre mi documentavo per lo speciale Ti sblocco un accordo dedicato alla sua colonna sonora, mi sono imbattuto nella sequenza iniziale con i titoli di testa. Dopo più di vent'anni, nonostante i modelli poligonali ormai preistorici, la scena d'intermezzo (come tutte le altre presenti nel gioco) regge la prova del tempo in modo sconcertante. Quelle spigolose imitazioni di antropomorfo riescono a trasmettere molto più della maggior parte dei personaggi al limite del fotorealismo che inondano l'industria oggigiorno. Questo grazie principalmente a due fattori: la regia e la scrittura.

Ashley Riot, protagonista di Vagrant Story
Ashley Riot, protagonista di Vagrant Story

Negli anni, vuoi per l'avanzamento tecnologico che potrebbe aver reso più pigri gli sviluppatori, vuoi per la necessità di accontentare tutti e subito, le storie sono andate man mano a sbiadirsi per diventare sempre più un elemento in secondo piano, di rilevanza minore rispetto al contenuto. Ovviamente, non è un ragionamento che vale per ogni produzione. Ci sono ancora grandissimi esempi di storie videoludiche in grado di scaldare i cuori e tenere con il fiato sospeso fino all'ultimo, ma si tratta di mosche bianche rispetto agli innumerevoli videogiochi che escono ogni anno dalle principali case di sviluppo. Perché raccontare una storia, specialmente in questo periodo di abbondanza, dove se proponi un'avventura che dura meno di dieci ore sembra che stai ingannando il tuo pubblico, non è affatto cosa semplice. Cosa è successo al racconto? E perché i videogiochi hanno smesso di raccontare?

Fa la tua scelta

Non sarà parso solo a me, immagino, che i videogiochi, negli ultimi anni, abbiano abbracciato ampiamente la dinamica della scelta multipla nei dialoghi. Non stiamo parlando di una novità assoluta. La scelta multipla accompagna i videogiochi da ben prima che la parvenza di una regia cinematografica si insinuasse nelle modalità del loro comunicare, quando i videogiochi erano ancora "teatro", con palcoscenico e quinte dalle quali gli attori di pixel entravano e uscivano di scena. Però, oggi la troviamo implementata sostanzialmente ovunque, anche in titoli che potrebbero farne completamente a meno.

I protagonisti di Assassin's Creed Valhalla
I protagonisti di Assassin's Creed Valhalla

Viene lasciata al giocatore la facoltà di costruire la storia che qualcun altro non ha avuto il coraggio o il tempo o la competenza di comporre a monte in una maniera efficace e coesa. Perché non tutti sono Baldur's Gate III, dove ogni scelta ha effettivamente un peso e porta a un'esperienza stratificata e totalmente dissimile da quella di un altro giocatore che, magari, ha preso anche solo una decisione differente rispetto alla nostra.

Oggi ci ritroviamo con le opzioni di dialogo di un Assassin's Creed o, peggio ancora (ma già più "comprensibile", considerando la natura da free-to-play), con quelle di un Genshin Impact, nel quale la narrazione procede per conto suo, a prescindere da cosa abbiamo fatto dire al personaggio, come se il protagonista e la sua guida Paimon non fossero altro che Scrooge e il fantasma del Natale Presente, osservatori invisibili a tutti mentre il mondo prosegue per conto suo.

Il cast di Genshin Impact
Il cast di Genshin Impact

Perché questo? Perché in così tanti vogliono inserire per forza un'ombra di scelta in una storia che procederebbe perfettamente (a seconda della qualità di quest'ultima, ovviamente) anche senza l'interazione diretta del giocatore? I motivi che mi paiono più rilevanti sono: la durata dell'esperienza, l'illusione di un maggiore coinvolgimento, la difficoltà nel dare una propria lettura di quegli stessi eventi attraverso il proprio punto di vista.

Sempre più grande

La nostra società contemporanea è inevitabilmente fissata con il feticcio della quantità. I videogiochi, in quest'ottica, sono probabilmente quelli che soffrono maggiormente tale tendenza. Mappe immense, miriadi di missioni e punti d'interesse, collezionabili a volontà, ore infinite di gioco. Tutto è "di più", studiato in modo da tenere impegnato il proprio pubblico per il maggior numero di tempo possibile.

La mappa di Days Gone
La mappa di Days Gone

Ad alcuni progetti può andare bene, ad altri meno bene, ma l'industria non sembra affatto disposta ad abbandonare questo modello, anche quando è chiaro che non sia la strada giusta da seguire (basta vedere Ubisoft che, proprio di recente, ha dichiarato che nei prossimi anni continuerà a sviluppare videogiochi d'avventura a mondo aperto e live service). Ma, in un medium che fa della narrazione comunque una parte integrante dell'esperienza, va da sé che anche quest'ultima si deve adattare alla scala dei contenuti proposti.

Ora, se la storia che si vuole raccontare ha il potenziale di poter essere espansa e sviluppata in un grande numero di ore, ben venga, ma è il come a fare la differenza. Perché ultimamente stiamo assistendo a un numero sempre più grande di titoli che affidano il proprio raccontare unicamente al dialogo, perdendo tutta l'enfasi dell'atto in sé.

Un esempio di dialoghi in Assassin's Creed Odyssey
Un esempio di dialoghi in Assassin's Creed Odyssey

Personaggi che reiterano le stesse animazioni ancora e ancora per stare al passo con il lungo copione, in una sequela infinita di campi e controcampi statici, che non aggiungono nulla se non un accenno di varietà a questo scambio di battute inframezzato da scelte il più delle volte superflue. Tutto per dare al giocatore, quando gli dice bene, quattro finali differenti (che si sbloccano, comunque, attraverso una singola scelta affatto camuffata, che dà proprio l'idea di essere quel bivio nella storia che porta a una risoluzione o all'altra).

Ma tale discorso non si applica solo alla scelta multipla. Sempre più spesso viene utilizzato l'escamotage degli ologrammi per narrare parti di storia anche parecchio importanti, mentre al giocatore è permesso continuare a muoversi per l'ambiente di gioco senza un vero obiettivo. Deve solo rimanere in zona e ascoltare. Impossibile non ricordarsi delle interminabili registrazioni di Horizon Zero Dawn, che verso la fine della campagna diventano quasi insostenibili per la frequenza e la durata, come se Guerrilla Games, a un certo punto, si fosse arresa nel cercare di dare un minimo di drammaticità agli eventi raccontati. Perché sì, così è molto più facile raccontare una storia: la rendi un audiomessaggio e lasci sostiuire al giocatore gli stimoli visivi nel modo che ritiene più appropriato. Il che, in un medium audiovisivo, è sinonimo di una pigrizia creativa non indifferente.

Nel vivo dell’azione

La scelta multipla non è un male di per sé, anzi! Di videogiochi che non sfruttano, bensì adattano tale modello del comunicare con estrema efficacia espressiva ne esistono dall'inizio della storia dei videogiochi fino a oggi.

Una conversazione in Disco Elysium
Una conversazione in Disco Elysium

Questa modalità non solo è perfettamente integrata con la natura del videogioco, dedita a farci immergere completamente all'interno di un mondo altro per viverlo appieno, ma è anche (se non più) efficace di una narrazione lineare passiva, a patto che la struttura e l'intreccio giustifichino il suo utilizzo. Le opere di Larian Studios fanno esattamente ciò (abbiamo già citato Baldur's Gate, ma lo stesso vale anche per la serie Divinity), come lo hanno fatto, negli ultimi anni, giochi come Disco Elysium, The Witcher, ma anche Kingdom Come Deliverance 2.

Però, oggigiorno, tutto pare dover diventare "di ruolo", in una ibridazione tra generi che, il più delle volte, si rivela inconsistente, non pensata a tavolino in maniera da armonizzare tutti gli elementi assieme e dare a ognuno di esse la rilevanza di cui necessitano. Il risultato è quello che ci siamo abituati a vedere negli ultimi anni all'interno delle principali produzioni a mondo aperto, dove è lasciata totale libertà al giocatore... di scegliere una linea di dialogo che porterà sempre allo stesso risultato. Ciò accade perché molte di queste storie sono pensate per avere un inizio, uno sviluppo e una fine ben stabiliti, dove c'è poco spazio per le ramificazioni, se non per qualche missione secondaria più intricata, ma solo perché di breve durata e totalmente estranea alla narrazione principale. Per salvaguardare l'illusione di una scelta lasciata in mano al giocatore, la storia e il suo ritmo si fanno macellare, sacrificate sull'altare del contenuto.

Regia, questa sconosciuta

Riprendendo l'esempio di Vagrant Story, la sequenza iniziale è una piccola, grande testimonianza di quanto una buona regia possa fare a qualsiasi tipo di narrazione.

I protagonisti di Vagrant Story
I protagonisti di Vagrant Story

Le storie non sono solo parole. Le visualizziamo, le rigiriamo nella nostra testa per metterle in scena come meglio pensiamo; affibbiamo loro un ritmo che ne esalta i momenti che riteniamo più rilevanti. In quella sequenza d'apertura tutto questo è presente.

I titoli inframezzano gli eventi come un metronomo che guida una composizione armonica. Un personaggio, fatto di pochi poligoni, diventa di tutto un altro spessore grazie a una singola scena che lo mostra avanzare con fare deciso oltre un cancello ferrato che gli si serra alle spalle (e taglia la scena, lasciando l'audio indugiare sui crediti di chi ha creato il gioco). In pochi movimenti di macchina virtuale, semplici ma decisivi, si crea un'atmosfera, un ritmo e una comunicazione d'intenti che immerge subito il giocatore nella narrazione. E ciò si ripete e ripete, in modi sempre diversi, fino alla fine del gioco.

Oggi questo approccio non è sparito. Anzi, si è evoluto a dismisura, regalandoci alcune perle di narrazione audiovisiva che fanno impallidire anche le più grandi produzioni cinematografiche. I videogiochi hanno colto il potenziale cinematografico insito nel loro modo di raccontare e lo hanno espanso e adattato alle loro necessità.

Occhio, però, a non scambiare i videogiochi per cinema, perché, nonostante alcuni elementi condivisi, i due medium presentano delle disparità incolmabili, tra tutte il ritmo delle scene.

Indiana Jones come al cinema... più o meno
Indiana Jones come al cinema... più o meno

Ce lo ha dimostrato perfettamente, proprio in tempi recentissimi, Indiana Jones e l'antico Cerchio, che comincia con una riproposizione uno a uno della sequenza iniziale del primo film di Spielberg con protagonista il famosissimo esploratore. È lampante il divario tra i due modi del comunicare, che non potranno mai sovrapporsi completamente e, quando ci provano, risultano poco più che un esercizio di stile e poco meno che esaltanti come in sala.

Una delle particolarità del videogioco è la capacità di integrate alcune istanze del linguaggio cinematografico con la sua esperienza interattiva. Il rilancio di God of War ci è riuscito a modo suo, ma anche The Last of Us Parte II ha dimostrato che una buona narrazione videoludica, affiancata da una regia solida, che supporta le vicende raccontate con punti di vista mutevoli, originali e audaci, può ambire a una complessità che supera perfino i lidi cinematografici.

Ellie in una delle scene più potenti di The Last of Us Parte II
Ellie in una delle scene più potenti di The Last of Us Parte II

Questo approccio, però, non è per tutti. Saper raccontare per immagini è un processo complesso, ancora di più se il tuo pubblico di riferimento è chiamato a manipolare quelle immagini attraverso l'interazione con esse. Quindi sì, è decisamente più facile lasciare che il giocatore ascolti quanto c'è da raccontare, senza impelagarsi nella ricerca di un modo per dare espressività a quelle parole.

Ce lo hanno insegnato i più recenti Assassin's Creed, che hanno in parte optato per dei dialoghi senza regia, dove il giocatore può orbitare liberamente la camera e scegliere il suo punto di vista per guardare due personaggi virtuali che si scambiano informazioni, senza enfasi alcuna oltre a quella proveniente dal doppiaggio (forse un richiamo alle origini della saga, ai tempi di Altair nello studio di Al Mualim, ma più probabilmente una scusante per evitare di trovare soluzioni più espressive).

I dialoghi di Mirage, niente scelta multipla, ma anche non troppa regia, proprio come il primo capitolo della saga
I dialoghi di Mirage, niente scelta multipla, ma anche non troppa regia, proprio come il primo capitolo della saga

Poi sì, qui e lì qualche sprazzo di messa in scena accattivante c'è (questa volta per tenere ancora avvinghiati i vecchi, ma non vecchissimi, appassionati che sanno quanto c'è stato prima e quanto si ritrovano tra le mani oggi), però, sulle cento e passa ore di Odyssey, paiono poco più che un sogno lucido.

C’è speranza?

La speranza c'è sempre. Così come al cinema si distinguono delle perle destinate a diventare classici, nei videogiochi si palesano dei successi senza tempo, anche tra le produzioni "blockbuster".

Alan Wake 2, il videogioco che ha rimescolato le carte sulla tavola della narrazione
Alan Wake 2, il videogioco che ha rimescolato le carte sulla tavola della narrazione

In qualsiasi industria possiamo trovare errori fatti per seguire la scia del momento, trascinati da tendenze e risultati ottenuti da opere che si sono distinte per la loro efficacia comunicativa. E ovunque continueranno a palesarsi progetti che cercheranno di prendere quanto ha funzionato in questo o quell'altro fenomeno per realizzare uno strano mosaico che si regge con un velo di colla.

Inoltre, in questo mercato così legato ai numeri, pare impossibile riuscire a ridare importanza a quanto viene narrato e come. Anche solo paragonare il finale del primo rifacimento di God of War del 2018 e quello di Ragnarok (dopo aver completato praticamente tutte le attività presenti nella mappa di gioco) è evidente la tendenza ad adattarsi sempre più alle regole del mercato, lasciandosi alle spalle l'efficacia di una messa in scena che richiede risorse e idee.

Il martello di Thor chiude il piano sequenza di God of War
Il martello di Thor chiude il piano sequenza di God of War

All'iconica scena della presentazione di Thor, con stacco repentino verso i titoli di coda, una grande lezione di ritmo e montaggio, si sostituisce una lenta dissolvenza a nero mentre il giocatore cammina per la mappa dopo aver completato l'ultima attività, che lascia spazio a dei titoli di coda completamente anticlimatici.

Si sta perdendo la personalità all'interno di queste narrazioni, come se non ci fosse un'entità umana alle loro spalle, ma solo delle variabili che non hanno voglia di sporcarsi le mani e di rischiare. E fa male vedere quanto potenziale narrativo, emotivo, comunicativo, viene sprecato al grido della ricerca di mercato.