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Playdia: quando Bandai fece la sua console

Gli anni '80 avevano lasciato a tutti quella sensazione di "qualsiasi cosa è possibile, se ci credi": anche Bandai ci credette e creò la console Playdia.

Playdia: quando Bandai fece la sua console
SPECIALE di Claudio Camboni   —   29/04/2024

Bandai rappresentava già all'epoca uno dei più grossi produttori di videogames, giocattoli, accessori e in generale tutto quello che ruota intorno all'universo dell'immaginario giapponese, anime compresi. Nel 1994 il mercato console era in assoluto fermento con tutti i produttori più importanti impegnati a progettare le proprie macchine, rivaleggiando con la concorrenza sul fronte tecnico e software.

In quell'anno uscivano la prima Playstation, il Saturn di SEGA, PC-FX di Nec mentre Nintendo era ancora a lavoro sul futuro Nintendo 64. Bandai aveva intuito con anticipo che il mercato stava progressivamente andando nella direzione "home" e poco prima aveva iniziato a ideare una nuova console, chiamata Playdia.

I brand anime erano l'asso nella manica

Alcuni fortissimi brand legati a Playdia
Alcuni fortissimi brand legati a Playdia

Bandai aveva dalla sua una forte collaborazione con alcuni dei brand anime e manga più famosi dell'epoca, da Dragon Ball a Sailor Moon, passando per Ultraman e Hello Kitty, che effettivamente fece uscire in massa nei primi tre mesi di vita della console. Perché Playdia non è una console che è rimasta impressa nell'immaginario collettivo, quindi? Perché le sue "cartucce" da sparare finivano effettivamente lì.

Guardando all'estetica dello chassis si capisce immediatamente il target di riferimento. Il font riprendeva quasi perfettamente quello dei giocattoli Playmobil (con i quali condivideva anche metà del nome, per altro), e i colori molto accesi utilizzati per tasti e scocca facevano immediatamente immaginare un pubblico formato da bambini. La previsione che Bandai non azzeccò fu proprio questa, perché i pre-adolescenti dell'epoca erano in tutto e per tutto pronti a buttarsi su hardware avanzati e graficamente più accattivanti.

Bandai non era l'ultima arrivata

Il box di Playdia si presentava così, una volta aperto
Il box di Playdia si presentava così, una volta aperto

In realtà Bandai non era nuova sul mercato hardware, anche se i precedenti esperimenti si fermavano effettivamente al concetto (quasi) di prototipo. A fine anni '70 idearono il loro "pong", una console con quattro giochi integrati chiamata semplicemente TV Jack, con alcune varianti fino al Bandai SuperVision 8000 che contava la bellezza di sette giochi disponibili in totale su cartuccia (supporto integrato a partire dalla versione 5000).

Tutto questo per far capire che, in fondo, la casa nipponica non era proprio l'ultima arrivata nel campo hardware e anzi, la parabola ascendente sembrava una traccia inarrestabile. Analizzando la serie di errori che portò invece alla tragica e prematura scomparsa di Playdia, sicuramente c'è da considerare anche il fattore hardware. Nel 1994 in pieno fervore poligonale a 32 bit... Bandai equipaggiò la sua console con un processore centrale a 8 bit. Playdia rappresenta infatti l'unica console con quella tecnologia appartenente alla quinta generazione.

Alcuni passi falsi di Bandai

Quello che batte all'interno della console Playdia
Quello che batte all'interno della console Playdia

Ricordiamoci tutti i grandi capolavori e giochi che l'epoca 8 bit ci ha regalato. Pensiamo solo ai grandi titoli NES o Master System di SEGA: il modo di sfruttare quella (poca) potenza hardware comunque c'era. Forte del lettore CD integrato (e non era scontato per l'epoca) Bandai pensò invece di utilizzare questo mezzo per produrre principalmente titoli a "interazione guidata", per capirsi, un po' sulla falsa riga di Dragon's Lair.

I suoi giochi in realtà non erano veri e propri videogame interattivi al 100%, ma vere e proprie storie guidate dove, ogni tanto, l'utente poteva effettuare delle scelte che imprimevano alla narrazione dei lievi cambiamenti. La stragrande maggioranza dei titoli in catalogo furono sviluppati da Bandai stessa, l'unico titolo di terze parti fu Ie Naki Ko - Suzu no Sentaku di VAP (sussidiaria di Nippon Television) che, anche in questo caso, produsse un full motion video interattivo basato sull'omonima serie TV nipponica.

I punti di forza

Pubblicazione promozionale di Playdia dell'epoca
Pubblicazione promozionale di Playdia dell'epoca

Playdia aveva almeno qualche punto di forza? Nel mix di idee un po' strampalate e un po' sbagliate, Bandai qualcosa di buono effettivamente lo fece. Per esempio il controller senza fili integrato. Andando a memoria (perché il web non ci aiuta in questo caso) rappresentava uno dei primi casi di joypad wireless integrato di default nell'hardware (e non un accessorio da comprare a parte, come nel caso di Sega Saturn o del primissimo controller a infrarossi di Atari).

Il fatto di inserirlo direttamente nello chassis di Playdia rappresentava al tempo stesso sia una comodità che un forte limite: non esisteva una modalità a due giocatori in nessun titolo. Bandai era consapevole di aver progettato una console "per bambini", con tutti i limiti del caso. L'errore che sicuramente non fece fu quello del prezzo, posizionato a 24,800 yen contro i 44,800 di SEGA Saturn e 39,800 di Sony Playstation.

Il ricordo che ci ha lasciato

Scatola, accessori, istruzioni e console in tutto il loro splendore
Scatola, accessori, istruzioni e console in tutto il loro splendore

Il target sbagliato, la scarsa potenza, il parco giochi estremamente limitato e il mancato supporto di terze parti decretarono quindi la prematura fine della coloratissima Bandai Playdia, una console che non oltrepassò i confini del mercato giapponese, ma entrò di diritto nel cuore di tutti gli appassionati di videogiochi che guardano un po' con affetto, un po' con la bramosia di possedere console mitologiche e difficili da reperire, una console estremamente svantaggiata e sfortunata dell'epoca.

Non ci sono dati ufficiali sulla sua diffusione, ma si stimano circa 120 mila pezzi venduti e distribuiti nel corso del 1994. La console durò infatti meno di un anno, a livello commerciale, e fu definitivamente dismessa nel 1996 lasciando la sua eredità alla collaborazione tra Bandai e Apple per la loro console "Pippin", ennesimo caso di insuccesso clamoroso... e di console mitologica destinata oggi al collezionismo più estremo.