Streets of Rage ha fatto scuola, dimostrando che il genere dei picchiaduro a scorrimento non era appannaggio esclusivo del binomio Capcom / Super Nintendo e aprendo la strada a una serie di produzioni tecnicamente molto più sofisticate, che hanno caratterizzato l'ultima fase del ciclo vitale del Mega Drive.
Quello dei side-scrolling beat 'em up è un genere videoludico quasi del tutto estinto, ma che andava fortissimo tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90: per lo più basato su tematiche urbane ispirate a film come I Guerrieri della Notte, è stato uno dei primi a inserire una forma di tridimensionalità nel gameplay con il classico Double Dragon, nel 1987.
Sebbene anche SEGA abbia dato il proprio contributo al filone con l'indimenticabile Golden Axe, puntando però più al sottogenere degli hack & slash, è soprattutto Capcom a sfruttare le caratteristiche di questo tipo di esperienza, piegandole alle più svariate esigenze: dai tie-in dedicati ad Alien VS Predator, The Punisher e Cadillacs & Dinosaurs, passando per Captain Commando e Warriors of Fate. Il lungo ed entusiasmante percorso della casa di Osaka comincia tuttavia nel 1989 con Final Fight.
La saga di Haggar, Cody e Guy stabilisce nuovi standard nell'ambito dei picchiaduro a scorrimento, non solo per gli enormi sprite e il comparto tecnico all'avanguardia, o per l'indubbia capacità di ricreare le atmosfere da guerriglia urbana a base di improbabili bande criminali, ma soprattutto per la sua eccellente resa degli impatti. I personaggi di Final Fight sferrano raffiche di pugni tanto veloci quanto la nostra pressione dei tasti, ma una volta a segno i colpi rallentano al fine di enfatizzare ogni singola collisione, restituendo una sensazione di peso efficacemente sottolineata dagli effetti audio e in grado di aumentare in maniera esponenziale la soddisfazione di stendere un avversario.
Streets of Rage: il principio
Con Final Fight disponibile in esclusiva su Super Nintendo, SEGA prova a rispondere al fuoco dando vita a una nuova proprietà intellettuale. Per fortuna alla casa giapponese non mancano i talenti, e così il progetto di Bare Knuckle (questo il titolo originale della serie) viene affidato al director Noriyoshi Ohba e al compositore Yuzo Koshiro, che avevano fatto un ottimo lavoro con The Revenge of Shinobi, mentre per il ruolo di game designer si pensa a Hiroaki Chino, che poco prima aveva realizzato un action game simile, E-SWAT: City Under Siege. A muovere il tutto una versione potenziata del motore grafico di Golden Axe.
L'idea alla base di Streets of Rage è naturalmente quella di riproporre i riferimenti culturali di Final Fight, cercando però di conferire alla storia e ai personaggi un proprio spessore. Il supporto della polizia (che si manifesta nel gioco attraverso una vera e propria smart bomb, con una volante che arriva e bombarda lo scenario ripulendolo dai nemici) e il design futuristico dei veicoli richiama per molti versi l'immaginario di RoboCop, anche se Ohba ha dichiarato di aver pensato più che altro a serie televisive come A-Team e Starsky & Hutch. In realtà i riferimenti futuristici si spiegano con il fatto che inizialmente il gioco sarebbe dovuto essere in pratica un nuovo episodio della serie SWAT, nome in codice D-SWAT, ambientato nel ventunesimo secolo.
Dopo appena sei mesi di sviluppo, è tutto pronto: messe da parte (per quanto possibile!) le atmosfere ultramoderne in favore di un approccio urbano più decadente e coerente con l'obiettivo iniziale, ovverosia dar vita a una versione SEGA di Final Fight, Streets of Rage arriva nei negozi giapponesi nell'agosto del 1991 e pochi mesi dopo negli Stati Uniti e in Europa. Anche il roster dei personaggi subisce ovviamente una serie di modifiche, proponendo alla fine un trio composto da poliziotti che decidono di mettere da parte l'uniforme, delusi dallo stato di corruzione del corpo, per affrontare la banda criminale del malvagio Mister X alla vecchia maniera. Axel Stone, Adam Hunter e Blaze Fielding fanno così il proprio debutto (li rivedremo tutti in Streets of Rage 4), dotati di mosse e caratteristiche differenti che vengono enfatizzate dalla presenza di una modalità multiplayer cooperativa per due partecipanti: una feature che contribuisce in maniera fondamentale al successo commerciale del gioco, nonostante i suoi limiti e i suoi difetti.
Streets of Rage II, il capolavoro
Archiviato il successo del primo Bare Knuckle, che tanto dal punto di vista tecnico quanto da quello concettuale può essere considerato come parte della prima ondata di produzioni per Mega Drive, le tempistiche per lo sviluppo del sequel si dilatano non di poco. Le idee di SEGA per il nuovo capitolo sono infatti molto più ambiziose e vedono il coinvolgimento di diversi team di sviluppo oltre a quello originale, anche stavolta coordinato da Noriyoshi Ohba. In particolare spicca il ruolo di Ancient, uno studio fondato dal compositore Yuzo Koshiro e dalla su famiglia, con la sorella minore Ayano che si occupa in pratica di fare l'art director del gioco, migliorando in maniera sostanziale il character design rispetto all'originale Streets of Rage. Al fine di superare le limitazioni tecniche in vigore fino a quel momento, gli autori decidono peraltro di utilizzare per la prima volta una cartuccia da 16 Megabit per poter stoccare la grande quantità di asset realizzati per l'occasione, e la differenza si vede... a dir poco.
Quando fa il proprio debutto, fra il dicembre del 1992 e il gennaio del 1993, Streets of Rage II viene accolto con straordinario entusiasmo da parte dell'utenza, che si trova ad avere a che fare con un vero e proprio picchiaduro a scorrimento di nuova generazione, in grado di segnare una linea di demarcazione netta rispetto ai titoli che erano usciti fino a quel momento su Mega Drive e aprire la strada, come detto, a progetti molto più sofisticati. L'impatto visivo è dirompente, con sprite sostanzialmente più grossi, scenari vari e dettagliati, un gran numero di nemici differenti (inclusi diversi boss) e un gameplay anch'esso arricchito nelle meccaniche, grazie a un repertorio di mosse che include combo di base, attacchi volanti, prese e spettacolari manovre speciali. Anche la resa degli impatti compie un salto di qualità, replicando in maniera eccellente le collisioni di Final Fight pur in maniera meno esasperata, mentre il comparto sonoro in stile techno firmato dal già citato Yuzo Koshiro diventa subito un must.
Per quanto concerne i protagonisti, il roster principale viene arricchito e diversificato: alle vecchie conoscenze Axel Stone e Blaze Fielding si aggiungono infatti l'enorme wrestler Max Power e il piccolo ma letale Eddie "Skate" Hunter, fratello minore di Adam. Proprio dal rapimento di quest'ultimo parte la storia del sequel, che vede un redivivo Mister X determinato a conquistare nuovamente il dominio della città orchestrando una trappola per far fuori i suoi più pericolosi avversari, ovverosia il gruppo di vigilanti che nel primo episodio erano riusciti a sconfiggerlo. Il viaggio dei quattro combattenti, anche stavolta benedetto dalla presenza di una modalità multiplayer cooperativa per due partecipanti, si dipana attraverso un totale di otto stage, con una parte finale che include il più classico degli "ascensori". L'accoglienza da parte della stampa specializzata è strepitosa, con la stragrande maggioranza dei voti al di sopra del 9 ma una media rovinata clamorosamente dall'inspiegabile 26/40 di Famitsu.
Streets of Rage III, la discesa
La chiusura della trilogia originale avviene in un contesto complicato, l'ultima fase del ciclo vitale del Mega Drive, caratterizzata da una gestione controversa da parte di SEGA, specie per quanto concerne i progetti legati al nuovo hardware. Sono infatti gli anni del Mega CD, quindi del 32X e del Saturn: una sequenza di delusioni più o meno marcate che condizionano in maniera pesante la capacità dell'azienda nipponica di mantenere il proprio ruolo all'interno dell'industria videoludica. La confusione che regna negli uffici della grande S finisce per influenzare anche lo sviluppo di Streets of Rage III, che si presenta in occidente con una versione pesantemente rimaneggiata sul fronte della trama e dei contenuti, nonché un livello di difficoltà aumentato artificiosamente per via delle pressioni esercitate dalle catene dedite al noleggio dei giochi, che vogliono evitare sia possibile concluderne la campagna troppo in fretta.
Lanciato nel 1994, il nuovo capitolo racconta nella versione giapponese di un'arma misteriosa che provoca la morte di decine di migliaia di persone, evento su cui Axel e Blaze, rientrati nel corpo di polizia, vengono incaricati di indagare. L'incarico li porta a entrare in contatto con il dottor Gilbert Zan, creatore dell'arma nonché potente cyborg, che si unisce a loro nel cercare i responsabili dell'attacco, insieme al giovane Skate. Il personaggio di Max viene dunque sostituito e non figura neppure fra i combattenti sbloccabili, il boss Shiva e il canguro-pugile Roo. Nella versione occidentale la storia viene invece cambiata, con tagli anche alle cutscene per raccordare il tutto, in un più banale ritorno di Mister X, che per riportarsi al vertice ha messo stavolta le mani su di un'azienda che si occupa della produzione di armi robotiche, venendo però contrastato dal dottor Zan.
Pur essendo valido, il gameplay di Streets of Rage III appare meno incisivo se confrontato con quello del secondo capitolo, sostanzialmente privo del carico di novità che aveva fortemente caratterizzato il gioco, pur introducendo un approccio all'azione più veloce e alcune mosse extra, come quelle di gruppo, nonché un sistema di bivi con diversi finali possibili per la campagna. Pagano dazio inoltre la direzione artistica e la colonna sonora, che vede sì la presenza di Yuzo Koshiro ma in un ruolo minore rispetto a Motohiro Kawashima, che punta su brani fortemente sperimentali senza però incontrare il favore del pubblico. La saga si chiude dunque in calando, senz'altro vittima della difficile situazione organizzativa di SEGA e incapace di replicare i fasti di Streets of Rage II. Non che fosse semplice, sia chiaro.