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Le micro-transazioni non sono gioco d'azzardo: argomento chiuso o sarebbe comunque necessario segnalarle in qualche modo?

Un sunto sugli ultimi sviluppi riguardanti le loot box

NOTIZIA di Giorgio Melani   —   12/10/2017

Lo sappiamo che l'argomento inizia a stancare, ma visti gli ultimi sviluppi facciamo un momento il punto della situazione sulla nuova ondata di micro-transazioni nei titoli tripla-A, in particolare per quanto riguarda il fenomeno delle "loot box" o derivati, che sono comparse ultimamente - sotto varie forme - in vari titoli di grosso calibro. La cosa è ormai talmente diffusa da aver spinto qualcuno a interrogarsi sulla possibilità di avvertire in qualche modo i consumatori della presenza, e soprattutto mettere in guarda sull'eventuale invasività, di questi sistemi di micro-transazione che possono andare a inficiare l'esperienza di gioco o comunque mettere a rischio la salute della carta di credito.

Questo pensando soprattutto ai minori, che potrebbero non rendersi conto delle spese a cui possono andare incontro accedendo a tali sistemi di monetizzazione interna ai videogiochi. Le prime risposte ufficiali sull'argomento sono arrivate dagli enti preposti alla classificazione dei prodotti videoludici in nord America ed Europa, con prima l'ESRB e poi il PEGI a riferire sostanzialmente la stessa posizione: le micro-transazioni di questo tipo non possono essere associate al gioco d'azzardo e dunque non possono essere segnalate come corrispondenti a tali contenuti sulle confezioni dei videogiochi. Questo perché, ovviamente, a ogni acquisto corrisponde comunque l'ottenimento di un bene e che poi questo non corrisponda precisamente a quanto desiderato dall'utente, perché distribuito in maniera randomica, è un altro discorso. Fin qui siamo anche d'accordo: non è tanto una questione di preservazione della salute dei bambini dagli influssi nefasti dell'azzardo a impensierire il videogiocatore.

Le micro-transazioni non sono gioco d'azzardo: argomento chiuso o sarebbe comunque necessario segnalarle in qualche modo?


Sarebbe però forse opportuno trovare comunque un sistema per segnalare con maggiore precisione l'eventuale presenza invasiva di contenuti da acquistare a parte? Ovviamente la questione si fa più sottile e sfumata perché non si tratterebbe di segnalare semplicemente la presenza di DLC o acquisti "in-app" che sono praticamente ormai lo standard in ogni videogioco e dal quale al limite ci si può proteggere scegliendo di non spendere o proteggendo l'accesso alla carta di credito nel caso di minori che rischiano di accedere alle micro-transazioni. Si tratta di analizzare la meccanica delle micro-transazioni e valutare il peso che queste assumono all'interno della struttura del gioco, e questi sono elementi che trascendono le rilevazione oggettiva dei dati, spostando la discussione su un piano etico più che tecnico. Sarebbe dunque piuttosto difficile trovare un tale sistema standardizzato di catalogazione delle micro-transazioni tra invasive, o indispensabili al proseguimento o meno.

Va da sé peraltro che un tale sistema si tradurrebbe in pubblicità negativa per il prodotto e verrebbe forse più probabilmente osteggiato dai publisher, piuttosto che divenire un deterrente all'introduzione di tali sistemi di monetizzazione. Per questo le prime richieste avanzate nei confronti degli enti di classificazione sono forse mal poste, o forse sono proprio sbagliati gli interlocutori (ESRB e PEGI) che ben poco possono fare per proporre una visione oggettiva e condivisa sul modo più o meno corretto di proporre le micro-transazioni. Ha allora molto più senso l'idea avanzata dal sito aggregatore OpenCritic di introdurre nella descrizione generale dei giochi anche una catalogazione di qualche tipo sul sistema di micro-transazioni adottato all'interno, sebbene anche in questo caso sia oggetto di discussione la corretta metodologia da adottare per indicarla.

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