Quando si parla di microtransazioni, ci sono dei grossi fraintendimenti anche tra gli operatori dell'industria videoludica, in particolare nell'ambiente della stampa, dove sembra che non si sia compreso appieno l'impatto del nuovo modello economico sui prodotti stessi, che non è né neutro, né limitato (studiare un po' prima di parlare farebbe bene a tutti). Premettiamo che non vogliamo demonizzarle, ma solo cercare di arrivare a far capire come le microtransazioni cambino i videogiochi nelle loro fondamenta.
La verità è che le microtransazioni non se ne stanno appoggiate al gioco zitte zitte, sperando di essere considerate dal giocatore di turno. Le microtransazioni sono parte del gioco. Il modello economico tradizionale, quello per cui si compra un prodotto concluso, non influiva sul design se non nei termini di scelte commerciali e di posizionamento: realizzo un gioco di Star Wars perché è un brand potente, con un grande seguito, che mi assicura un certo numero di vendite; oppure, inserisco una certa caratteristica perché una larga fetta di utenti se l'aspetta in un prodotto del genere. Le microtransazioni sono invece una forza centripeta rispetto al prodotto, perché ne diventano necessariamente il fine ultimo. Per questo motivo i titoli che le sfruttano sono costruiti in un certo modo e devono necessariamente contenere una serie di elementi che spingano una certa percentuali di utenti all'acquisto.
Non tutti, badate bene (in un certo senso sarebbe addirittura controproducente, perché frenerebbe i grandi spenditori), ma un numero sufficiente a garantire che i costi di mantenimento siano adeguatamente ripagati e che i ricavi comprendano anche dei guadagni. Se ci pensate è una questione di mera sopravvivenza.
Ad esempio il sistema dell'apertura pubblica delle casse di Call of Duty: WWII, che ai più è sembrato un'assurdità ininfluente, ha invece una funzione precisissima, ben conosciuta dagli studiosi di psicologia. Si chiama social proof ed è quel fenomeno per cui osservando altri che compiono certe azioni, tendiamo a considerarle sempre più normali, anche se prima ne diffidavamo, magari arrivando anche a replicarle. Pensate ad esempio alle mode vacanziere o alle tendenze stagionali: perché grandi masse di persone comprano tutte lo stesso capo di vestiario o vanno nello stesso luogo di vacanza? È lo stesso motivo per cui le recensioni degli utenti hanno assunto una grande importanza, anche lì dove non avviene alcuna verifica per stabilirne l'attendibilità: leggendo i commenti di altri che percepiamo come simili a noi, siamo portati ad adeguare il nostro giudizio, soprattutto quando non ne abbiamo uno nostro ben definito.
È per questo motivo che lo 0.9 su Metacritic ha costretto Electronic Arts a correre ai ripari con Star Wars: Battlefront II: il gioco stava accumulando una percezione sociale troppo negativa, oltre il tollerabile, che rischiava di affossare le vendite e di diventare controproducente proprio per le microtransazioni. A questo punto è stato meglio toglierle momentaneamente e rimodularle, così da dare l'idea che si stia prestando ascolto alla community e, contemporaneamente, convincere i molti dubbiosi ad acquistare comunque il gioco.
Del resto le pressioni fatte da Disney su Electronic Arts si spiegano per lo stesso identico motivo: lanciare il nuovo film rischiando di coinvolgerlo nell'affare Battlefront II, poteva trasformarsi in un boomerang vero e proprio per la fama dello stesso. Insomma, in qualche modo l'affare Battlefront II deve rientrare, ossia la comunità deve essere placata.
Ciò non toglie che le microtransazioni torneranno, perché Battlefront II è costruito intorno a esse. Paradossalmente ora che non ci sono, il titolo risulta in parte monco. Come mai? Perché la spinta costruita dal design verso gli acquisti extra attualmente non può essere soddisfatta. Speriamo solo che DICE le riadatti in modo tale da renderle meno rapaci.