Le recensioni di Far Cry 6 sembrano aver scoperchiato il classico vaso di Pandora per gli open world tutti. Il gioco non è stato considerato brutto, ma semplicemente stancante, vuoi perché viene da una lunga tradizione di titoli simili, vuoi perché passare il tempo a fare per decine di ore le stesse cose inizia a risultare quantomeno stucchevole, al di là di tutte le altre possibili considerazioni. Soprattutto in titoli con ambizioni narrative, ritrovarsi in loop infiniti che possono far piacere solo a chi ha molto tempo da perdere, in attesa di raggiungere a fatica la svolta successiva del racconto, sta diventando controproducente per l'immersione e per la resa finale dell'esperienza stessa. Per qualche tempo questo sistema ha funzionato, ma ora inizia a mostrare tutte le sue crepe, soprattutto quando viene gestito in modo fin troppo didascalico e in tempi dilatatissimi.
Gli open world attuali sono spesso gestiti come dei luna park, ossia si paga il biglietto, si entra e si cercano i punti d'interesse, sempre ben segnati sulla mappa, in cui svolgere le diverse attività. Il resto è solo contorno. Quello che dovrebbe essere il fulcro dell'esperienza, ossia il mondo aperto, diventa troppo spesso solo spazio da attraversare il prima possibile per raggiungere la nostra prossima destinazione. In alcuni casi è uno spazio che appare vivo, come in Red Dead Redemption 2 (figlio di un budget che solo Rockstar può permettersi), in altri è uno spazio inerte e senza sostanza, che ci fa perdere solo tempo. In quanti open world ci si trova a non poter fare praticamente niente al di fuori dei punti d'interesse? Tanti, troppi.
Ora, il problema non è la struttura open world in sé, ma la bulimia da ore di gioco che l'ha accompagnata. A ogni nuovo titolo gli sviluppatori ci tengono a far sapere che hanno creato la mappa più grande della serie o quella più grande di sempre, che in termini di gameplay si riduce al moltiplicarsi di punti interrogativi da raggiungere. Il problema è che spesso tanta grandeur si traduce anche in un'insignificanza complessiva che ammazza l'esperienza proprio sulla lunga distanza, quando si inizia a sentire la stanchezza da ripetizione, ossia quando il rifare le stesse cose non appaga più e, anzi, annoia, trasformandosi quasi in un lavoro che ci si vuole togliere di torno il prima possibile.
La soluzione ovviamente non è quella di abolire gli open world, ma di ripensarli, magari accorciandoli quando necessario, invece di applicare tecniche ormai trite e ritrite di allungamento del brodo. Ce la faremo mai a vedere degli open world di nuova concezione? O rimarremo ancorati per sempre al modello attuale?