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Le persone che si identificano come "gamer" sono più prone al razzismo e ai comportamenti sessisti

Stando a uno nuovo studio, le persone che si identificano come "gamer" sono più prone a tenere comportamenti sessisti e al razzismo.

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   25/10/2022

Le persone che si identificano con forza come "gamer" sono più prone al razzismo e a comportamenti sessisti, stando a un nuovo studio. In generale sono più portati verso l'estremismo e pronti a difendere la loro comunità a ogni costo.

Link allo studio completo

Che le comunità dei videogiocatori siano piene di tossicità e forme di radicalizzazione è un dato ormai assodato, ma gli studi che hanno provato a fare luce sul fenomeno sono stati finora molto carenti. La nuova ricerca suggerisce che assumere una forte identità di "gamer", al punto da fargli pervadere la propria vita, contribuisce non poco alla situazione, come sottolineato dalla ricercatrice Rachel Kowert di Take This, una delle autrici dello studio: "Quando l'identità da gamer è al centro di ciò che sei come persona, ciò sembra riflettere quello che chiamiamo cultura tossica dei videogiocatori, fatta più di esclusione che di inclusione." Da qui il proliferare di razzismo, sessismo e misoginia.

I gamer estremisti non mancano
I gamer estremisti non mancano

Naturalmente non c'è bisogno di specificare che si sta parlando di una minoranza, non della maggioranza dei videogiocatori. Comunque sia, essendo la popolazione giocante formata ormai da miliardi di persone, si tratta di una minoranza molto ampia.

Questi atteggiamenti hanno attirato l'attenzione di alcuni estremisti, in particolare quelli di estrema destra, che hanno iniziato a usare le comunità dei videogiocatori per reclutare persone, in particolare su Steam e Discord, questi ultimi diventati molto popolari tra i suprematisti bianchi.

La ricerca in sé è formata da tre studi, condotti dalla Kowert; e dagli psicologi Bill Swann e Alexi Martel, per cui sono stati intervistati centinaia di videogiocatori, di cui è stata analizzata la loro visione dell'essere gamer, facendoli esprimere sull'argomento. Stando alla Kowert, per capire lo studio bisogna comprendere il concetto di "fusione d'identità", che avviene quando un'identità diventa il tratto distintivo quasi esclusivo di una personalità, qualcosa che pervade ogni aspetto della vita, inscindibile dal resto.

Chi subisce una fusione dell'identità come gamer, di solito lo fa perché trova in alcune comunità qualcosa che gli manca nella vita reale. Si tratta però di un'arma a doppio taglio, perché gli aspetti positivi vengono spesso controbilanciati dalla tossicità dei comportamenti e dai discorsi d'odio, fino all'abbraccio di posizioni estremiste.

Interessante il fatto che lo studio abbia esaminato anche alcune comunità specifiche, scoprendo ad esempio che nella comunità di Call of Duty i comportamenti anti sociali, come razzismo e misoginia, sono molto più diffusi che in altre comunità, come quella di Minecraft.

Comunque sia, l'argomento è ancora apertissimo, nel senso che gli autori dello studio sono coscienti che andrà approfondito con ulteriori ricerche. Chissà se un giorno si riuscirà a trovare una soluzione al problema.