In questi giorni è complicato parlare di videogiochi, un po' perché mancano argomenti e un po' perché il mondo è in fiamme, tra la pandemia ancora in atto, la gente di Hong Kong che combatte per non piegarsi definitivamente alla Cina, nell'indifferenza di quasi tutto il pianeta, e gli USA che sono percorsi da manifestazioni e scontri, arrivati fino alla Casa Bianca, tanto che Trump ha dovuto rintanarsi sotto terra in un bunker di massima sicurezza per paura che qualche manifestante gli facesse visita nello studio ovale.
Qualcuno direbbe che sono giorni in cui si sta facendo la storia, nonostante in realtà la storia si faccia giorno per giorno anche quando sembra che non accada nulla di rilevante. Comunque sia è indubbio che sono in corso degli eventi di cui leggeremo negli anni a venire e che, per questo motivo, meritano attente riflessioni e una grande cautela nel commentarli. Il nostro lavoro non è sicuramente quello degli storici o dei politologi, quindi è meglio non addentrarci troppo in problemi cui comunque non potremmo mai dedicare il giusto spazio.
I videogiochi cosa c'entrano in tutto questo, verrà da dire ai più. Poco in apparenza, molto nella sostanza. Un po' perché fanno parte del mondo anche loro, nonostante mirino a rappresentare altri mondi e un po' perché chi ne fruisce trae parte della sua persona proprio da essi, lo accetti oppure no. In molti casi i videogiocatori sviluppano un rapporto tale con il loro hobby, da portarli a interpretare il mondo in funzione di essi, rendendoli il perno della loro stessa esistenza. In queste ore si è prima paventata, quindi concretizzata la possibilità di spostare la presentazione di PS5 del 4 giugno a una data successiva per via degli scontri in USA, scatenando alcune reazioni non proprio moderate da parte di chi era in fervente attesa della nuova console di Sony. Come saprete le proteste nascono a Minneapolis, Minnesota, dall'omicidio del nero americano George Floyd commesso dall'agente di polizia Derek Chauvin, che lo ha tenuto a terra premendogli il ginocchio sul collo per 8 minuti e 46 secondi, impassibile di fronte alle implorazioni della vittima che gli ha chiesto più volte di alzarsi perché stava soffocando. La colpa di Floyd pare fosse solo quella di aver provato a pagare un commerciante con una banconota falsa (fatto ancora non dimostrato e comunque non meritevole di una morte così brutale). Insiema a Chauvin c'erano altri tre agenti: Thomas K. Lane e J. Alexander Kueng, che hanno tenuto immobilizzato Floyd, e Tou Thao, che ha impedito ogni soccorso esterno. Per farla breve, il fatto è stato filmato ed è finito in rete, scatenando delle proteste prima a Minneapolis, quindi in tutto il paese, proteste che sono cresciute di dimensioni e intensità quando Trump ha deciso di fare lo sceriffo cattivo coinvolgendo la Guardia Nazionale. Di fronte a un caos simile è normale che tutti coloro che operano nella società e che hanno una qualche visibilità abbiano preso posizione, alcuni in modo più netto, altri in modo più sfumato, com'è anche normale che si valuti cosa fare dei propri eventi. Fa quindi un po' ridere leggere di quelli secondo cui Sony si sarebbe piegata al politically correct decidendo di rimandare la presentazione di PS5 . Secondo queste persone, Sony sarebbe vittima delle minoranze organizzate, ossia di quei poteri forti che stanno rovinando il mondo dell'intrattenimento con pretese assurde. Detto tra noi, in tutta questa storia il politicamente corretto non c'entra davvero nulla ed è francamente da ottusi tirarlo in ballo.
Sony ha deciso di rimandare l'evento di PS5 per una semplice questione di opportunità e di visibilità: sta per mostrare la sua nuova console, che deve stare sul mercato per anni e che sta per confrontarsi con degli avversari agguerritissimi, quindi vuole che il primo impatto reale con i potenziali acquirenti sia il migliore possibile. Inoltre avrebbe dimostrato davvero poco tatto nel trasmettere uno spettacolo commerciale in quello che è stato nominato il memorial day di George Floyd. Traduciamo: presentare una console mentre l'attenzione di tutto il suo mercato più importante, quello USA, è concentrata su delle manifestazioni anti razzismo e sul presidente rinchiuso in un bunker poteva essere controproducente? La risposta è un secco sì. Qui il politicamente corretto non c'entra nulla, ma c'entra l'economia e il saper fare un annuncio al momento giusto. Questo, semplicemente, non lo era, come avranno ben capito i dirigenti di Sony che hanno preso la ferale decisione. Sinceramente mettersi a cercare le motivazioni di una scelta simile nei propri pregiudizi è davvero patetico.