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Ubisoft, politica e videogiochi: per Yves Guillemot due mondi separati da una sottile linea

Il CEO di Ubisoft è recentemente tornato a discutere di un tema spesso dibattuto: la trattazione di tematiche di natura politica nei videogiochi. Leggiamo le sue opinioni al riguardo.

NOTIZIA di Davide Spotti   —   04/09/2019

Negli ultimi anni Ubisoft è stata in più occasioni accusata di fare politica con i suoi videogiochi. Una polemica che ciclicamente ritorna, di pari passo con la pubblicazione di nuovi titoli che in qualche modo sembrano confermare la volontà della casa francese di introdurre nelle sue opere riferimenti più o meno evidenti a quelli che sono i problemi della società attuale.

Ad ottobre dello scorso anno era stato Alf Condelius, COO di Ubisoft Massive, a rimarcare che il mondo di gioco tratteggiato da The Division 2 non è altro che una distopia slegata da qualsiasi riferimento all'attualità. Sempre al 2018 risalgono anche le dichiarazioni del CEO Yves Guillemot, che in quell'occasione aveva chiarito la volontà dell'azienda di mantenere un profilo neutrale. "Vogliamo che i giocatori ascoltino diversi pareri e si facciano una loro opinione. Il nostro scopo è dare al giocatore tutti gli strumenti per pensare ai soggetti, essere in grado di vedere le cose abbastanza da lontano", aveva dichiarato all'epoca il numero uno della casa d'oltralpe. Ma vale la pena ricordare anche le parole del lead developer Sebastien Le Preste all'indomani della presentazione ufficiale di Tom Clancy's Ghost Recon: Breakpoint.

Watch Dogs Legion 9

Insomma, l'argomento è senz'altro molto sentito dalla community e dagli addetti ai lavori, tant'è che Guillemot è tornato nuovamente a parlarne in occasione di una nuova intervista realizzata da GamesIndustry. La sua tesi di partenza è peraltro sempre la stessa: "I nostri giochi hanno l'obiettivo di farvi pensare alle diverse possibilità. Vogliamo mostrare le opinioni esistenti e quindi stimolare il giocatore a crearsi le proprie."

Come è noto, nei suoi prodotti Ubisoft ha spesso trattato argomenti in qualche modo correlati al mondo reale: si pensi all'uso della tecnologia e al tema del razzismo in Watch Dogs, oppure alla rappresentazione dei fanatismi religiosi in Far Cry 5. In Ghost Recon Wildlands, invece, è stato mostrato l'impatto del commercio della droga sulla popolazione boliviana costretta suo malgrado a contribuire ai traffici. Ora, l'argomentazione che proviene dai più critici è appunto quella di aver introdotto argomenti complessi, mostrandoli tuttavia da una prospettiva univoca. Chissà, forse anche per questo motivo è nata l'idea alla base di Watch Dogs: Legion, ambientato in una Londra alternativa post Brexit dove sarà possibile vestire i panni di qualsiasi NPC presente nel gioco.

"Non puoi mostrare tutti i punti di vista", osserva Guillemot. "Ma giocare nei panni di un Ghost (in Wildlands) non impedisce di comprendere ciò che le altre persone stanno vivendo e vedendo. Offriamo ai giocatori molte possibilità di esplorare e comprendere una situazione. A quel punto ciò che le persone possono fare è uscire dal gioco e raccogliere maggiori informazioni su quale sia la situazione riguardo a un determinato tema". Ciò nondimeno il dirigente francese ha rimarcato la necessità di mantenere sempre e comunque il focus principale impostato sul concetto di intrattenimento.

Ubisoft, politica e videogiochi: per Yves Guillemot due mondi separati da una sottile linea

"Quando si prova a essere troppo seri su qualcosa, bisogna pensare che ci sono altri mezzi in grado di raccontare di più su argomenti variegati. L'obiettivo è sempre quello di rendere la situazione credibile, ma comunque divertente e interessante. È una linea sottile che dobbiamo seguire come industria. Come possiamo far percepire alla gente ciò che può accadere e al contempo divertire senza prenderci troppo sul serio?".

Tra i fattori rimarcati c'è quello correlato alla massiccia quantità di persone che partecipa allo sviluppo dei suddetti prodotti. L'estensione degli studi coinvolti, la commistione di differenti culture, rende chiaramente più complesso riuscire a mettere insieme una visione unificata. Guillemot ha dichiarato che i team creativi ricevono ampia libertà nella gestione del lavoro, e che pertanto ciascun team varia sulla base delle propensioni dei singoli. "Bisogna scegliere un team di creatori che abbia una visione. Le persone che lavorano con loro possono essere d'accordo e contribuire a farla crescere, oppure dedicarsi ad altri giochi. Possono scegliere."

Voi cosa ne pensate? La politica dovrebbe rimanere avulsa dai videogiochi? O proprio alla luce del crescente valore culturale riconosciuto al medium è giusto che determinati temi vengano sdoganati? Parliamone.