Si è parlato molto, negli ultimi giorni, del concetto di proprietà applicato ai videogiochi e di come la situazione sia cambiata nel corso degli anni, concedendo ai publisher il potere di interrompere un'esperienza e persino revocarne la licenza d'uso laddove mantenerla attiva non sia più conveniente per l'azienda.
"Nulla è eterno", ha detto il CEO di Ubisoft, Yves Guillemot, affrontando per la prima volta il tema della campagna Stop Killing Games ma in una maniera per molti versi cieca e sorda rispetto a quelle che sono effettivamente le richieste di chi ha sottoscritto la petizione: aggiornare i giochi perché possano essere utilizzati a prescindere dallo spegnimento dei server e non continuare a sostenere questi costi per puro spirito di servizio.
I videogiocatori della vecchia guardia ricordano bene come funzionavano le cose fino a qualche anno fa, quando acquistare un gioco significava effettivamente possederlo perché quel supporto, che si trattasse di una cartuccia o di un disco, poteva essere utilizzato sempre e comunque - a meno di non spaccarlo o graffiarlo - e nessuno si arrogava il diritto di "annullare" il nostro acquisto.
L'avvento delle console connesse a internet, con tutto ciò che ne consegue, ha però rivoluzionato il modo in cui si fruisce dei videogiochi fra aggiornamenti obbligatori a partire dal day one, always online e naturalmente tutta la categoria dei live service, nata dai semplici moduli multiplayer separati dalle esperienze principali.
Giochi come servizi... a tempo
Secondo i publisher le richieste legate all'iniziativa Stop Killing Games risulterebbero "troppo costose", ma basterebbe in realtà prevederle fin dall'inizio per ammortizzare l'investimento e alcune semplici mod su PC hanno dimostrato in maniera eloquente che si tratta di una strada percorribile.
La questione probabilmente è un'altra: se da un lato l'implementazione di un comparto online con tecnologia peer-to-peer consentirebbe anche alle produzioni esclusivamente multiplayer di sopravvivere allo spegnimento dei server, come accaduto di recente a The Crew e XDefiant, concedere queste funzionalità andrebbe a discapito dei produttori.
Aziende come Ubisoft si troverebbero infatti a rinunciare a una fetta dei propri utenti, piccola o grande che sia, donando loro la possibilità di continuare a giocare per sempre un determinato titolo (senza poter monetizzare questa esperienza) anziché acquistarne il sequel o un altro gioco pensato per posizionarsi all'interno di quella stessa categoria.
Si continuerà dunque a parlare di servizi piuttosto che di prodotti, di engagement e di monetizzazione: tutto punta in quella direzione ed è triste pensare che l'unico possibile argine a certe politiche non sia un ripensamento da parte dell'industria bensì una eventuale normativa europea a tutela dei consumatori. Voi che ne pensate? Parliamone.