La depressione ha un suo fascino, è inutile negarlo. In molti la scambiano per una forma estrema di tristezza, gli antichi non la conoscevano con il nome che le ha affibbiato la psicanalisi, ma non la ignoravano e, anzi, l'hanno trattata più volte, anche in diverse forme. La dottrina cattolica l'ha trasfigurata in uno dei sette peccati capitali, rendendola, in una forma molto amplia, un volano per l'inferno.
Insomma, i moderni hanno solo dato un altro nome e hanno definito meglio i confini di un male che esiste ed è conosciuto da sempre, probabilmente da quando esiste l'essere umano inteso nella sua forma storica. La sua vasta diffusione, soprattutto nelle classi sociali medio alte, l'ha resa un oggetto di studio e riflessione e, perché no, di rappresentazione. I videogiochi hanno più volte provato a rendere in forma ludica la depressione, affrontandola e argomentandola in vari modi. Disorder cerca di essere il più diretto possibile, sin dall'avvertenza iniziale che ci viene gettata addosso dagli sviluppatori, evidentemente molto spaventati dalla possibilità che qualcuno lo possa comprare come un platform per poi ritrovarsi tra le mani un titolo che con Mario e soci condivide solo l'insieme "genere", ma che vuole essere tutt'altro. Swagabyte Games ci porta in un non lunghissimo viaggio nella mente del protagonista e della sua lotta per l'elaborazione di un trauma della sua infanzia che lo tormenta senza sosta. All'inizio ciò che è successo non è chiaro, ma incontrando frammenti della vita di quello che ormai è un uomo, incastonati in un mondo surreale dalle molte facce, si arriva facilmente a intuire la natura del trauma. Insomma, ormai avrete capito anche voi che Disorder cerca di offrirsi prima di tutto per il suo tema portante, che attraversa l'intero tessuto videoludico, quindi come platform game, a meta tra un Super Mario e un Super Meat Boy, con un pesante condimento concettuale a base di Ikaruga.
Disorder è un platform game in pixel art che racconta della depressione e dell'elaborazione dei traumi
Quale è la realtà?
Le meccaniche di Disorder sono più difficili da descrivere che da usare. L'intero gameplay ruota intorno al potere del protagonista di saltare tra due strati di realtà, modificando di conseguenza alcuni elementi dello scenario. Ad esempio si potranno avere muri dove prima c'era il vuoto, alcune piattaforme fisse prenderanno vita, altre cambieranno la direzione del loro moto, dei mostri diverranno dei respingenti, degli ostacoli letali diverranno innocui, dei flussi energetici si ribalteranno e altro ancora. Basta premere un tasto per saltare amabilmente tra i due strati e cercare di capire come superare gli ostacoli. Non mancano oggetti segreti da raccogliere per riempire una libreria di ricordi, posta nella casa hub del protagonista accanto a dei quadri vuoti, che si colorano con il progredire nei livelli. Vagando per le mappe, in gran parte lineari, tranne per qualche bivio, ci si imbatte in dialoghi e riflessioni che facilmente si intuiscono provenire dalla mente del protagonista. Ecco, forse il problema di Disorder è tutto qui: non fa nulla per nascondersi e basta completare un paio di livelli per comprendere dove voglia andare a parare.
La lotta contro il senso di colpa e i suoi nefasti effetti è subito esplicita, condensata nei testi e nella grafica pixel art, evocativa ma statica nel non aggiungere niente al discorso complessivo. Insomma, tutto procede come ci si aspetta che proceda, nel modo più ovvio possibile e con il finale più ovvio possibile, che sembra uscito da un manuale scolastico di psicologia. Più che l'esplorazione della psiche umana, sembra di trovarsi di fronte a un modello matematico travestito da cammino di fede per l'espiazione del peccato e la liberazione/redenzione finale. Nonostante la presenza di alcune scene forti, manca completamente la grandezza tragica dell'uomo che scava dentro se stesso, ridotto in questo caso a dialogare con il suo rimosso per poter vincere la partita. Attenzione, non stiamo dicendo che Disorder sia brutto. Stiamo solo cercando di farvi capire che il semplice affrontare un tema, profondo e interessante quanto volete, non basta a far diventare a sua volta profondo e interessante un gioco e ciò che racconta. Per il resto Disorder è un buon platform, con dei momenti molto difficili e dei passaggi ludicamente interessanti, ma è chiaro che non voleva essere solo questo.
Requisiti di Sistema PC
Configurazione di Prova
- La redazione usa il Personal Computer ASUS CG8250
- Processore Intel Core i7 2600
- 8 GB di RAM
- Scheda video NVIDIA GeForce GTX 560 Ti
- Sistema operativo Windows 7
Requisiti minimi
- Sistema operativo: Windows XP
- Processore: 2.33 GHz Dual-Core
- RAM: 1 GB
- Spazio su disco: 140 MB
Conclusioni
Disorder fallisce lì dove poteva brillare di più, ossia nell'affrontare quel tema che stabilisce come centrale sin dal titolo. Peccato, perché gli sarebbe bastata una maggiore attenzione nella scrittura per non sfociare immediatamente nel mare dell'ovvio e per tenere desta l'attenzione mentale del giocatore. Così è un buon platform non troppo lungo (si finisce in un paio di ore) e con buoni momenti prettamente ludici, che non lascia moltissimo e non dà alcuna motivazione per essere rigiocato una volta concluso.
PRO
- Alcuni passaggi sono difficili e danno soddisfazione
- Il tema di fondo è interessante
CONTRO
- Fin troppo banale e scontato
- Non lascia molto una volta concluso