Bleak Faith: Forsaken arriva in un momento in cui la "fame dei souls" sembra al suo apice. Elden Ring, con la sua espansione, è stato solo la punta dell'iceberg, al di sotto del quale vivono una miriade di produzioni minori; ogni tanto una di queste ultime fa capolino sulla superficie e, senza sfidare ovviamente i mostri sacri, cerca di ritagliarsi un proprio spazietto sul mercato. Ed è proprio il caso del lavoro firmato da Archangel Studios.
Non sempre emergere è cosa semplice, né è scontato che basti avere tutte le carte in regola per raggiungere il successo. Prendiamo il caso specifico di Bleak Faith: Forsaken, oggetto di questa recensione: in quanti lo avevano notato, lo scorso marzo 2023, quando veniva pubblicato per la prima volta su PC? L'accoglienza da parte del pubblico e della stampa specializzata è stata piuttosto tiepida, e la speranza da parte degli sviluppatori è che il lancio su console, che avviene proprio in questi giorni, possa segnare una nuova fase per l'ambizioso e particolare souls dark fantasy.
Un mondo postapocalittico, ma parecchio vivo
Nel pieno rispetto delle regole non scritte del genere souls, Bleak Faith: Forsaken è immerso in un'atmosfera crepuscolare, e presenta come ambientazione un mondo postapocalittico oscuro e insidioso. La cripticità è alla base della produzione: nonostante il filmato di apertura, volutamente di difficile comprensione, non è chiaro che cosa sia accaduto a quello che una volta doveva essere, in tutto e per tutto, un mondo futuristico abitato da esseri umani. La direzione artistica ha puntato tutto su una sorta di mix tra ruderi da medioevo dark fantasy e residui di tecnologia avanzatissima. Ricostruire che cosa sia accaduto è affidato alle minime conversazioni con personaggi secondari e boss, e al reperimento dei soliti documenti nascosti un po' dove capita.
L'intera avventura è ambientata in quella che viene presentata come Omnistruttura, sorta di complesso gigantesco, presumibilmente anche di natura organica, articolato in spazi aperti e chiusi, edifici ed esseri umani; un bioma in cui macchine, uomini e mostri sembrano convivere senza problemi, e che sembra sia stato spazzato via da un disastro sul quale proprio il protagonista, per qualche motivo, è chiamato ad investigare. Peraltro questo mondo postapocalittico è anche parecchio vivo, dato che nemici di ogni sorta aspettano dietro qualsiasi angolo la prima occasione utile per farvi a pezzi. È tuttavia già dagli aspetti narrativi e contestuali che vi suggeriamo di non paragonare troppo Bleak Faith: Forsaken ad altri souls più noti: la profondità narrativa e la ricomposizione del puzzle degli eventi richiamano solo alla lontana i risultati raggiunti altrove.
Un soulsike singolare, più permissivo
Già dai primi minuti del monte ore speso in compagnia della produzione - per portare al termine la quale ne sono sufficienti una ventina - è stato possibile accorgersi della sua natura di soulsike singolare, più permissivo. Di base è evidente l'ispirazione ai capostipiti Soul: c'è un checkpoint iniziale in ogni area, dove è possibile salvare i progressi; ogni volta che si muore, si torna in quel piccolo, angosciante posto sicuro; i nemici picchiano tanto e picchiano duro (con due o tre colpi, in media, si è già belli che stecchiti); ogni area presenta un boss principale, sconfitto il quale la narrazione prosegue. La singolarità risiede, se mai, nel fatto che Bleak Faith: Forsaken cerchi di ottimizzare da subito il genere di riferimento, per esempio offrendo al giocatore una serie di armi e di pezzi di equipaggiamento che possono essere indossati subito, senza rispettare parametri precisi; ciò incentiva a trovare immediatamente il proprio stile di combattimento e di gioco preferito.
Non manca tutta la pletora di caratteristiche che chiunque si aspetterebbe di trovare, condite tra l'altro da una certa "premura da RPG": c'è il crafting per creare oggetti di immediato utilizzo, come pozioni e frecce; ci sono i parametri su cui spendere punti salendo di livello; e poi abilità attive e passive da sbloccare per rendere specifici stili di combattimento ancora più efficienti. L'aspetto più importante di tutti, e che potrebbe far storcere il naso ai cultori del genere, è però il fatto che Bleak Faith: Forsaken sia un soulslike permissivo. Morire, ad esempio, non comporta la perdita di alcun oggetto particolare, anzi forse è utile perché consente il respawn dei nemici e l'accumulo di punti esperienza. Non ci sono vincoli per la creazione di build specifiche, e dunque non dovrete impostare, salendo di livello, tutti i punti su Forza solo per sbloccare l'utilizzo di una spada gigante. Ma soprattutto, i nemici, per quanto letali, vanno giù facilmente - boss compresi, a meno che non corriate agitando le armi all'impazzata senza alcuna strategia.
Esplorazione e combattimento
La singolarità di Bleak Faith: Forsaken, cui si è accennato, risiede anche nel suo level design. Archangel Studios ha rinunciato da principio all'open world di Elden Ring, ma anche alla linearità estremamente guidata di altre produzioni minori, in favore di una scelta "furba": quella di un mondo apparentemente molto aperto, che si risolve però in un percorso guidato su binari (al netto di alcune ramificazioni che portano poi, comunque, sempre allo stesso punto). Per essere più chiari: Bleak Faith vuole sempre portarvi in un punto preciso. Potete prendere la via principale, individuandola subito, o perdervi per i suoi corridoi oscuri, ma sempre lì dovrete arrivare. Ogni deviazione dalla strada principale aumenta la sensazione della grandezza dell'Omnistruttura, ma in realtà - nonostante la presenza di tanti spazi aperti - il mondo di gioco è parecchio contenuto.
Non che esplorarlo non sia piacevole: è solo che, in una contestualizzazione presentata come ricca e mutevole, l'adozione di soluzioni costanti (corridoi, scale, dirupi) e sempre degli stessi colori dominanti (grigio, nero, bianco) comporta da sé un'evidente ripetitività di fondo. La stessa che viene poi adeguatamente compensata, però, da un sistema di combattimento conservativo ma volutamente solido ed efficace. La basilarità delle azioni negli scontri - rotolata per schiave diventando per pochi istanti invulnerabili, attacchi leggeri e colpi caricati - si alterna alla necessità di studiare i comportamenti di nemici minori e maggiori (anche se di meno, rispetto ai capolavori del genere) e, soprattutto, a quella di concatenare in modo naturale i propri affondi. Gli attacchi delle armi si Bleak Faith: Forsaken impongono un "accompagnamento", che diventa via via che si gioca evidente osservando l'animazione del protagonista: non basta premere il comando giusto in modo consequenziale per andare a segno, bisogna anche capire "quando" va premuto. Le idee buone, insomma, non mancano, ma parecchie altre sbavature, anche tecniche e grafiche, impediscono alla produzione di brillare.
Conclusioni
Bleak Faith: Forsaken non è un soulslike qualsiasi: è un soulsike con un suo carisma, che ai cultori del genere potrà piacere o non piacere, perché non nasconde le sue concessioni ai nuovi arrivati. Gli obiettivi sono diversi: favorire una maggiore accessibilità ai meno esperti; rendere l'esperienza meno frustrante; incentivare da subito la sperimentazione e la scoperta del proprio stile di gioco. In sé si tratta di una produzione discreta, ma non memorabile, soprattutto perché corredata da alcune sbavature di tipo tecnico e grafico (su console abbiamo notato diverse compenetrazioni, ma in generale il prodotto sembra pensato più per la scorsa generazione di console che per la nuova, in tutto). Merita una possibilità per l'ambientazione particolare e per la gestione nei combattimenti contro boss specifici, e ovviamente perché - al netto dei suoi limiti - resta comunque un'esperienza divertente, oltre che meno frustrante di quanto ci aspettassimo.
PRO
- Atmosfera inquietante e particolare
- Offre da subito diversi stili di gioco
- Sufficientemente profondo nella componente ruolistica
CONTRO
- Tecnicamente datato
- Legnoso in diversi momenti
- Tasso di sfida tarato un po' troppo verso il basso