Jurassic World è stato l'ennesimo tentativo di rivitalizzare una serie, ad anni di distanza, con una sorta di reboot basato su parallelismi, citazioni e fanservice. Il primo capitolo aveva anche funzionato abbastanza bene: il cast era accattivante e il feeling ricordava l'originale Jurassic Park in un contesto più moderno. Non ha mai retto il confronto col capolavoro di Steven Spielberg datato 1993, ma ha meritato il successo che ha portato sotto i riflettori Colin Trevorrow, regista poi puntato da Disney per la trilogia sequel di Star Wars. Interrotta la collaborazione per divergenze mai ufficialmente chiarite, Trevorrow ha continuato a lavorare sul marchio della Universal come scrittore e produttore esecutivo di Jurassic World: Il regno distrutto, un sequel che mostrava già tutti i limiti di una storia che si stava spremendo oltremisura.
Per chi non lo sapesse, il compianto Michael Crichton di romanzi su Jurassic Park ne ha scritti solo due: Jurassic Park, appunto, e Il mondo perduto, che ispirò liberamente la seconda pellicola diretta da Steven Spielberg. È facile immaginare, insomma, che si siano fatti i salti mortali per arrivare a sei film.
E infatti Jurassic World: Il dominio ricorre a un altro cliché che ormai si è insinuato in quel di Hollywood: se il tuo reboot perde i colpi, recupera gli attori originali per una dose di sana nostalgia. È esattamente quello che ha fatto Trevorrow, tornato al timone per l'ultimo capitolo della nuova trilogia, nonché della saga cominciata quasi trent'anni fa.
Se avrà funzionato ve lo diciamo nella nostra recensione di Jurassic World: Il dominio.
Due storie che si intrecciano
Che ci siano i cosiddetti Big 3 lo sanno ormai pure su Marte, tanto se n'è parlato: sono comparsi in tutti i trailer, sulle locandine, sul materiale promozionale. Jeff Goldblum aveva preso parte a Jurassic World: Il regno distrutto con un brevissimo e ridicolo cammeo, ma questa volta ha un ruolo molto più importante, insieme a Sam Neill e Laura Dern che tornano a indossare i panni di Alan Grant ed Ellie Sattler.
Rivederli insieme sullo schermo è un piacere, anche perché i tre attori sono riusciti a rievocare l'alchimia che li aveva resi tanto iconici nei film originali, ma il modo in cui Trevorrow, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Derek Connolly, li riporta in scena è davvero forzatissimo. A fronte di un'invasione di cavallette preistoriche, la Sattler - che molti pensano sempre essere una paleontologa, quando è sempre stata una paleobiologa - sta indagando sul coinvolgimento della Biosyn, una società che ha preso in carico la crisi ecologica dei dinosauri tornati in libertà.
Questo è uno dei due filoni narrativi che si intrecciano nel film e che porta Ellie da Alan e poi entrambi da Ian Malcolm direttamente alla Biosyn. È una sottotrama maldestra e piena di buchi logici che si perdonano solo perché i Big 3 funzionano davvero troppo bene insieme, colpa anche della nostalgia canaglia di cui sopra. Tra battute che fanno riferimento ai film precedenti - in modo molto intelligente, in realtà, perché aggiornano i vecchi fan sulle vite dei personaggi e, contemporaneamente, li contestualizzano per chi non ha visto gli originali - e piccole ma dosate gag, si riesce a sorvolare sui passaggi più inverosimili di quella che diventa una specie di "spy story" con l'inevitabile giro turistico di un parco che non è un parco. Si vedono un sacco di dinosauri, e va bene così. In fondo, è previsto che si vedano i dinosauri in un film coi dinosauri, o no?
L'altra sottotrama è invece incentrata sui protagonisti della nuova trilogia, ovvero l'Owen di Chris Pratt e la Claire di Bryce Dallas Howard, ai quali si aggiunge Maisie, la bambina molto speciale del film precedente che i due hanno adottato, per così dire, e cresciuto negli ultimi quattro anni. Abbiamo sempre apprezzato questi personaggi, se non altro perché Pratt e Howard sono due vere star che ci hanno saputo vendere una complicata dinamica di coppia che in questo sequel abbandona finalmente lo stereotipato "will they won't they" per abbracciare un tono più famigliare.
Anche Isabella Sermon è convincente nel ruolo della teenager che deve convivere con un'eredità tutt'altro che facile, oltre ai problemi della sua età. Il terzetto, insomma, funziona e la loro storia riesce, per assurdo, a essere pure più credibile di quella dei Big 3, seppur molto, molto più incasinata e costellata di cammeo che in pratica fanno da rappresentanza alla nuova trilogia.
In questa dinamica si inseriscono i nuovi comprimari. DeWanda Wise è Kayla Watts, una grintosa contrabbandiera che incrocia la strada della Famiglia Grady (ah ah!) mentre Campbell Scott sostituisce Cameron Thor nel ruolo di Lewis Dodgson, dato che l'attore precedente, apparso solo nel film del '93 è in galera. Lei funziona, e anche bene, ma lui no. Per nulla. Il nuovo Dodgson vorrebbe fare il verso a una stramba fusione di Bill Gates e Steve Jobs, ma risulta non solo impacciato e prevedibile, anche davvero poco convincente nel ruolo ambiguo che deve interpretare.
È il cast, insomma, a fare la differenza in due sottotrame che convergono nel terzo atto attraverso un'infinita serie di forzature. Forse una sceneggiatura più spavalda avrebbe potuto rimediare alla sensazione che i protagonisti indossino la cosiddetta "plot armor", cioè una narrazione che li protegge anche dalla più improbabile e pericolosa delle situazioni, ma Trevorrow è un regista commerciale e Il dominio è, probabilmente, il suo mostro di Frankenstein più riuscito in tal senso.
Una storia giurassica
C'è da dire che Jurassic World: Il dominio, pur essendo un film davvero lungo di quasi tre ore, non annoia mai. Anche perché, superato un prologo grossomodo tranquillo, quasi didascalico, si parte subito in quarta con una scena d'azione e poi un'altra, e un'altra ancora, e ancora e ancora. Non si riprende fiato praticamente mai e quando succede ci pensa subito un altro inseguimento o uno spavento a riportarci sulle montagne russe.
La varietà di situazioni cattura l'interesse dello spettatore e non c'è un momento che sia simile a quello precedente: inseguimenti per le strade maltesi, disastri aerei, grotte, giungle, laboratori sotterranei, c'è veramente di tutto e si passa così in fretta da una scena all'altra che qualche volta il montaggio tradisce la frettolosità della sceneggiatura. L'approccio è anche abbastanza originale: il film di Trevorrow lavora sullo status quo stabilito nella pellicola precedente, sfruttando i punti di vista dei personaggi per ribaltare quello dello spettatore.
I dinosauri de Il dominio smettono di essere esperimenti genetici, mostri da laboratorio, per assumere l'identità di vera e propria specie in via di estinzione da proteggere, responsabilità degli umani che l'hanno creata e che ora devono battersi per essa e non contro di essa. È una prospettiva ingegnosa su cui si sarebbe potuto costruire anche un film diverso, ma Il dominio tende a rispettare i cliché di ogni Jurassic Park/World che si rispetti, passando da un genere all'altro per poi precipitare nelle atmosfere più thriller. Purtroppo non è solo la suddetta plot armor a ridimensionare le aspettative, quanto anche la ridotta violenza visiva, il "gore" in altre parole.
Abbiamo avuto lo stesso problema con Il regno distrutto, al cinema, salvo poi scoprire che le proiezioni italiane erano state censurate e di sangue nel film di Juan Antonio Bayona ce n'era, anche se non tantissimo. Spielberg ci aveva abituato alle mutilazioni e all'horror subliminale coi primi due film, ma i Jurassic World sconfinano più nel territorio dell'avventura per famiglie e quest'ultimo capitolo, in particolare, conteggia un numero bassissimo di morti e feriti in bella vista.
In questo senso, quindi, i dinosauri smettono di fare veramente paura e i colpo di scena a un certo punto tendono a diventare ripetitivi e prevedibili. Trevorrow è un mestierante: sa usare la macchina da presa, ma manca dell'inventiva e della creatività per conquistare lo spettatore con riprese audaci e non banali. Il dominio soffre questo limite, specialmente perché il regista e scrittore lo infarcisce di fanservice che a lungo andare diventa stucchevole. Passino battute, costumi e primi piani che richiamano i film di Spielberg; passino persino i dinosauri più iconici che tornano nei ruoli che ci hanno incantato o atterrito per trent'anni; ma il T-Rex che passa davanti a una struttura circolare, trasformandosi in una copia vivente dello storico logo di Jurassic Park, è un po' troppo pure per il fan più navigato.
Fortunatamente gli effetti speciali allo stato dell'arte aiutano a immergersi in un'avventura inverosimile che svolge il compitino: intrattiene e diverte pure, ma sa incredibilmente di vecchio. Jurassic Park, quello del '93, trent'anni fa gli stava già davanti. Era un film più coraggioso e sconvolgente che ancora oggi regge tranquillamente il confronto anche coi soli animatroni contro la computer grafica, e forse forse dovrebbe suggerirci che la serie abbia fatto il suo corso e meriti quell'eterno riposo che ai dinosauri del film è stato negato.
Conclusioni
Multiplayer.it
7.0
Jurassic World: Il dominio è un'avventura che scivola via nonostante la sua lunghezza e intrattiene come dovrebbe fare qualunque film d'azione. In questo senso, però, è anche una pellicola vuota che non aggiunge nulla a un franchise che sembra aver detto già tutto. Nelle mani di un regista più capace e creativo, forse, avremmo avuto qualcosa di meglio, ma non ce la sentiamo di lamentarci troppo: Trevorrow è riuscito a rimettere insieme le tre star originali nello stesso film e a riunire nello stesso finale due generazioni di fan. Per parafrasare il compianto Ray Arnold: "Poteva andare peggio, John. Molto peggio".
PRO
- Alan, Ellie e Ian
- È un continuo susseguirsi di scene d'azione sempre diverse
- La nuova prospettiva sui dinosauri da proteggere è uno spunto interessante
CONTRO
- La sceneggiatura è piena di forzature inverosimili
- Fanservice a tratti stucchevole
- La pochissima violenza visiva ridimensiona la pericolosità dei dinosauri