Una decina di anni fa, la serie di videogiochi Yakuza, che poi cambierà titolo in Like a Dragon per rispettare la nomenclatura giapponese (Ryu Ga Gotoku, letteralmente, Come un drago), aveva un modesto successo in occidente. Nonostante contasse su una nicchia di appassionati molto fedele, era difficile entrare nelle avventure di Kazuma Kiryu, dal momento che la saga era già al quinto capitolo e le relazioni tra i personaggi erano davvero complesse.
Poi, qualcosa è cambiato, è arrivato Yakuza 0, un prequel che raccontava le origini di Kiryu e di un altro dei protagonisti più amati della saga, Majima Goro. Da quel momento la popolarità di Yakuza in occidente è in ascesa, tanto che ormai è un piccolo fenomeno, una delle saghe di punta di SEGA. Anche per il suo gusto fuori di testa. Yakuza è infatti una creatura stramba, che vive di estremi: il melodramma da una parte, l'assurdo dall'altra. Spesso riesce a farli convivere in maniera straordinaria.
Una serie TV impossibile?
Realizzare un adattamento cinematografico che riesca a rendere giustizia a questa serie, con i suoi colpi di testa squisitamente nipponici, pare una sfida impossibile. Molte delle trovate narrative ed estetiche del videogioco, su carta, sembrano difficili da tradurre in carne ed ossa. Lo stesso Kiryu, lo stoico protagonista, funziona alla perfezione perché è un uomo estremamente serio calato in un contesto a volte ridicolo.
Proprio in questo contrasto si instaura un patto tra il videogioco e il giocatore, disposto a innalzare la sospensione dell'incredulità fino alle stelle, e a ingoiare scontri a mani nude contro bestie feroci, cospirazioni nazionali, personaggi che sopportano raffiche di mitra e scazzottate per risolvere faide durate decine di anni. Questo è Yakuza. Anche un grande cineasta come Takashi Miike si è confrontato con un adattamento del videogioco nel 2007, e il suo film, Like a Dragon, pur avendo azzeccato la vena folle del prodotto non è particolarmente riuscito.
Amazon però ha dimostrato di poter accettare sfide difficili e di riuscire a portarle a termine con successo. Fallout (qui la nostra recensione), per esempio, è stata in grado di catturare lo spirito parodistico della serie di videogiochi senza perdere di identità. Non era così scontato che ci riuscisse. Ce l'avrà fatta anche con Like a Dragon: Yakuza?
Tra Yakuza 0 e Yakuza
La serie TV prende molti elementi da Yakuza 0 e dal primo Yakuza per costruire una storia che racconti contemporaneamente le origini di Kazuma Kiryu e la sua prima, indimenticabile, avventura. Per riuscire in questa impresa che racchiude in sei episodi decine e decine di ore di videogiochi, la narrazione si sposta continuamente dal 1995 al 2005, variando di qualche anno gli eventi raccontati nella saga videoludica. Si eliminano così alcuni degli elementi sociali più interessanti che si intersecavano con la vera storia giapponese di quegli anni, come il boom dell'edilizia dovuto alla bolla economica che poi farà sprofondare il Giappone in un lungo periodo di recessione.
Nel segmento ambientato durante il 1995 Kiryu, il suo amico fraterno Nishiki, sua sorella Miho, e Yumi sono quattro orfani ormai irrimediabilmente invischiati con la mafia giapponese. Per salvarsi la vita, infatti, i quattro hanno promesso di servire la famiglia Dojima. Kiryu, in particolare, ha deciso che lo farà combattendo in un club sotterraneo, dove da piccolo aveva visto lottare il Drago di Dojima: un uomo con un enorme drago tatuato sulla schiena. Il ragazzo è cresciuto sognando il suo mito e ora vuole ripercorrerne le tappe. Vuole diventare il combattente numero uno di Kabukicho, il quartiere a luci rosse di Tokyo gestito dalle famiglie mafiose.
Dieci anni dopo, invece, i sogni di gloria del nostro protagonista sono infranti: Kiryu è appena uscito dal carcere. Non sappiamo come ci sia finito, ma gli altri detenuti e gli yakuza con cui ha a che fare lo chiamano con disprezzo oyagoroshi, l'ammazza boss. Una volta tornato a Kamurocho, Kiryu la trova totalmente cambiata: non c'è più quel fervore che la abitava prima, anzi, il quartiere è un campo di battaglia. Le famiglie sono sul piede di guerra dopo la sparizione di una grossa somma di denaro. Nel frattempo Nishiki è arrivato al vertice della famiglia Dojima e, per le strade di Tokyo, un serial killer che si fa chiamare il Diavolo trucida indistintamente mafiosi e civili alla ricerca dei soldi scomparsi.
Una serie con una sua identità
Ci eravamo lasciati dopo il nostro speciale, chiedendoci se le tre puntate finali avrebbero reso giustizia a una scelta controversa, ma sicuramente coraggiosa: eliminare gli elementi più assurdi della serie Yakuza in favore di un serial più vicino ai film di gangster giapponesi.
Like a Dragon: Yakuza, in effetti, sembra non volere andare in direzione di nessuna delle due colonne portanti della saga videoludica: manca l'umorismo e anche gli scontri fisici tra Kiryu e i suoi avversari non sono così centrali nella narrazione come invece lo sono nella progressione del videogioco. Era plausibile pensare a una maggiore attenzione sui combattimenti (sognavamo qualcosa sullo stile di The Raid), ma la serie compie una scelta totalmente differente, puntando invece su un gangster movie con qualche incursione nel melodramma.
Di nuovo, è una scelta che va capita e processata prima di approcciarsi alla serie TV, perché aspettandosi una trasposizione fedele del videogioco si rischia di essere irrimediabilmente delusi: i personaggi non ricordano la loro controparte videoludica, il tono della narrazione è profondamente diverso e anche alcuni degli snodi della trama sono cambiati. Inoltre, nei primi tre episodi avevamo segnalato che Like a Dragon: Yakuza mancava il bersaglio anche nel raggiungere un certo grado di intensità che potesse fungere da alternativa al videogioco. Una serie in cerca di identità, che faceva fatica a trovare il suo ritmo e saltellava in maniera confusa tra presente e passato.
Gli ultimi tre episodi, in questo senso, ci sono sembrati più coerenti. I flashback sono più dosati e, quando ci sono, durano abbastanza a lungo da permetterti di farti coinvolgere nella narrazione. Anche la vena umoristica, già parecchio arida negli episodi precedenti, si asciuga del tutto: la serie assume i connotati di un dramma profondo e questo, a dire la verità, gli fa più bene che male. In queste ultime tre ore circa di storia, Like a Dragon: Yakuza trova una sua identità ben precisa. Molto distante da quella del videogioco, ma finalmente stabile.
Cosa resta dei personaggi del videogioco?
Inutile nascondere il fatto che alcuni dei personaggi risultano irrimediabilmente trascurati per colpa del poco tempo che gli viene dedicato, e anche dalla loro natura che cozza contro le aspirazioni seriose della serie. Majima Goro, per esempio, il cane pazzo della yakuza, non ha più senso di esistere. Spogliato dalla sua verve, e con un tempo su schermo molto ridotto, non riesce mai a maturare, limitandosi solo a proporre un simpatico meme nel finale. Sinceramente, se non fosse nemmeno apparso, sarebbe stata praticamente la stessa cosa. E non parliamo di suo fratello Taiga, che è ridotto a una comparsa sullo sfondo. Anche Nishiki e la sua trasformazione da spalla comica ad austero boss della yakuza ci è risultata molto veloce, scevra della carica drammatica e del rapporto fraterno che, nel videogioco, lo legava a Kiryu.
Ci è piaciuta molto invece Yumi, con un ruolo dolente e malinconico, che cerca di farsi prendere sul serio in un mondo abitato da uomini come quello della criminalità giapponese. Abbiamo apprezzato anche Kiryu, sebbene sia scevro di quel contrasto tra l'uomo tutto d'un pezzo e l'assurdo che gli dà senso nella saga videoludica.
Tutti i personaggi secondari, come l'ispettore Date o la piccola Haruka, invece, sono totalmente sacrificati al minutaggio, si limitano a essere poco più che comparse, senza molto da dire. Haruka per esempio non interagisce praticamente mai con Kiryu, e conoscendo il rapporto quasi genitoriale che li lega nei videogiochi, ci è dispiaciuto molto. D'altronde, come abbiamo già detto, era molto difficile comprimere decine di ore di videogiochi in meno di sei.
Conclusioni
Multiplayer.it
7.0
Piuttosto che decidere per un adattamento fedele della saga di videogiochi, Like a Dragon: Yakuza sceglie un'altra strada: elimina la scrittura assurda e sopra le righe, taglia il tempo dedicato ai combattimenti e si focalizza sul melodramma mettendo in scena una storia di gangster. Il risultato è una serie discreta, che fatica a trovare la sua identità e ci riesce solo nella seconda parte. Guardando Like a Dragon: Yakuza ci siamo più volte chiesti a chi fosse rivolta: i fan storici resteranno probabilmente delusi, e chi vorrà recuperare i videogiochi dopo aver visto la serie TV troverà un prodotto molto differente.
PRO
- Presa come storia di gangster non è niente male
- Il combattimento finale ci è piaciuto
- Il personaggio di Yumi Sawamura è molto riuscito
CONTRO
- Chi cerca una trasposizione fedele del videogioco resterà deluso
- Alcuni personaggi come Majima Goro hanno perso di senso
- La serie impiega molto tempo a trovare una sua identità