L'aspetto da piccolo gioco mobile potrebbe trarre in inganno, ma la recensione di My Child Lebensborn racconta di una delle esperienze di maggior impatto che si siano viste in questi tempi nel panorama videoludico, con un gioco che riesce nel difficilissimo compito di trattare elementi drammatici della storia in maniera inedita, sfruttando pienamente il potenziale del medium in questione e colpendo duro.
Il particolare titolo potrebbe aver già spinto qualcuno a documentarsi su quale sia il tema di questo strano esperimento da parte di Sarepta Studio, considerando che si tratta di una pagina drammatica della storia europea forse meno trattata rispetto a molte altre: si parla anche qui di nazismo e Seconda Guerra Mondiale, ma per mettere in scena qualcosa di molto più celato e decisamente meno spettacolare, ma non meno sconvolgente, delle battaglie sul fronte. Il programma Lebensborn doveva essere un pilastro nella costruzione della nazione razzista del Terzo Reich, una vera e propria applicazione pratica di eugenetica per dare una spinta demografica alla razza ariana, con il sostegno alla nascita di bambini che rientrassero nelle caratteristiche previste dalle SS.
Approfondire l'argomento richiederebbe troppo tempo, ma consigliamo di raccogliere qualche informazione per avere chiaro il background in cui si inserisce la storia di My Child Lebensborn, in modo da stamparvi in mente che quanto messo in scena dal gioco è estremamente realistico e dunque ancora più inquietante. In questa particolare avventura narrativa con elementi gestionali dobbiamo accudire e far crescere un bambino nato proprio dal programma Lebensborn, uno dei tanti che nel dopoguerra si sono ritrovati sbalzati presso famiglie adottive, trasportati di colpo dai centri di maternità tedeschi ai propri paesi d'origine una volta crollato il sistema nazista.
La Norvegia, ambientazione del gioco, è stata uno dei luoghi più colpiti dal fenomeno, visto che le donne scandinave erano considerate le madri più naturalmente adatte a portare avanti il programma di ampliamento della razza ariana e dunque i soggetti privilegiati per queste unioni con i soldati tedeschi. È facile capire come, in un paese che aveva subito l'occupazione nazista, tali bambini venissero visti come un simbolo dell'oppressione e trattati di conseguenza dalla società post-bellica, dunque quella che si presenta sullo schermo è una storia triste, fatta di difficoltà e incomprensioni, rapporti tesi e ingiustizie, ma anche momenti di tenerezza e gioia come quelli che realisticamente possono emergere in un'infanzia difficile, ma in una società che si trova al termine di un lungo incubo.
Un profondo tamagotchi umano
All'inizio del gioco si sceglie se adottare un maschio, Klaus, o una femmina, Karin, ma a parte la rappresentazione e alcuni elementi secondari la struttura non cambia e prevede semplicemente di crescere il figlio adottivo nel migliore dei modi, cercando di provvedere ai suoi bisogni primari, giocandoci e parlandoci in modo da affrontare le mille difficoltà della vita quotidiana in una situazione del genere.
La gestione del bambino si basa sulle azioni da effettuare all'interno delle varie unità di tempo che compongono le giornate, tra momenti di lavoro con la possibilità di cucire vestiti e costruire oggetti utili, e faccende domestiche, con la necessità di fare da mangiare e in generale controllare che i vari parametri del bambino tra fame, salute e comfort rimangano su livelli positivi. La quantità di tempo in ogni giornata è limitata e la cosa ci costringe ad effettuare delle scelte difficili, proprio come nella vita reale: fare straordinari per poter acquistare qualche nuovo oggetto toglie tempo al gioco con il bambino o cancella una possibilità di dialogo su un qualche problema emerso, oppure la necessità di farlo studiare o mandarlo a letto presto si sovrappone a possibili momenti di gioco che potrebbero rinfrancare lo spirito. Un po' come accade nella realtà dell'essere genitore, non è facile fare sempre la scelta giusta e spesso è difficile anche individuarla con precisione.
Tra le varie azioni, che si svolgono in maniera non dissimile da veri e propri mini-game, troviamo i momenti di dialogo diretto, che ci consentono di stabilire un contatto più profondo con il figlio adottivo. In questi momenti prendiamo coscienza dei suoi sogni e delle sue difficoltà, cercando di mediare tra l'entusiasmo infantile e i numerosi problemi che emergono tra bullismo costante, ostracismo degli adulti e difficoltà ad inserirsi in una società che ci pone inesorabilmente ai margini. Anche in questi frangenti dobbiamo attuare delle scelte, adottando di volta in volta un certo tipo di atteggiamento con le risposte da dare al bambino, decidendo anche come affrontare la questione dei genitori biologici e l'eventuale possibilità di incontrarli, compreso il modo in cui trattare l'argomento del nazismo che inevitabilmente emerge tra i mille dubbi del piccolo.
A dire il vero, la parte gestionale di My Child Lebensborn solleva più di un dubbio, perché non sembra che le scelte pratiche effettuate sul controllo dei vari parametri abbiano enormi riscontri sull'evoluzione del bambino e della storia, dunque queste decisioni sembrano servire soprattutto a mettere in evidenza elementi narrativi diversi, più che portare a conseguenze effettive sulla vita del figlio. D'altra parte, si tratta di un'esperienza principalmente narrativa, dunque lo scopo di questo titolo è soprattutto raccontare una storia: dura e triste, nella maggior parte dei casi, ma importante preziosa anche perché percorre una strada davvero poco battuta in precedenza, oltretutto con metodi che risultano possibili solo attraverso il videogioco e la sua naturale interattività.
Conclusioni
My Child Lebensborn rientra pienamente in quelle ardite sperimentazioni narrative a cui gli indie ci hanno ormai abituato da tempo, portandosi dietro alcuni inevitabili elementi critici in termini di gameplay ma mostrando anche dei notevoli punti di forza. Tagliando corto su qualsiasi velleità estetica, il gioco di Sarepta è tutto sostanza e sfrutta in maniera perfetta le caratteristiche comunicative del videogioco per raggiungere un obiettivo arduo: stimolare al massimo l'empatia nei confronti di particolari vittime della guerra, senza ricorrere all'immedesimazione in prima persona o all'azione spettacolare, ma "semplicemente" rendendoci genitori virtuali. Non c'è forse un modo migliore di questo per colpire nel profondo: farci vivere le emozioni, i problemi, le gioie e gli scontri quotidiani con un bambino che la società considera simbolo stesso di uno dei più grandi mali della storia pur non avendo fatto assolutamente nulla di male e facendoci comprendere, in questo modo, l'assurdità di una tale catena dell'odio.
PRO
- Mette in scena momenti di grande impatto emotivo, sfruttando bene le caratteristiche del videogioco
- Permette di conoscere una pagina drammatica ma poco nota della storia europea
- I problemi posti e le relative soluzioni non sono banali
CONTRO
- Qualche dubbio sull'effettivo impatto delle scelte nella parte gestionale
- Gameplay alquanto limitato