Fenice Giusto 2: La Vendetta
E Phoenix è cresciuto, o meglio è stato costretto a crescere. Ne parleremo meglio più avanti: per ora vi basti sapere che Justice for All inizia circa nove mesi dopo la conclusione del quarto caso di Ace Attorney. Sì, del quarto, non del quinto: ormai è risaputo che l'ultimo caso del Phoenix Wright per DS era un posticcio applicato in occasione della riedizione per testare le potenzialità di stilo e touch screen, e che quindi non poteva essere considerato al tempo in cui Gyakuten Saiban 2 uscì in Giappone per la prima volta. Justice for All vi si attiene fedelmente senza cambiare nulla del titolo originario e senza aggiungere un altro caso extra, da molti ardentemente desiderato, ma ciò non è da considerarsi un difetto in quanto cambiare i testi avrebbe comportato una discrepanza con la storia stessa. E la storia è molto importante, in questo caso. Qualcuno riderà leggendo del pretesto, in realtà geniale proprio per la sua presunta ingenuità, utilizzato dallo scrittore per far sì che Phoenix, nel primo caso, sia costretto ad apprendere di nuovo il suo mestiere e quindi fornire l'irrinunciabile tutorial al giocatore alle prime armi. Un misterioso figuro lo colpisce infatti alla testa con un estintore nei primi secondi del gioco, causandogli un vuoto di memoria pressoché totale che lo getterà nella confusione più nera non appena sarà esortato a entrare in aula per difendere il suo cliente, imputato manco a dirlo di omicidio. E allora ricominciamo da capo anche noi, così da spiegare brevemente il succo del gioco ai più smemorati o a chi si fosse sintonizzato solo ora. Phoenix Wright è un'avventura punta e clicca con massicce dosi di testo, e viene vista tutta attraverso gli occhi dell'omonimo avvocato difensore, un tipo con un grande talento nel riuscire a tirarsi fuori dai guai anche quando la situazione del suo assistito sembra disperata. Tranne il primo caso, ancorato alla fase processuale, tutti i capitoli si svolgono attraverso l'alternarsi di due sezioni ben distinte: quella investigativa, il classico adventure, in cui si dialoga con i personaggi legati alla vicenda per raccogliere informazioni e si racimolano prove utili nelle diverse ambientazioni esaminandole con l'ausilio dello stilo, e quella in tribunale, ossia il fulcro del gioco, in cui bisogna far fruttare tutto il materiale trovato in precedenza. È in questo momento che si consumano tutti i colpi di scena più clamorosi, scanditi da un ritmo pressoché perfetto: i testimoni vengono chiamati a deporre dall'accusa, e dal momento che solitamente mentono tutti, chi in buona fede e chi (più spesso) perché ha qualcosa da nascondere, Phoenix, cioè noi, dovremo contraddirli utilizzando la prova giusta al momento giusto ("Obiezione!") oppure fermare il loro discorso per richiedere maggiori delucidazioni ("Un attimo!"), mentre a volte il giudice esigerà che si dimostri un'affermazione o un'ipotesi con un oggetto ("Ecco!"). Ovviamente non è sempre così semplice, ma lasceremo a voi il piacere di scoprire cosa intendiamo. A queste meccaniche collaudate, JFA ne aggiunge un'altra che rende le sezioni di investigazioni, se non meno lineari, molto più avvincenti di quanto non fossero in passato: gli Psyche-Lock (Lucchetti Psichici) sono rappresentazioni allegoriche delle menzogne celate nel cuore dei personaggi che vengono a galla una volta venuti in possesso del Magatama, gioiello tradizionale giapponese che nel mondo di PW viene utilizzato dalle famiglie dei medium per entrare in comunicazione col mondo degli spiriti. Dialogando con i futuri testimoni può capitare che essi siano reticenti a rispondere a una data domanda: in questo caso l'interlocutore verrà avvolto da un effetto in negativo e appariranno tanti Psyche-Lock quanto è grave e importante il segreto da lui (o lei) celato. Per tentare di rompere i lucchetti e accedere alla verità occorre mostrare le prove richieste man mano, ma se si sbaglia qualcosa verrà inflitta una penalità sotto forma di sottrazione alla barra di energia vitale (quella che sostituisce le penalità del precedente episodio e che viene intaccata anche quando si dovesse compiere un errore in tribunale) e occorrerà ritentare oppure rinunciare; nel secondo caso, quando si deciderà di riprovare bisognerà ricominciare da zero. Attenzione: l'energia vitale si rigenera solo e unicamente quando una procedura di sbloccaggio va a buon fine, perché altrimenti viene ritenuta tale e quale per tutta la durata del caso. Non ci si preoccupi tuttavia di poter trascurare qualche brandello di informazione fondamentale e di non avere quindi materiale a sufficienza per risolvere un caso: come nel precedente PW:AA, non si va avanti finché tutte le azioni richieste dal gioco non sono state portate a termine.
Giustizia sarà fatta
Intendiamoci: una piccola novità nel sistema di gioco non rende JFA diverso di per sé dal prodotto originario. Vengono mantenuti tutti i pregi e i difetti di AA: lo svolgimento è estremamente lineare, l'interattività è ridotta (scordatevi il free roaming da un'area all'altra: ci si sposta cliccando sul nome delle locazioni) e, beh, anche se non è propriamente un difetto bisogna precisare che non si tratta affatto di un titolo serio e realistico e che quindi non si dovrebbe avvicinarlo per nessun motivo come tale. Non solo le procedure giudiziarie sono quanto di più deliziosamente inverosimile esista al mondo, ma tutta l'ambientazione è costellata di continui e giocosi ammiccamenti al paranormale, e non si potrebbe certo definire altrimenti una ragazza che riesce a incanalare nel suo corpo lo spirito della sorella maggiore morta assumendone temporaneamente i connotati (e le forme). Questo si accompagna a una delle più grandi e sorprendenti qualità dello script, una qualità rarissima da scovare non solo nei videogiochi, ma addirittura nelle opere appartenenti a media ben più rispettati: il perfetto equilibrio tra farsa e dramma, comicità e tristezza, commozione ed esaltazione. Mai durante il gioco si sminuisce un evento tragico, costato la vita o la sanità mentale a qualcuno, e il loro alternarsi spesso fulmineo a battute esilaranti e demenziali e a climax di tensione costruiti magistralmente non dà mai l'impressione di essere presi in giro: anzi, contribuisce a creare un'aria di familiarità con i personaggi difficilmente riproducibile altrimenti. Rispetto ad AA, comunque, i toni si sono fatti leggermente più maturi: un altro grande pregio degli script di questi giochi sta nella loro non-immobilità, nel fatto che ad ogni episodio riescono ad evolversi affrontando temi sempre più difficili senza ripetersi troppo. Ed è così che Phoenix, dopo essere stato introdotto alla professione, dovrà imparare veramente cosa significa essere un avvocato difensore e capire se sia più giusto combattere perché il proprio cliente sia assolto a tutti i costi oppure lottare per la giustizia e la verità. Capirà che un innocente, per quanto tronfio e arrogante, rimane pur sempre un innocente, che la razionalità non è di questo mondo e che bisogna riuscire ad andare avanti anche quando i punti fermi vengono a mancare e sembra che tutti siano contro di lui: il vecchio amico-rivale Edgeworth è scomparso dandosi per morto, e il procuratore che si opporrà al nostro rampante avvocato, la presuntuosissima Franziska von Karma, farà di tutto per rovinarlo spinta da un motivo futile come la vendetta. Ciononostante il gioco trova il tempo e il modo di inserire gag ancora più esilaranti e folli che in precedenza, concedendosi anche una quantità di citazioni dalla cultura pop americana. Ovviamente nella versione inglese del gioco. Quella italiana, ci duole dirlo, è poco più che funzionale alla comprensione di ciò che accade, e appiattisce tutti i giochi di parole, gli accenti particolari dei personaggi, le battute e le citazioni senza nemmeno prendersi il disturbo di tentare di adattare i nomi in uno dei pochi casi in cui questo processo sarebbe stato giustificato dalla natura del gioco. Anche così, però, è difficile non rimanere catturati, e alla fine di tutto rimane una sola convinzione, non senza una punta di tristezza: che se nella realtà gli avvocati fossero come Phoenix Wright, il mondo sarebbe forse un posto un po' migliore.
Tsuzuku (continua)
Tsuzuku (continua) | I tre titoli pubblicati (senza contare il quarto, che ha un protagonista completamente diverso) possono essere giocati indipendentemente l’uno dall’altro, ma è consigliabile affrontarli in ordine per comprendere appieno richiami e strizzatine d’occhio. In questo senso li si può considerare come altrettante stagioni di un’ipotetica serie televisiva: nel prossimo troncone di episodi, quello contenuto in Gyakuten Saiban 3, si scaverà più a fondo nel passato di Phoenix, di Edgeworth e di numerosi altri personaggi importanti, nuovi casi ancora più difficili ed emozionanti richiederanno la nostra attenzione e farà la sua entrata in scena un nuovo rappresentante della pubblica accusa, il misterioso e bionico Godot, che ha una grande passione per caffeina e derivati. Prossimamente su questi schermi. Ovviamente, Capcom permettendo. |
Justice for All lo si gioca, o meglio, lo si legge giocando, praticamente senza fermarsi mai finché non lo si finisce. È difficilissimo staccarsi dalla variopinta aula dove si consumano i drammi personali di testimoni, imputati e magistrati, e solitamente lo si fa di malavoglia solo per esigenze esterne veramente impellenti. Non è che una delle qualità che condivide con il suo predecessore, e di fatto si tratta di uno dei pochi seguiti veramente all'altezza del prodotto che lo ha generato. Se Ace Attorney, Justice for All e il loro fratello più giovane, Gyakuten Saiban 3, fossero romanzi, manga o una serie animata per la TV, sarebbero considerati degli ottimi prodotti (se non dei capolavori) praticamente da tutti; ma dato che sono videogiochi, ci aspettiamo che qualcuno storca il naso di fronte alla loro natura prevalentemente testuale, obiettando (!) che in un videogioco si deve prima di tutto avere il controllo sull'ambiente e su quello che succede. Siamo d'accordo, ma non completamente: se un'opera è avvincente, se il tempo che passiamo in sua compagnia ci sembra trascorrere in un attimo, se quando abbiamo visto la parola fine sentiamo che ci è rimasto qualcosa dentro, allora forse non dovrebbe fare troppa differenza se a darci quelle emozioni è stato un film, un fumetto oppure un videogioco. Avvicinatevi ad Ace Attorney e Justice for All con questo pensiero in mente e rimarrete catturati anche voi: ne siamo sicuri.
Pro
- Gli Psyche-Lock aggiungono interesse alle fasi investigative
- Trame ancora più complesse e mature
- Ha esattamente tutte le qualità del primo...
- ... così come tutti i suoi difetti
- Musiche leggermente sottotono rispetto all'episodio precedente
- Traduzione italiana piatta e anonima
Capcom è la signora dei franchise. Anche da un gioco facilmente classificabile come "di nicchia" riesce a tirarti fuori una serie da un episodio all'anno, o quasi. E così, non appena un gioco come Gyakuten Saiban, realizzato con pochissimi fondi e un personale veramente esiguo, si è rivelato uno sleeper hit in Giappone, la casa di Street Fighter (appunto) e Resident Evil (appunto) ha subito schiavizzato lo scrittore del plot nonché game designer, Shu Takumi, costringendolo a scrivere continuativamente per una saga che ora, dopo il collasso nervoso dello stesso Takumi, è passata nelle mani di altri e vedrà a giorni la pubblicazione del quarto capitolo solo su Nintendo DS. Proprio su DS, d'altra parte, i furbissimi produttori avevano deciso di realizzare la conversione aggiornata del primo Gyakuten Saiban, uscito originariamente su Game Boy Advance, portandolo poi in America per sperimentare nuove aree di mercato e compiacendosi degli ottimi risultati di vendita ottenuti dalla magnetica formula del gioco. Questa era the story so far: adesso il consenso di pubblico e critica è stato premiato con una nuova conversione, stavolta del secondo episodio dell'arco narrativo avente per protagonista il giovane avvocato Phoenix Wright.