Per molti la next-gen è stata varata l'altro giorno con l'annuncio di PlayStation 4, alcuni più ottimisti la fanno risalire all'annuncio di Wii U che, nonostante alcuni limiti tecnici, è in grado, dal punto di vista grafico, di andare un poco oltre l'attuale generazione. La verità è un po' diversa.
La next-gen è iniziata davvero quando i grandi sviluppatori di framework dedicati ai videogiochi hanno iniziato a mostrare i loro motori di nuova generazione. Guardando i vari Unreal Engine 4.0, cryEngine 3.0, Fox Engine, Luminous Engine, Frostbite 2, Unity 4.0 e compagnia un osservatore attento avrebbe dovuto chiedersi spontaneamente a cosa servisse l'aggiunta di effetti grafici appannaggio delle DirectX 11, se nessuno poteva produrre titoli che li sfruttassero. Esclusive PC? Decisamente un mercato troppo ristretto per giustificare investimenti simili. Era ovvio che c'era qualcosa che fremeva nelle stanze segrete, un sussulto per cui l'uscita sul mercato delle nuove console è soltanto la punta dell'iceberg, ossia il manifestarsi davanti al grande pubblico del risultato di un'infinità di lavoro, di accordi tra publisher e produttori hardware, e di studi di mercato per capire come muoversi in una situazione di oggettiva crisi.
C’era una volta...
Come mai i publisher odiano tanto i videogiochi usati al punto da iniziare una specie di guerra per cercare di limitarli in tutti i modi? Come mai nelle passate generazioni il problema non è mai stato sollevato? Eppure il mercato dell'usato è nato con il medium videoludico e non è certo un fenomeno degli ultimi anni. Per capirci qualcosa bisogna fare due conti. Ma prima vogliamo raccontarvi una favola. C'era una volta un ragazzo che sviluppò il suo gioco. Per farlo usò il computer che gli avevano regalato i suoi genitori. L'idea era quella di rendere in digitale una sessione di un gioco di ruolo cartaceo, per vivere le avventure tanto amate in un mondo virtuale. Il giovane genio riuscì nel suo proposito. Come distribuirlo però? I canali universitari non gli bastavano e decise di stamparne alcune copie per venderle nei negozi. Venti copie, per la precisione. Le confezionò e le distribuì a mano nel negozio in cui lavorava, vendendone meno della metà. Il suo lavoro attirò però quello che possiamo considerare un publisher, molto diverso da quelli di oggi, che ne comprò i diritti. Le vendite andarono bene al punto da permettere al ragazzo di avviare la sua software house, Origin Systems. Il ragazzo era Richard Garriott e il gioco era Akalabeth: World of Doom, il prototipo della serie Ultima. Il resto è storia e in questa sede ci interessa poco. Quanto costò sviluppare Akalabeth? Il tempo libero di Garriott. Quale era il break even point di Akalabeth? Probabilmente solo la soddisfazione di Garriott nel sapere che qualcuno si divertiva con ciò che aveva fatto. Andiamo avanti e guardiamo a una console come il NES. Quanto poteva costare sviluppare un gioco come il primo Super Mario Bros.? Solo Nintendo può saperlo, ma possiamo ipotizzare che non ci vollero più di poche migliaia di euro. Aggiunti i costi di stampa e distribuzione, probabilmente più alti di quelli di sviluppo viste le cartucce del NES, possiamo ipotizzare che per rientrare delle spese sostenute a Nintendo sarebbe bastato vendere poche decine di migliaia di copie. Probabilmente con centomila copie piazzate sarebbe stato considerato già un ottimo successo, degno di ricevere un sequel. Invece tutti sappiamo che quel gioco vendette diverse milioni di copie, segnando la storia del medium. La situazione non cambia di molto con la successiva generazione di console (di computer non parliamo, perché i costi di sviluppo, stampa e distribuzione erano decisamente più bassi e il mercato era molto diverso), ossia quella di Super Nintendo e Megadrive. La svolta arriva con la generazione seguente: PlayStation e Saturn sfruttavano un supporto all'epoca piuttosto nuovo, il CD-Rom. Si era passati dal dover riempire pochi MB delle cartucce delle macchine precedenti, ad avere a disposizione centinaia di MB. I filmati in FMV divennero uno standard, così come il 3D. In realtà la situazione dei costi non si aggravò più di tanto, tranne per progetti particolarmente importanti e, viste le vendite milionarie della macchina, che permisero l'affermazione di brand che producono seguiti ancora oggi, guadagnare con i videogiochi non era poi così difficile e si potevano sperimentare soluzioni diverse senza rischiare di trovarsi con l'acqua alla gola. La situazione si è aggravata enormemente con la generazione PS2/Xbox/GameCube. I costi sono lievitati e la quota media per rientrare delle spese si è alzata fino a duecentocinquantamila copie circa, con i titoli più dispendiosi che potevano richiedere vendite molto più corpose per andare in paro. Siamo nel punto limite, con il mercato che si teneva in piedi soprattutto grazie all'immensa base installata della console di Sony, di fatto in una situazione di preminenza assoluta rispetto alle concorrenti, che non rendeva un miraggio rientrare dei soldi spesi. Poi sono arrivate PlayStation 3 e Xbox 360.
La contesa dell’usato
Cosa c'entra l'usato con il discorso precedente? Mancano ancora alcuni spunti per comprendere la situazione. Le generazioni pre-360/PS3 presentavano un mercato molto diverso da quello della generazione attuale: i giochi non avevano modalità online (tranne alcuni) e dopo la vendita non c'erano costi ulteriori da sostenere. Dovevi vendere trecentomila copie? Bene, se riuscivi eri a posto e non dovevi preoccuparti di aggiornamenti, patch, server da mantenere o altro. Capirete che in un quadro del genere l'usato era vissuto molto diversamente. Un gioco di seconda mano non fruttava nulla al publisher, ma nemmeno gli toglieva nulla. Insomma, l'impatto sui conti era scarso e i titoli avevano successo o meno a prescindere dal mercato dell'usato, che viveva parallelamente a quello del nuovo. Con 360/PS3 non è stato più così.
Un gioco medio per Xbox 360 e PlayStation 3 ha una modalità single player e una serie di modalità multiplayer accompagnate da diversi servizi. Mantenere infrastrutture come XBLA o PSN costa soldi e a far lievitare le spese sono intervenuti una serie di fattori esterni, diventanti imprescindibili (per dire, anche inserire il tasto "condividi i tuoi punteggi su Facebook" ha il suo costo). A inizio generazione si parlò di 500 mila copie necessarie per andare in paro, ma è risaputo che a fine generazione i progetti più grossi hanno visto lievitare questo dato fino a cifre assurde (ad esempio per Max Payne 3 si è vociferato di un break even point di 5 milioni di copie). In un contesto del genere, che ha visto diminuire enormemente la produzione dei giochi (se fate un confronto con la generazione PS1, ma anche con quella PS2, vedrete che sono usciti nei negozi moltissimi titoli in meno, con un minimo equilibrio mantenuto soltanto grazie ai titoli PSN e XBLA) e ha creato una grande incertezza, aumentata dalla concorrenza del mobile gaming e dei mille altri rivoli in cui si è frammentato il mercato, l'usato ha iniziato ad avere un suo peso specifico enormemente maggiore: non solo una copia usata non rappresenta un guadagno per il publisher e di conseguenza anche per gli sviluppatori ma, dovendo garantire al neo acquirente tutta una serie di servizi, di cui l'acquirente originale non usufruiva più, diventa addirittura un costo. Per questo nasce l'esigenza di monetizzare con DLC e micro transazioni varie, novità odiate profondamente ma ormai necessarie per giustificare certi investimenti, e per questo sono nati dei sistemi antiusato che impediscono di accedere alle modalità online acquistando copie usate.
Prospettive
Ora, non vi chiediamo di accettare la lotta all'usato senza se e senza ma. Sappiamo bene che per molti il mercato dei giochi di seconda mano è sempre stato un ottimo modo per acquistare titoli originali senza svenarsi. Vogliamo solo che comprendiate perché improvvisamente quel mercato, che fa guadagnare solo le grandi catene di negozi, è diventato un problema, problema che rischia di rendere ancora più complicata la vita della prossima generazione di macchine da gioco. Ora, con PS4 l'allarme per l'implementazione di un sistema antiusato nativo sembra essere rientrato. Per la nuova Xbox, che sarà presentata ad Aprile, vedremo. C'è molta cautela nel fare passi decisi verso il blocco definitivo dell'usato, perché ogni volta che si è accennato alla questione, i videogiocatori si sono sempre rivoltati. Microsoft e soprattutto Sony, viste le condizioni finanziarie in cui versa, non possono permettersi sbagli in questa fase, quindi iniziare una nuova generazione, già problematica di suo, alienandosi parte del pubblico non sembra una grande idea, ma il problema per i publisher rimane. La prospettiva, parlando del futuro, è di vedere uscire ancora meno giochi e tutti appartenenti a brand già affermati, con le novità relegate al solo mercato digitale (ovviamente la situazione non sarà così drastica, ma un peggioramento è ipotizzabile). Fortunatamente sono intervenuti alcuni fattori a calmierare la crescita dei costi, di cui parleremo nel prossimo paragrafo.
Perché PS4 aiuterà X720 e viceversa
Come dicevamo, nonostante il luccicare dei palchi e l'esaltazione per la novità, il quadro non è roseo, soprattutto a livello economico generale. Un passo falso potrebbe causare il fallimento di uno degli attori storici del mercato dei videogiochi. Ma vediamo di spiegare il titolo del paragrafo, che già vi vediamo con i fucili in mano. Lo sappiamo che molti di voi vivono di console war, ma mai come in questa generazione, soprattutto nelle sue fasi iniziali, le due macchine next-gen, che a quanto pare saranno molto simili come architettura (due PC con scatole e servizi differenti... Sony è stata molto saggia nel fare un passo indietro rispetto alle scelte del passato) si dovranno aiutare a vicenda, per poi tentare di spiccare il volo da sole (chissà se si manterrà l'equilibrio nelle vendite avuto con l'attuale generazione).
Solitamente, una delle critiche più diffuse verso le nuove console è la mancanza di giochi interessanti nella line-up di lancio. In passato la situazione era diversa? Se considerate il discorso dei costi fatto nel secondo paragrafo (andrebbe considerato anche il minore accesso alle informazioni videoludiche da parte degli utenti, che di suo creava già una maggiore attesa), capirete che il rischio di lanciare un gioco per una macchina fallimentare all'epoca del Super Nintendo (per fare un esempio), era minore del lanciarlo per una console moderna. Paradossalmente, in un panorama in cui sono le esclusive a fare la differenza, saranno i titoli multipiattaforma a garantire dei lanci più "sereni" per Microsoft e Sony. In questo senso basta guardare Wii U: isolata sul mercato, con la maggior parte del suo catalogo fatto di giochi portati da console percepite come "vecchie" dall'utenza, è stata criticata soprattutto per la mancanza di titoli di spessore. PlayStation 4 e Xbox 720 faranno sicuramente risultati diversi al lancio. Positivi o negativi è presto per dirlo. Però per i publisher la possibilità di sviluppare un titolo su almeno tre piattaforme, senza dover spendere ingenti risorse per andare sull'una o sull'altra, grazie all'architettura simil-pc delle due nuove macchine (la terza piattaforma è, appunto, il PC) consentirà di contare sin da subito su una base installata più ampia a cui vendere i proprio prodotti, rispetto a una console che esce da sola e che può fare solo storia a sé.
Ergo, almeno nella fase iniziale, è probabile che PS4 e X720 vedano un maggior numero di titoli messi sul piatto rispetto a quanto successo per Wii U, con quest'ultima che più ci inoltreremo nella generazione, più rischia di rimanere isolata e, a un certo punto, di essere poco supportata (come successo a Wii). In questo senso vanno considerati anche i tool di sviluppo che citavamo all'inizio dell'articolo. Sappiamo già che Unreal Engine 4 non supporterà Wii U. Se il trend sarà confermato da altri, il risultato sarà che chi di un titolo volesse fare anche una versione per la console di Nintendo, dovrà svilupparla con engine a parte. Questo sarebbe giustificabile soltanto davanti a vendite eccellenti, mentre le versioni PS4 e X720 diventerebbero reciprocamente scontate proprio in virtù della semplicità dei porting, che richiederebbero un lavoro molto minore. Insomma, sicuramente non sarà facile nemmeno per le console next-gen affermarsi in un mercato sempre più difficile, ma quantomeno hanno dalla loro una potenza tecnologica ancora tutta da scoprire e sicuramente un supporto iniziale capillare da parte dei publisher, che hanno comunque bisogno di macchine di riferimento per non crollare anch'essi. Ciò che accadrà nella realtà potrà dircelo solo il tempo.