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Il sogno virtuale di Valve

Parliamo del futuro prossimo dei visori 3D prendendo spunto dall'interessante intervento di Michael Abrash di Valve

SPECIALE di Mattia Armani   —   30/01/2014

Valve è una delle software house leggendarie, quelle che raramente hanno perso colpi sul fronte della qualità, quelle che seguono progetti di ogni genere e restano silenti per anni per poi sparare i fuochi di artificio. Quelle che non sai mai quello che combinano, quelle che godono nel torturare i fan e poi li colpiscono con annunci sorprendenti. Purtroppo, osservando la questione dal punto di vista videoludico, pochi di questi progetti, nel caso di Valve, si sono tradotti negli ultimi anni, in videogiochi.

Il sogno virtuale di Valve

Valve è diventata un colosso del digital delivery, un pioniere del PC per tutti, un paladino del sistema operativo Linux e ora, invece di svelare qualcosa su Half-Life 3, la compagnia di Gabe Newell si è lanciata alla conquista della realtà virtuale. D'altronde, quella che è a tutti gli effetti la nuova frontiera del videogioco, per quanto non sia tanto nuova per chi bazzica il settore videoludico da qualche lustro, tira parecchio e Valve, ormai distributore di dimensioni ragguardevoli e da poco coinvolta anche sul fronte dell'hardware, non vuole rimanere indietro. Non stupisce dunque, che pochi siano trasaliti quando la compagnia di Gabe Newell ha creato un team per sviluppare internamente questa tecnologia e ha dato il via a una stretta collaborazione con i ragazzi di Oculus VR, quelli di Oculus Rift che è al momento l'unico visore a poter promettere la realtà virtuale. Valve è convinta che la rivoluzione sarà possibile da qui a due anni e ci crede fermamente anche Michael Abrash (non perdetevi il suo interessante blog), coder di grande esperienza e particolarmente noto nell'industry che lavora alle tecnologie virtuali per conto di Valve.

Durante gli Steam Dev Days, Michael Abrash ha parlato della "visione virtuale" di Valve

All'alba della rivoluzione

L'evoluzione del sogno virtuale, argomento chiave di gran parte della fantascienza filmica e letteraria, non si limita a promettere universi a tutto tondo ma comprende lo sviluppo di controller complessi che ci consentano di camminare e roteare come se ci trovassimo realmente in un altro mondo. Strumenti che devono essere utili per potenziare l'immedesimazione e, al contempo, studiati per impedire ai giocatori più scalmanati di sfasciare il salotto o di disintegrare le cartilagini del proprio naso contro una parete di cemento. Poi, ancora più avanti, ci saranno probabilmente tecnologie minute, connettori capaci di convincere i nostri sensi che il nostro corpo si starà muovendo e questo anche se saremo comodamente distesi su un lettino o sul divano di casa.

Il sogno virtuale di Valve

Parliamo di tecnologie alla Matrix, di sensori e di innesti che saranno indubbiamente la frontiera ultima, quella che non striderà con la stanchezza del lavoratore rientrato dal lavoro e combinerà il relax con un immaginario d'azione dinamico e travolgente. Per Abrash, lo scenario che incornicia in modo suggestivo questo probabilmente inevitabile futuro è quello di Snow Crash, l'interessante romanzo cyberpunk di Neal Stephenson che è stato capace di rinfrescare l'immaginario della realtà virtuale fondendone le meccaniche tipiche con una fantapolitica d'azione dai colori fin troppo accesi eppure per molti versi decisamente credibile. Ma quale che sia lo sviluppo dello scenario, la sostanza non cambia, l'interfaccia definitiva dovrà essere comoda per poter superare i controller classici e trasformare la tecnologia virtuale in qualcosa di più di una finestrella su un futuro ancora legato al mouse o al pad. I motion controller hanno avuto un grande successo, eppure, un calo di popolarità e una fruizione limitata a pochi generi, hanno reso chiaro quanto sia improbabile uno scenario fatto di tappeti rollanti multidirezionali come il Virtuix Omni e questo anche per una questione di fruibilità. Alcuni titoli, soprattutto competitivi, sono basati sul superamento dei riflessi normalmente raggiungibili spostando un intero corpo. Dunque è probabile che, almeno per ora, la diffusione delle tecnologie virtuali resti ancorata a semplici visori, magari potenziati dal tracking dell'orientamento del corpo del giocatore ma fruibili anche senza periferiche multiformi o attrezzi che richiedano di piegarsi o di correre realmente, entrambe azioni impossibili da replicare anche con il più prestante dei fisici palestrati combinato con il più avanzato dei sistemi di rilevazione. Ovviamente, in un'avventura o in un gioco di ruolo, ci sarà spazio per esperienze più complesse che possono essere solo parzialmente soddisfatte dalla nuova versione dell'Oculus Rift, presentata al CES 2014, che include una telecamera studiata per catturare i movimenti della parte superiore del corpo del giocatore. Ma quello che conta, una volta risolta la questione del posizionamento del corpo nel mondo virtuale di cui si occupa appunto la telecamera del Rift, è indubbiamente la tecnologia visiva. Per far sì che la tecnologia virtuale sfondi è necessario che i due schermi, uno per occhio, che creano l'effetto tridimensionale raggiungano uno standard tecnologico minimo, una resa che permetta una visualizzazione dell'ambiente virtuale ottimale, che consenta al giocatore di immedesimarsi, di sentire la propria presenza nel mondo simulato. Questo è quello che crede Michael Abrash, impegnato per Valve sulla questione virtuale e autore di un intervento, avvenuto in occasione degli Steam Dev Days e già riportato nelle notizie di questi giorni, tutto dedicato alle problematiche e alle prospettive a breve termine di questa tecnologia. Il traguardo auspicato dai sostenitori non è cosa da poco e potrebbe finalmente infrangere quel muro erto da tempo dai videogiocatori da divano, non particolarmente disturbati dai troppi sequel e dalle troppe minestre riscaldate che affollano il mercato videoludico odierno. Una resistenza forte e che, ormai è chiaro, si è dimostrata insormontabile per il vecchio 3D stereoscopico, una tecnologia dissotterrata per dare una scossa al mercato ma troppo limitata per poter sfondare. E questo insuccesso è dipeso, molto probabilmente, anche da un fattore percettivo che paradossalmente riporta il 3D stereoscopico nel passato che lo ha partorito, semplice illusione intangibile che non può ambire a nulla di più dell'effimera suggestione per quanto un'immagine 3D e un occhiale futuribile siano comunque visti da molti come un qualcosa di nuovo o avanzato. Ma il nostro concetto di ambiente tridimensionale simulato è ben più evoluto di quello riproducibile dalla tecnologia videoludica fino a oggi. I film di fantascienza ci hanno propinato esseri virtuali e mondi ricreati nel dettaglio, immaginari fantastici con cui anche lo scultoreo Batman di Rocksteady non può certo competere semplicemente affacciandosi timidamente dallo schermo come un basso rilievo dell'Antico Egitto. Roba preistorica, avrebbe detto un nerd degli anni 80, e tutto il contrario della magica promessa della realtà virtuale che sembra, e secondo Abrash lo è, finalmente a portata di mano anche se dovremo fare nuovamente i conti con compromessi e richieste hardware per poter raggiungere risultati ottimali. D'altronde tutti i difetti che si confondono su uno schermo piatto risultano molto più visibili quando il nostro cervello è convinto di essere in una realtà alternativa e i nostri sensi tornano a fare i conti con texture di bassa qualità, oggetti non interattivi e con tutti gli inevitabili limiti iniziali che comporta una tecnologia di questo tipo. E inoltre, come ha sottolineato Michael Abrash, un campo visivo ampio come quello richiesto da un visore virtuale si traduce in una densità per pixel sette volte superiore a quella di un televisore wide screen. Per tornare alla definizione ottimale, insomma, serve parecchia potenza e per questo Abrash è convinto che il PC, favorito nella corsa 3D anche dalla sua utenza sempre attenta alle nuove tecnologie, sia l'ambiente ideale per la realtà virtuale.

Non c'è realtà virtuale senza immedesimazione

I limiti che abbiamo menzionato sono al centro dell'impegno di Valve e di Oculus Rift e persino un personaggio del calibro di John Carmack, guru della programmazione videoludica, si è diretto alla conquista della nuova frontiera abbandonando id Software e unendosi ai ranghi della compagnia Oculus VR. Ma ci vorrà del tempo per risolvere tutte le problematiche e la tecnologia compirà diverse evoluzioni, sempre che abbia successo, prima di trasformarsi nell'interfaccia alla Matrix che tutti sognano. Dunque, per ora, Michael Abrash ha preferito tralasciare i sogni fantascientifici per concentrarsi sul futuro prossimo che vede l'Oculus Rift come attore principale. Non è un caso che la compagnia, pur avendo già prodotto internamente un prototipo di visore, collabori attivamente con Oculus VR per il tracking e per migliorare la tecnologia.

Distorsione dovuta a una latenza eccessiva
Distorsione dovuta a una latenza eccessiva

Ed è probabile che le specifiche menzionate da Abrash nel suo intervento siano proprio quelle che ritroveremo nella versione finale di quello che per ora è l'unico visore 3D in grado di riprodurre un qualcosa di vicino alla realtà virtuale. Come abbiamo già riportato, secondo Abrash il visore del 2015, ma speriamo che sia già pronto a fine 2014 come promesso da Carmack e soci, avrà almeno 95Hz di refresh, 1000 pixel di risoluzione per ogni occhio, ottiche di alta qualità, tracking preciso al millimetro, 20 millisecondi di latenza sulla rilevazione dei movimenti e 3 millisecondi di latenza per quanto riguarda l'immagine. Per Abrash questi valori rappresentano la soglia minima per consentire al giocatore di avvertire la propria presenza all'interno del mondo di gioco, per non percepire le immagini come aliene, separate da sé e quindi troppo artificiali. Il giocatore, in sostanza, deve sentirsi coinvolto sensorialmente e questo significa un campo visivo di almeno 80 gradi anche se 110 sono molto meglio ed ecco che i 3 millisecondi diventano un requisito minimo, e non più ottimale, per non percepire scie nell'immagine quando si ruota la testa rapidamente. Ma questa è solo la superficie, il minimo indispensabile. La percezione visiva è soggettiva e, sempre secondo Abrash, una tecnologia universale volta a portare il virtuale alle masse dovrà essere equipaggiata e rifinita in modo da bilanciare difetti visivi e differenze percettive. Per questo diventano rilevanti lenti regolabili che consentano la fruizione dello strumento a quanti più giocatori sia possibile e tecnologie, software e hardware, capaci di controbilanciare aberrazioni e illusioni ottiche. Il tutto senza montare troppe lenti o appesantire eccessivamente il visore che rischierebbe di trasformarsi in uno strumento troppo scomodo da indossare, anche sdraiati sul divano di casa. Per il proprio prototipo Valve ha tenuto in considerazione alcuni di questi elementi sperimentando, con una demo tecnica che include un browser tridimensionale, soluzioni alternative per quanto riguarda il tracking. Ma i requisiti minimi di cui abbiamo parlato in precedenza si sono dimostrati invalicabili ed è su questi valori che Valve sta lavorando per il proprio prototipo. Valori dai quali l'Oculus Rift è ancora lontano e Abrash, pur ammettendo che il visore della concorrenza è l'unico che è già una realtà, non si fa scrupolo, nonostante il legame tra Valve o Oculus VR, a fare un po' di pubblicità a Valve. Ma, pubblicità o meno, la visione di Valve, dal punto di vista tecnologico, è chiara. Prima di immaginare i videogiochi è necessario avere uno strumento in grado di sostenere al meglio l'esperienza virtuale. E per il 2015, presumibilmente sia per mano di Oculus Rift che di Valve, avremo uno o due visori in grado di regalarci un primo assaggio del sogno di mille appassionati di fantascienza. E proprio per questo viene lecito immaginare possibili scenari futuri dal punto di vista dei contenuti. Con l'avvento del virtuale aumenterà davvero l'interazione con il mondo di gioco? Oppure troppe porte chiuse renderanno l'esperienza frustrante anziché coinvolgente? Il sesso virtuale, perché ce ne sarà parecchio, sarà considerabile tradimento? E se l'avatar di un arzillo ottantenne andrà al cinema con quello di una minorenne quali saranno le implicazioni? Non possiamo saperlo. Forse ci accontenteremo della meraviglia, forse accetteremo le regole che ci verranno proposte e ci adatteremo come il protagonista di Tron o forse finiremo tutti a fare le batterie organiche per computer impazziti per essere stati costretti ad affrontare il dramma dell'esistenza. L'unica cosa su cui possiamo già scommettere è che il sistema legale mondiale ci sorprenderà con sentenze assurde e assolutamente inadeguate che non mancheranno di farci sorridere amaramente. Ma c'è un qualcosa di più concreto da considerare, almeno mettendoci nei panni dei consumatori quali saremo. Se i videogiochi dovranno essere più complessi per non castrare la nuova tecnologia, questo come si rifletterà sui prezzi? Esperienze virtuali estremamente complesse potrebbero diventare fin troppo dispendiose sia per gli sviluppatori sia per i giocatori ed è improbabile che il free to play, nonostante sia ancora una forma di finanziamento vitale, possa sostenere progetti ambiziosi, tanto più nel caso del single player che, DLC a parte, non produce introiti sostenuti a lungo termine. Ovviamente questi problemi non sussisteranno sul lungo termine. Nasceranno inevitabilmente, middleware e motori grafici studiati appositamente e probabilmente saranno accessibili, se non subito, dopo qualche tempo, anche per gli sviluppatori indipendenti. Ma gli inizi potrebbero essere problematici e la mancanza di esperienze studiate ad hoc per esaltare la tecnologia potrebbe, come temono molti e come è già successo, arrestare quella che, potenzialmente, è la prima vera rivoluzione videoludica dalla nascita dei motori tridimensionali.