Le recenti problematiche finanziarie di Nintendo, scaturite dall'inevitabile diminuzione delle previsioni di vendita entro fine anno fiscale, hanno letteralmente monopolizzato gli ultimi giorni; un annuncio che era nell'aria, ma che ha comunque fatto scalpore, incendiando stampa specializzata e, soprattutto, generalista. Si è passati da un guadagno stimato di 55 miliardi di yen a una perdita netta di 240 milioni di dollari. Nonostante questo, Nintendo è un'azienda affidabile e in salute, il che ha permesso in pochi giorni di riportare le azioni al valore antecedente al discorso di Iwata; è una società, in poche parole, che potrebbe sopportare anni di perdite simili senza rischiare il collasso. Il vero problema è che, dopo un 2013 salvato per un soffio (e grazie soprattutto alla svalutazione dello yen), Nintendo per la seconda volta nella sua storia chiuderà l'anno fiscale in rosso. In modo meno grave rispetto al 2011, ma comunque in perdita.
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Le soluzioni degli esperti
A Nintendo, dalla stampa di tutto il mondo, sono arrivati suggerimenti di ogni tipo: uno caro agli "hardcore gamer" sarebbe quello di concentrarsi solo sullo sviluppo software, come ha fatto SEGA. Un altro quello di dare in concessione i propri ricchissimi brand. Infine, e qui concordano più o meno tutti, ci sarebbe la necessità di concentrarsi sul mercato mobile, in maniera più o meno marcata, purché qualcosa si faccia: acquistando un team specializzato, creandone uno ad hoc, generando dei software ponte per incentivare l'acquisto di Nintendo 3DS.
E Iwata, almeno su questo ultimo aspetto, ha deciso di concedere qualcosa: entro breve, Nintendo si sforzerà con demo o applicazioni per tablet e cellulari. C'è un aspetto che tuttavia associa tutti questi consigli, quantomeno quelli provenienti dagli azionisti o dagli esperti di mercato: aumentare il profitto, fare in modo che Nintendo non chiuda in rosso un altro anno. Ed è comprensibile che sia così. Meno comprensibile tuttavia che Iwata venga trattato da esordiente incompetente quando sostiene che va tenuto in considerazione anche il "long-term", ovvero il successo dell'operazione sul lungo periodo. Anche il presidente Nintendo probabilmente è convinto che lanciare Mario e Donkey Kong su cellulare significherebbe risollevarsi nell'immediato, ma è cosciente che potrebbe danneggiare sia il mercato di Nintendo 3DS sia, soprattutto, il prestigio dei brand. Ed è proprio questa la parola chiave che raramente si sente nominare: "prestigio". Quello di Mario è già calato grandemente negli ultimi anni, con l'idraulico ormai sparso come triste spezia su prodotti che di "mariesco" non hanno niente... e il mobile, o qualsiasi altra concessione che contempli il videogioco, in questo senso potrebbe significare il patibolo.
Come SEGA
La possibilità di cessare la produzione hardware per concentrarsi sui giochi è spesso ventilata dai detrattori Nintendo, ma visto che ultimamente è stata suggerita anche da alcuni analisti non possiamo esimerci dal prenderla in considerazione, e capire perché non è attuabile nel breve periodo senza scaturire una specie di ecatombe societaria. È necessario sottolineare come solo di recente questo modello abbia incontrato delle difficoltà, perché Nintendo per anni ha generato profitti su profitti, anche nei casi meno fortunati come il GameCube. Altrettanto importante è avere sempre in testa che l'azienda nipponica è sana e forte, come specificato all'inizio, e non ha tanto bisogno di essere rigenerata, quanto di invertire un trend negativo: non è sul baratro, non ha bisogno di mosse folli per stare in piedi, piuttosto deve rinnovarsi. Anche se Wii U smettesse di vendere in questo preciso istante e la console successiva ottenesse lo stesso misero successo, Nintendo avrebbe ancora i soldi necessari per portare avanti un altro progetto di grande respiro. E stiamo parlando, sottolineiamo, di una eventualità praticamente impossibile. Cessare la produzione di hardware ora, a parte la drammaticità della scelta - per una compagnia che ha introdotto d-pad, il rumble pack, il control stick, i dorsali e via dicendo - significherebbe ridimensionare enormemente l'azienda, e il capitale posseduto. Inoltre il reparto che si occupa dell'hardware è importante quanto la divisione software, ed è impensabile che in tempi brevi venga smantellato. Basti pensare che nel 2012 Iwata ha avviato la costruzione di un nuovo edificio a Kyoto solo per la sezione R&D, che conterrà 1200 dipendenti, e che la divisione si è espansa anche a Tokyo, per lavorare a stretto contatto col team di Koizumi. Inimmaginabile che all'improvviso si rinunci a simili investimenti, anche in caso Wii U venda meno di dieci milioni di unità da qui alla fine del ciclo vitale.
I responsabili
A parte l'avvicinamento al settore mobile, che in qualche modo ci sarà, anche solo come ideale tramite tra pubblico e console, è probabile che Nintendo andrà avanti per la sua strada senza curarsi troppo delle sirene. Perché, nonostante i recenti passi falsi, sia in ambito hardware che software, le possibilità di uscire brillantemente dalla situazione ci sono, e senza snaturarsi. È vero che la divisione R&D ha creato un inutile effetto 3D - inutile perché la console ha avuto successo per altri motivi, e Nintendo 2DS è lì a testimoniarlo - e un gamepad poco carismatico per Wii U, ma è altrettanto vero che le stesse persone, pochi anni prima, avevano dato vita a Nintendo DS e Wii, portatori di touch screen e motion control, per non parlare dei successi antecedenti.
E bisognerebbe fare attenzione a non addossare tutte le colpe a R&D, che come capacità è una divisione impeccabile: Nintendo 3DS e Wii U non sono realizzati male, al limite sono figli di un concept poco affascinante, che a sua volta è scaturito più da decisioni societarie che da quelle dei dipendenti. Vertici aziendali che si sono ridotti lo stipendio (Iwata del 50%, Miyamoto del 30%) e hanno annunciato l'intenzione, entro il 2015, di raggiungere nuovi mercati con un inusitato tipo di hardware incentrato sul "benessere" dell'utente, che solo tangenzialmente dovrebbe riguardare i videogiochi tradizionali; hanno anche dichiarato, lo evidenziamo, che il fulcro degli investimenti Nintendo resterà comunque il modello "classico", quello che abbiamo imparato ad amare negli ultimi trent'anni, dal quale l'azienda non può prescindere. Senza spingerci troppo oltre in questo speciale, vi segnaliamo un articolo di Eurogamer, che ha provato a individuare un responsabile in Miyamoto, ed è stato subissato dalle critiche dei lettori: più che Miyamoto forse sarebbe meglio scrivere la divisione creativa Nintendo, beatificata dai fan e rispettata dagli avversari, al contrario delle altre. Per ora sul tema ci limitiamo a due concise osservazioni, e vi lasciamo alle vostre elucubrazioni: quando Virtual Boy si rivelò un fallimento, Yamauchi declassò (e poi allontanò) Yokoi senza farsi scrupoli, da uomo di mercato quale era, pur conoscendo le abilità e il talento dell'uomo. L'altra considerazione è che la differenza tra Nintendo 64 e GameCube, in termini di vendite e prestigio, la fanno giochi come Super Mario 64 e The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Su Wii U ne vedete qualcuno?