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Uno per tutti e cinque per uno

Abbiamo provato in esclusiva la nuova scommessa di Gearbox Software

PROVATO di Fabio Palmisano e Stefano F. Brocchieri   —   19/06/2015

Quando tutti si aspettavano l'annuncio in pompa magna di Borderlands 3, Gearbox se ne è uscita con il reveal di un titolo nuovo come Battleborn, trascinandosi dietro una certa scia di perplessità figlia anche di un sistema di gioco che sembrava più vicino all'affollatissimo mondo dei MOBA che a quello dei precedenti lavori dello sviluppatore. Man mano che trapelavano le informazioni, però, lo scetticismo di gran parte dell'utenza si è trasformato in genuina curiosità per un prodotto che comunque conterà su una campagna ben definita, che infatti era al centro della demo presente sullo showfloor dell'E3. Abbiamo partecipato a una sessione di gioco che consentiva di cimentarsi assieme ad altri quattro utenti in una delle prime missioni della storia, peraltro la stessa protagonista dell'esclusivo evento a cui ha partecipato il nostro Stefano F. Brocchieri la settimana scorsa: vi rimandiamo dunque al suo provato per avere tutte le informazioni del caso, dato che lo scenario e i personaggi selezionabili erano esattamente gli stessi.

Battleborn: il nostro hands-on

"Battleborn è un hero shooter". Sono queste le parole usate dal suo Creative Director, Randy Varnell, per introdurci a una prima prova diretta, tramite cui abbiamo potuto avere un'anticipazione in esclusiva italiana sul materiale che verrà portato all'E3 di Los Angeles. Una definizione che, dopo aver messo le mani sul gioco, ci sembra calzare benissimo al nuovo progetto di Gearbox Software. Compagnia che nel periodo successivo all'annuncio appariva piuttosto preoccupata dagli accostamenti ai MOBA e che una certa urgenza a prendere le distanze con il paragone l'ha dimostrata anche durante il nostro incontro a tu per tu. Un atteggiamento che non riusciamo francamente a comprendere, visto che controlli alla mano si tratta di uno sparatutto in prima persona che ha indubbiamente fatto suoi svariati precetti dei Multiplayer Online Battle Arena, ma la cosa non sembra assolutamente costituire un problema. Anzi. L'ibridazione tra i due ambiti finisce per imprimere parecchia personalità a un'esperienza che qualcuno, a pelle, potrebbe etichettare come un Borderlands sotto mentite spoglie. In che modo? Vediamo di scoprirlo per bene.

Abbiamo provato in esclusiva Battleborn, l'evoluzione degli sparatutto secondo Gearbox Software

Biodiversità

Battleborn è uno sparatutto in prima persona che presenterà una campagna, giocabile anche in cooperativa, e una sezione multiplayer competitiva. Quale che sia la modalità, il giocatore deve scegliere il proprio alter-ego tra venticinque personaggi diversi. Un roster dall'ampiezza che non ha praticamente precedenti nell'ambito degli sparatutto e che aiuta a mettere nella giusta prospettiva l'essenza della nuova proprietà intellettuale su cui ha puntato lo studio fondato e diretto da Randy Pitchford.

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Affiancati da altri giornalisti, siamo stati così invitati a selezionare il nostro eroe tra i dieci che Gearbox intende rivelare al momento e ad affrontare una delle prime missioni della storia (To the Edge of the Void) che sarà giocabile nella sua interezza anche in solitaria. Il livello di difficoltà, infatti, scalerà automaticamente a seconda del un numero di partecipanti che può arrivare fino a un massimo di cinque. Le linee generali del gameplay ricordano molto da vicino le avventure vissute su Pandora e satelliti: ci si muove in aree piuttosto vaste, tritando decine e decine di nemici di vario assortimento, tra unità che corrono sotto al giocatore, cercando di pressarlo, altre che gli danno contro da media e lunga distanza e veri e propri boss. Nel frattempo è fondamentale saper fare gruppo, dimostrare intesa nello scegliere dove concentrare i propri assalti, come offrirsi vicendevolmente supporto ed essere solerti nel tirare su un compagno caduto in battaglia, pena farlo ripartire dall'ultimo checkpoint. Suona familiare, vero? Poi però arrivano le differenze, determinanti. "Quello che in Boderlands erano le armi, qui sono gli eroi", ci dice Varnell, per farci riflettere sul vero punto focale della faccenda, da cui dipendono tante dinamiche di gameplay. Ciascun protagonista è difatti diverso dagli altri già a partire da alcuni attributi base (salute, forza, raggio e velocità) e dal sistema di movimento. Il corpulento Montana, che pare il cugino emigrato nel Tennessee dell'Heavy di Team Fortress 2, è lento ed è già tanto se riesce a fare un salto di un metro, ma ha possibilità di deambulazione diverse rispetto al comunque robusto Boldur, che ricorda un tipico nano di estrazione fantasy. E appaiono ancora più distanti, chiaramente, rispetto a personaggi di corporatura e agilità media, fino a mostrare un vero e proprio abisso, anche solo riguardo al modo con cui si può tenere il campo, rispetto a tizi come Caldarius.

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Un robot, quest'ultimo, che fluttua in aria potendo così effettuare schivate in ogni direzione, doppi balzi e planate, e che a sua volta differisce dall'agile spadaccina Phoebe, rapida come un fulmine, specie nel portarsi faccia a faccia col nemico. Ogni eroe ha il suo arsenale specifico, che non si differenzia unicamente in termini di armi principali, ma anche per l'eventuale disponibilità di una secondaria. Ma anche di granate, attacchi speciali corpo a corpo che vanno ad affiancarsi a quello standard (comunque diverso per tutti), poteri magici e disponibilità di strumenti di difesa, come campi di forza o veri e propri scudi. O, ancora, di abilità mediate, come l'invisibilità o il richiamo di elementi di supporto.

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Insomma, ciascun protagonista ha un suo "equipaggiamento", con il risultato che può dare l'idea di far giocare come in un Doom, un Halo, un Chivalry: Medieval Warfare, un BioShock, uno Shadow Warrior o un Dishonored, giusto per citare qualche nome sparso per rendere meglio l'idea di una formula che abbraccia espressioni diversissime della giocabilità in prima persona, le sminuzza e le butta in un grosso calderone, proponendo ogni genere di rimescolamento. Ciascun eroe ha poi tre Skill personalizzate, risorse speciali che possono essere utilizzate una tantum, sottostando a prevedibili periodi di ricarica, a seconda dell'importanza dell'effetto. Si spazia, per citarne giusto qualcuna, dalla spallata di Montana alla tempesta di fulmini di Phoebe, dal bombardamento aereo di Caldarius al vortice di spadate di Rath, dal raggio "a puntamento" di Marqis alle bombe venefiche di Miko e la trappola magica di Thorn. Una rete di approcci resa ulteriormente capillare dal sistema di crescita, che funziona esattamente come in molti MOBA: ogni volta che si scende in campo si parte dal primo livello, vivendo una corsa verso il level cap (fissato a dieci) destinata a ripetersi a ogni partita. A ciascun passaggio di livello si può scegliere un potenziamento tra due alternative, decidendo eventualmente di incrementare la salute anziché l'armatura, di ridurre il "cooldown" di una determinata abilità piuttosto che di aggiungere effetti secondari a particolari attacchi. E via di questa passo, modulando il proprio alter-ego a seconda delle proprie inclinazioni personali o delle necessità del caso.

Prospettive a lungo termine

Battleborn si dovrebbe contraddistinguere, insomma, per una varietà estrema, una caratteristica di cui, molto saggiamente, Gearbox ci ha permesso di avere un primo assaggio concreto facendoci giocare To the Edge of the Void per tre volte di fila, invitandoci a cambiare sempre eroe. Noi abbiamo optato, nello specifico, per Phoebe, Caldarius e Montana. Un modo per aiutarci a realizzare per davvero quanto le cose si presentino effettivamente differenti.

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Questo senza contare le innumerevoli implicazioni sul fronte del gioco di squadra, visto che tutta questa diversità si eleva chiaramente all'ennesima potenza nel momento in cui si pensa alle centinaia di combinazioni possibili con cui si possono formare i team, creando uno stuolo di sinergie e approcci da far girare la testa.

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Punti di forza a cui gli sviluppatori vogliono dare risalto nella strutturazione della Campagna, che dovrebbe incentivare tantissimo la rigiocabilità, anche se non è ancora chiaro in quali termini esatti. Lo spezzone giocato da noi era una classica demo preparata ad hoc, di quelle che si portano in una fiera e magari si chiudono anche "sul più bello", con una scena di intermezzo galvanizzante, che lascia la voglia di saperne di più. Nel concreto, ci siamo ritrovati di fronte all'inaspettata incursione in scena di un minacciosissimo gigante ghiacciato, subito dopo aver sconfitto il già abbastanza temibile Conservator, sorta di ombra fluttuante che sparava quelli che sembravano buchi neri. Non è ancora chiaro, per esempio, se il gioco avrà una struttura aperta alla Borderlands, in cui passare da una missione all'altra con continuità, all'interno di ampie zone, o una più modulare, alla Destiny, prevedendo invece di partire da un hub separato. Ci è stato comunque riferito che non mancherà un metagame, a dare un senso di progressione generale, che aprirà altre possibilità come quella di una spiccata personalizzazione dei singoli eroi. E facciamo bene a dare per scontate forme di New Game Plus e livelli di difficoltà speciali, che calzerebbero come un guanto alla formula, di cui Varnell ci ha sostanzialmente confermato l'inclusione, chiedendoci però di pazientare fino a futuri annunci per scoprirne i dettagli. Tocca portare pazienza anche per saperne di più riguardo tutta la parte competitiva, dovendoci accontentare, al momento, di sapere che sarà strutturata in un cinque contro cinque in tre modalità: Incursion, Devastation e Meltdown. Della prima le caratteristiche di massima erano già note da tempo e prevede che ogni team espugni la base rivale, mentre nel mucchio vengono buttati anche dei veri e propri mignon. Devastation, dal canto suo, dovrebbe avere i connotati di una classica modalità conquista, in cui catturare e mantenere dei punti di controllo. In Meltdown, invece, torneranno elementi tipicamente MOBA, con la presenza di aiutanti gestiti dall'intelligenza artificiale, mentre le squadre saranno impegnate nel raggiungimento di obiettivi finora non meglio specificati.

Una banda di matti

"Abbiamo detto ai nostri artisti che non avevano vincoli, potendosi sbizzarrire come volevano", ci ha raccontato il Creative Director di Battleborn riguardo le origini del cast del gioco. I grafici di Gearbox hanno così potuto lavorare a ciò che realmente piaceva loro, con l'unica linea guida di creare qualcosa che di fondo potesse sposare la pulizia dei film di animazione in computer grafica americani, con la tradizione giapponese. Due passioni di molti dei dipendenti della software house di Randy Pitchford.

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Ecco dunque com'è nata una banda che mischia ninja, space marine, robot galantuomini, creature elfiche, damigelle settecentesche, boscaioli e maghi dalla testa a fungo. Una parata in cui ci ha messo lo zampino Michel Gagné, disegnatore e realizzatore di effetti speciali con una carriera trentennale nel cinema (d'animazione e classico), nel fumetto e anche nei videogiochi, visto che è l'autore di Insanely Twisted Shadow Planet. Oltre ad aver curato direttamente alcune soluzioni tecniche, l'artista canadese ha fornito anche consulenza a diversi livelli e, più in generale, ha costituito un'ispirazione per gli altri, specie per il suo modo di lavorare, molto legato al 2D. "Ci ha permesso di prendere in considerazione soluzioni veramente singolari per questo ambito", ci ha confessato Varnell spiegandoci la genesi di una grafica che parte sempre da un Unreal Engine 3.0 estremamente modificato, come da tradizione Gearbox, per offrire una resa che si pone tra la consistenza "alla Pixar" di un Team Fortress 2 e un tratto che su certe superfici sembra ottenuto a pennellate, in zona Dishonored ed Heroes of the Storm, puntellata da effetti speciali bidimensionali. Similmente, nulla sembra essere stato lasciato al caso sul piano narrativo. Se la storia, di stampo prettamente sci-fi, e la propensione per lo humour non sono nulla di originale, facendo pensare quasi subito a Borderlands, giocando ci si accorge di quanto lo scrittore di Gearbox, Aaron Linde, e lo stesso Randy, che ha contribuito alla sceneggiatura, siano riusciti a imprimere al nuovo progetto una sua personalità. Piace in particolare l'ironia, che appare più sottile, meno diretta e sfacciata rispetto alle gag di Jack il Bello, Tiny Tina e compagni (per cui andiamo matti, intendiamoci), con un certo gusto per il paradosso, senza disdegnare un po' di comicità slapstick. Esempi in questo senso sono la sentinella che interviene a supporto degli eroi da un certo punto di To the Edge of the Void, un robot a forma di lupo con l'indole di un impiegato svogliato, e piccole note caratterizzanti come la "pacioccosa" ditata con cui Montana spazza via gli avversari nel corpo a corpo, commentando ogni uccisione con frasi da bambinone. Insomma, Battleborn è partito bene, riuscendo a dissipare molte delle nostre remore epidermiche facendoci sparare tanto e in tante maniere diverse, spesso e volentieri con il sorriso sulla faccia.

CERTEZZE

  • I personaggi sembrano davvero molto diversi
  • Giocabilità solida
  • Caratterizzazione indovinata

DUBBI

  • Tenuta strutturale da verificare