Hideo Kojima è senza dubbio una delle figure più controverse e interessanti del panorama videoludico, un personaggio in grado di catalizzare completamente l'attenzione soprattutto quando il dibattito si accende su alcune tematiche particolari. Tuttavia, come accade con tutti i grandi, non è difficile che la discussione si trasformi ben presto in una banale sequenza di elogi sperticati e dogmi inconfutabili: Kojima è un genio, Kojima scrive bellissime storie, Kojima è un grandissimo game designer. Ma siamo proprio sicuri di queste affermazioni? Precisiamo innanzitutto una cosa: questo articolo non intende essere un attacco a Kojima, che di certo non deve dimostrare a nessuno le proprie qualità di game designer, quello che mettiamo in discussione è se sia veramente così bravo a raccontare storie. Perché in fondo i vari Metal Gear ci piacciono anche per le sequenze interminabili di dialoghi e le spiegazioni prolisse, ne abbiamo apprezzato certi colpi di scena talvolta eccessivi e qualcuno ha persino storto il naso quando si è reso conto che la narrazione di The Phantom Pain era quasi interamente affidata a spezzoni audio, ma il fatto che qualcosa piaccia non vuole automaticamente dire che sia di qualità. Allo stesso modo, il fatto che i titoli di Snake e compagnia siano durati vent'anni non è automaticamente un traguardo, insomma Beautiful è durato ventinove stagioni! La saga di Metal Gear Solid ha sicuramente meriti molto importanti e per certi versi è assolutamente geniale, ma è anche ricca di difetti che riguardano non tanto la storia in sé, né alcune sue geniali metafore e intuizioni, quanto piuttosto il modo in cui viene raccontata.
Pensare l'impensabile: siamo sicuri che Hideo Kojima sia un buon narratore?
Colpo di scena!
La prima cosa che balza all'occhio di chi analizza l'intricata linea temporale della serie, è che Kojima è decisamente fin troppo affezionato a certi personaggi, non riesce assolutamente a staccarsene e deve a tutti i costi farli spuntare fuori ogni tanto. Proprio come in una telenovella, ci sono personaggi che non muoiono mai veramente, semplicemente di tanto in tanto finiscono in un limbo narrativo dal quale possono essere ripescati all'improvviso per servirci sul piatto d'argento l'ennesimo colpo di scena.
Per i fan è sicuramente bello rivedere sullo schermo personaggi a cui si è legati, ma immaginate se nel prossimo Star Wars si scoprisse che Darth Vader è ancora vivo oppure che c'è in giro il suo clone che si comporta esattamente come lui o, peggio ancora, che non era veramente morto e che è lui l'uomo dietro al nuovo impero o magari che il suo braccio comanda in qualche modo le azioni di qualche nuovo antagonista. Insomma, ammettiamolo, nei cinema volerebbero le sedie. Anche il concetto di colpo di scena è qualcosa che a volte Kojima maneggia con cura, come nel caso della vera missione di The Boss, ma che in altri casi ricorda i peggiori "plot twist" di M. Night Shyamalan, con orde di fan adoranti che gridano al miracolo perché il loro idolo li ha fregati ancora una volta. La verità è che se un film assurdo si conclude con "e alla fine era tutto un sogno" vuol dire che qualcuno in fase di scrittura non ha saputo fare bene il suo lavoro. Inoltre, creare un mondo e ostinarsi a mantenere quasi tutti i personaggi, con decine di linee narrative che si accavallano gioco dopo gioco non è necessariamente una scelta saggia, perché le cose tendono inevitabilmente a complicarsi. Le buone storie sono come gli alberi, possono avere molti rami ma non tutti devono necessariamente avere la stessa grandezza ed è attraverso una potatura accurata che il giardiniere ne esalta la crescita. Resuscitando e riproponendo continuamente le solite figure si dà l'idea di non avere altre frecce per il proprio arco oltre a quelle già scagliate.
Cheesy!
La parola "cheesy" è uno di quei termini americani vagamente intraducibili che racchiudono dentro di sé concetti più ampi. Se qualcosa è cheesy sta cercando con troppa foga di scatenare nel pubblico una reazione emotiva. Una recitazione eccessivamente enfatica è cheesy, una canzone strappalacrime cantata con la voce rotta è cheesy, un'inquadratura dal basso dell'eroe che si fuma il sigaro su una pila di nemici morti è cheesy.
Insomma, se guardiamo indietro alla storia di Metal Gear Solid, la maggior parte delle scene d'intermezzo o dei dialoghi sono momenti che possono tranquillamente rientrare nella spiegazione di questa parola. Non c'è niente di male sia chiaro, è semplicemente uno stile di fare le cose, ma quando diventa troppo è facile che la situazione scivoli drammaticamente nel trash involontario. Quante inquadrature enfatiche, quanti dialoghi con frasi assurde, quanti momenti ridicoli abbiamo vissuto seguendo il racconto di Kojima? Avete presente la scena di quando si palesa il tradimento di The Boss e Jack/Big Boss, perché nonostante gli abbia già rotto un braccio, gli tende la mano per alzarsi e si prende un'altra gomitata nello sterno? Ecco quello è un momento decisamente cheesy, reso ancora più assurdo dal fatto che probabilmente nessuno darebbe la mano senza dire niente al proprio mentore, dopo che si è rivelato un traditore spezza-braccia! O vogliamo ricordare anche la prima volta in cui vediamo Ocelot fare i suoi trucchetti con la pistola mentre Snake aspetta pazientemente di colpirlo e accetta perfino un duello in stile western? Tamarro? Sì. Vagamente epico? Forse. Sensato? Assolutamente no, come non sono sensati i cattivi che spiegano il piano all'eroe dopo averlo catturato. Per amore di brevità evitiamo di parlare del modo in cui solitamente tratta il genere femminile, ma diciamo che certi momenti con Quiet sembrano usciti dal diario di un ragazzino di tredici anni e non dalla testa di uno degli uomini più influenti del settore. E non veniteci a dire che è solo questione di una "differenza culturale giapponese", altrimenti anche il burqa è solo una "differenza culturale".
Spiegala ancora, Hideo
"Mostra, non spiegare" è una delle basi della scrittura, che si parli di cinema, libri o videogiochi, un fondamentale che Hideo Kojima ha da sempre deliberatamente ignorato.
Gran parte del suo fascino infatti risiede (ancora) in quelle innumerevoli sequenze filmate in cui i protagonisti si parlano, spiegando bene cosa è successo e cosa succederà, collegando tra di loro i tanti, troppi pezzi di trama. L'esempio più evidente di questa tendenza è ovviamente il finale del quarto capitolo in cui un redivivo Big Boss appare all'improvviso per raccontarci tutto ciò che è successo fino a poco prima. Ecco, se questo succedesse in un film, in una serie TV o in un libro probabilmente i critici farebbero a pezzi gli autori. Lo "spiegone" non è mai un buon segno, nella maggior parte dei casi indica che non hai saputo fornire allo spettatore i giusti indizi per guidarlo nel corso della storia. Certo la narrazione non è mai cosa facile ed è per questo che in qualunque opera capita di imbattersi in un personaggio che, con la scusa di parlare al protagonista, si rivolge invece al pubblico. Ma ogni tanto, nei titoli di Metal Gear questo invece si verifica almeno una volta ogni due sequenze filmate! Ovviamente c'è chi adora crogiolarsi in quelle lunghissime scene d'intermezzo che sono senza dubbio un segno distintivo del caro Hideo, liberissimi di farlo, ma in ogni caso ciò non lo qualifica assolutamente come un grande autore.
Nonostante quanto detto finora vogliamo ribadire che amiamo il lavoro di Kojima e gli siamo grati per quanto fatto fino ad oggi. Siamo convinti che alcune sue idee di game design siano semplicemente geniali e che il mondo di Metal Gear Solid sia ricco di storie interessanti, bei personaggi e momenti veramente molto belli.
Crediamo che la sua grandezza sia in parte derivata dal suo amore per il cinema che gli ha permesso di saccheggiare idee, suggestioni, inquadrature e meccanismi dalla settima arte così come Matrix è un collage ben riuscito di filosofie, ideologia cyberpunk e arti marziali. Non per questo è però un personaggio intoccabile. Forse parte della sua fortuna risiede anche nel fatto che il settore dei videogiochi nutre da sempre un immotivato complesso di inferiorità verso il cinema ed è pronto a glorificare chiunque riesca in qualche modo ad avvicinare i due mondi, elargendo corone d'alloro per gli autori in grado di creare videogiochi che siano qualcosa di più. Col suo linguaggio postmoderno, le sue ispirazioni cinematografiche e una storia oggettivamente molto più complessa e sviluppata del normale, Kojima ha avuto vita facile nell'imporsi come un gigante del settore, visto anche che la concorrenza era decisamente modesta. Col tempo ciò lo ha reso una sorta di icona indiscutibile, proprio come George Lucas. Ma esattamente come il creatore di Star Wars, Kojima ogni tanto avrebbe avuto bisogno di qualcuno che gli dicesse di no. Per fortuna i suoi giochi non sono mai arrivati al livello di Episodio I.