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Perché Until Dawn mostra i limiti fra film e videogiochi

Un'analisi sulla storia del gioco

SPECIALE di Dario Rossi   —   24/10/2015

Avvertiamo i lettori che il seguente articolo analizza la trama di Until Dawn, presentando quindi abbondanti spoiler, decisamente sconsigliabili per chi ancora non l'ha giocato.

Until Dawn è stato senza dubbio la "sleeper hit" dell'estate 2015. Il titolo degli inglesi Supermassive Games ha conquistato critica e pubblico, dimostrando come ci sia ampio spazio per produzioni con una forte componente narrativa. Ma in fin dei conti è andato ben oltre, invadendo il territorio del film interattivo e presentando una impressionante storia corale. Una sfida vinta che porterà sicuramente nuove iterazioni e tentativi analoghi su console, ma non priva di ombre, proprio relative al suo maggiore punto di forza. Spieghiamoci meglio: sembra che al momento non ci sia ancora il modo di liberarsi completamente di una lunga serie di inibizioni che il media videoludico si porta storicamente sulle spalle, e purtroppo in un prodotto che si prefigge di parlare il linguaggio cinematografico è un difetto grave. In questo articolo quindi andremo ad analizzare proprio i lati meno convincenti del canovaccio narrativo di Until Dawn, partendo proprio dalla sua premessa, sbandierata nel battage pubblicitario, e che alla fine si è risolta in un escamotage poco onesto nei confronti degli acquirenti.

Perché Until Dawn mostra i limiti fra film e videogiochi

Until Dawn vuole essere un film, e spesso ci riesce, ma la narrazione non è esente da critiche

Spezzatino di adolescenti

Anche se leggendo quanto segue potreste essere portati a pensare il contrario, vogliamo premettere che Until Dawn ci è decisamente piaciuto, non solo a livello di recensione ma anche a livello personale di chi sta scrivendo. Le critiche che portiamo, se così vogliamo chiamarle, sono da interpretare più come digressioni a valore di augurio verso prodotti ancora migliori e in grado di confrontarsi senza vergogna con il media cinematografico. Dicevamo la premessa del gioco: otto giovani ragazzi, un evento traumatico del passato che li tiene uniti e un misterioso killer pronto a colpire. Non è difficile tradurlo in un manifesto del teen slasher movie, debitore prima di tutto alla serie di Jason Voorhees e il suo Friday the 13th, ma anche a una sfilza infinita di thriller e horror. Supermassive Games non affronta il genere con superficialità: il citazionismo non è contenuto, ci sono eccessi che esamineremo dopo ma non è neanche stupido. C'è una grande voglia di stupire il giocatore (spettatore?), ma anche un desiderio di acquisire una distinta personalità.

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Il colpo di scena di Until Dawn però è uno dei meno riusciti e ridicoli che si siano mai visti nel genere e rinnega la stessa premessa in nome dell'effetto sorpresa. A circa metà avventura scopriamo che lo psicopatico in questione è Josh e il calvario vissuto è stato frutto di uno scherzo di pessimo gusto, architettato da un ragazzo mentalmente provato dalla perdita delle sorelle; perdita della quale ritiene indirettamente responsabili i ragazzi. Questo genere di soluzioni portano lo spettatore a rivalutare il pregresso narrativo, un'operazione che ha già messo in difficoltà varie opere, vedi Heavy Rain di Quantic Dream. Se già è poco credibile che una sola persona sia riuscita ad allestire una vera e propria casa degli orrori, con tanto di porte e luci automatizzate, l'intera parte della seduta spiritica e le apparizioni è poco onesta e inverosimile una volta negata la declinazione da ghost story. Come si può accettare che i ragazzi non si accorgano che lo "spettro" non è altro che un pupazzo meccanico? E come fa a camminare da solo? Infine, e non meno importante, non si può pensare che il gruppo abbia un quoziente intellettivo talmente basso da non accorgersi di essere vittima di una messa in scena, ma anche che lo spettatore accetti a posteriori che il corpo di Josh sventrato fosse quello di un fantoccio, o la stessa violenza di Josh verso gli amici, ricordando che utilizza anche gas narcotizzanti potenzialmente pericolosissimi. In sostanza non ci sono clamorosi buchi nella trama, e già questo non è poco, ma alcune soluzioni narrative risultano decisamente ridicole e gravano sulla credibilità di certi personaggi, lasciando un certo amaro in bocca. Forse si poteva giocare con maggiore incisività la carta dell'assassino. Più avanti scopriremo a ogni modo come questa scelta sia probabilmente influenzata dalla stessa struttura di Until Dawn.

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Troppa carne al fuoco

Alla stessa maniera possiamo dire che ci sono risvolti non banali nello studio della psicologia di Josh e i suoi sensi di colpa, specie dopo aver decifrato gli inizialmente incomprensibili inserti con lo psicanalista. Questa parte è molto efficace nel tracciare un parallelo con lo stesso videogiocatore, specie nella sezione in cui dobbiamo stabilire i nostri rapporti con i vari ragazzi, selezionando le foto sul taccuino. Ciò non serve solo a instaurare un rapporto tra il killer e le vittime, ma soprattutto a coinvolgere il giocatore e alimentare la paura che le sue scelte abbiano un'incidenza concreta sul prosieguo della storia, sentimento che si sposa alla perfezione col sistema Butterfly del gioco. Se insomma apprezziamo il dettaglio metareferenziale, investire in questa soluzione per giustificare il "killer" (chiamiamolo così), togliendolo sia dal focus narrativo che da quello legato strettamente al gameplay, rende inverosimile e ridicolo il microcosmo isolato di Supermassive Games. Se si fosse trattato di un film, la critica e il pubblico avrebbero stroncato questa soluzione senza remore, mentre il giocatore è sempre pronto a perdonare e abbandonarsi all'indulgenza riguardo il comparto narrativo.

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Ecco perché un prodotto come Unitl Dawn, che vuole essere un film e spesso ci riesce, deve non solo accettare, ma superare questo tipo di critiche, proponendo una sceneggiatura di qualità migliore, e più matura. Non si potevano mettere i ragazzi di fronte a un vero serial killer e impostare seriamente la storia e il gioco su appropriate meccaniche di sopravvivenza? In fin dei conti fin dai primi trailer questo è sempre stato l'incipit, quindi sarebbe stato assolutamente lecito aspettarsi un prodotto del genere. Uno degli aspetti migliori di Until Dawn è proprio la sua ambientazione: trovarsi isolati in una baita in montagna, completamente isolati dal mondo esterno con un pretesto ben congegnato, fa emergere sfumature che tanto hanno affascinato scrittori come William Golding e Joseph Conrad. Nei rispettivi Il Signore delle Mosche e Cuore di Tenebra si analizzava il rapporto dell'essere civilizzato, quando messo forzatamente e direttamente in rapporto con la natura selvaggia. Nel caso di Until Dawn sono ben delineate le reazioni dei ragazzi una volta messi in situazioni estreme, con risvolti anche sorprendenti e intriganti, che aumentano l'interesse dello spettatore e favoriscono le simpatie con le varie personalità. Era proprio il caso di sprecare tutto introducendo la figura soprannaturale del mostro Wendigo? Una tale soluzione comunque grava sulla sospensione dell'incredulità. Tutta la storia sarebbe potuta essere qualcosa di più del mero intrattenimento, arrivando ad alimentare qualche riflessione sulla natura umana.

Che ha paura della luce?

Come dicevamo, il nostro sospetto è che quanto sopra sia stato dettato sia da esigenze di mercato che dai limiti della stessa struttura di gioco. La necessità di allestire una storia (fin troppo) basata sul fattore sorpresa, oltre che pensata per risultare appetibile a un'ampia fascia di pubblico, è chiaramente legata alla durata complessiva. Un film da 8 ore - quanto serve per completare il gioco - sarebbe eccessivo da risolversi nel classico schema dell'assassino, e in questo caso Supermassive Games avrebbe giocoforza dovuto sviluppare meccaniche stealth maggiormente approfondite rispetto a un semplice quick time event. Ecco perché in fin dei conti Until Dawn è presentato come una serie televisiva, con tanto di riassunto della storia a ogni capitolo, ma analizzando il prodotto, alla fine è sempre la durata il suo principale nemico, responsabile probabilmente anche della realizzazione delle ridondanti divagazioni "adventure".

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Le parti ispirate alla saga di Saw sono molto deboli, ma sono le vicende di Mike ed Emily a lasciare interdetti. Il primo a un certo punto diventa una sorta di Nathan Drake di Uncharted o un personaggio di Silent Hill, senza un particolar motivo che non sia legato alla pura citazione. Assurdo poi il disinteressamento alla sorte di Jessica, quando precipita nel pozzo, dopo essere accorso in suo aiuto rischiando la vita! Emily diventa addirittura Lara Croft di Tomb Raider, con sequenze oltre i limiti delle possibilità umane che stonano completamente col crescendo da thriller. Entrambi i momenti sono ben orchestrati ed emozionanti, ma distolgono l'attenzione dal cuore claustrofobico-horror dell'avventura, che doveva svolgersi a nostro parere maggiormente nella baita. Evil Dead di Sam Raimi e un'infinità di cloni a cui Until Dawn si ispira hanno insegnato che l'orrore si vive dall'interno. Purtroppo anche quel poco vissuto tra le mura non è ottimale in termini di credibilità: perché nessuno si decide ad accendere la luce? Questa è l'azione naturale di chiunque entri in una casa in montagna in piena notte. Ma all'arrivo dei ragazzi nell'abitazione, in una fase di preparazione narrativa priva di pericoli percepiti, il problema dell'illuminazione è inesistente, sembra che ognuno possieda la vista di un gatto e si procede allegramente nelle tenebre, escludendo il fatto che il povero Chris si ritrova a vagare con un accendino per districarsi all'interno della casa, nel tentativo di aprire la porta ai ragazzi.

Perché Until Dawn mostra i limiti fra film e videogiochi

Qualcuno potrebbe obiettare col fatto che magari manca effettivamente la luce, o Josh ha manipolato il sistema elettrico (cosa in effetti vera) per avere un controllo dell'illuminazione, ma nessuno si preoccupa neanche di chiedere spiegazioni, men che mai di avvicinarsi a un interruttore, e l'arrivo si svolge quindi in un'atmosfera surreale e quasi onirica. Ancora, si potrebbe accettare una cosa simile in un film? La spiegazione che ci siamo dati è tecnica, nel senso che probabilmente Supermassive ha riscontrato problemi col motore di Guerrilla Games, ma resta il fatto che si tratta di un difetto in grado di danneggiare molto la sospensione dell'incredulità, se non viene bilanciato da una coerenza narrativa. Le proporzioni esagerate dell'abitazione sembrano invece semplicemente legate a un'ingenuità in fase di design: gli stessi sviluppatori hanno ammesso di voler ottenere un effetto cattedrale, ma il risultato non è per niente convincente e non trasmette la sensazione di una finezza artistica. Considerando che Supermassive si è avvalsa della collaborazione di attori in carne e ossa, registi e sceneggiatori con esperienza nel campo televisivo, la speranza è che il successore di Until Dawn sia in grado di accorciare ulteriormente le distanze tra videogioco e un vero film.

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