Quando meno di un mese fa siamo volati a Londra per provare Rainbow Six: Siege, nell'hotel che ci ospitava per il test è suonato un allarme proprio mentre stavamo facendo irruzione in una delle mappe del gioco. Sul momento abbiamo persino fatto i complimenti agli sviluppatori per la fedeltà dell'audio. Subito dopo però ci hanno fatto evacuare e condotti in un edificio vicino. Non è stata una sensazione piacevole; anzi, è stato piuttosto inquietante guardare tutta quella gente mentre vagava nella stessa grande stanza con gli occhi bassi e l'aria smarrita.
Senza dubbio è stata la riprova di quanto un videogioco "violento" non sia assolutamente in grado di abituare o rendere insensibile di fronte a certe situazioni così come un simulatore di volo non rende automaticamente tutti piloti provetti. Rientrato l'allarme, siamo tornati alle nostre postazioni in hotel per iniziare la missione successiva che prevedeva l'uccisione di un gruppo di terroristi impegnati nell'attacco a un campus universitario. Visto il periodo, l'immagine di quegli uomini col volto coperto e armati di Kalashnikov che camminano sicuri tra decine di corpi senza vita non poteva non riportare alla mente i fatti di Parigi e gli attentati che hanno insanguinato l'Europa e gli Stati Uniti. Ci siamo quindi chiesti, senza alcuna voglia di bigotteria o perbenismo, se sia sensato e opportuno pubblicare giochi di questo tipo in momenti così delicati. Di sicuro anche Ubisoft si è posta le stesse domande tanto che il look dei terroristi nella versione finale del gioco è molto diverso rispetto a quella che abbiamo visionato. Inizialmente infatti i terroristi erano raffigurati in maniera abbastanza classica con abiti militari, passamontagna nero e non c'era nessuna rivendicazione politica, bandiera o simbolo. Ora sono semplicemente dei tizi vestiti di bianco con una maschera, senza alcun tratto distintivo, che assaltano i posti perché lo vogliono fare. Inoltre, nel multiplayer competitivo adesso è possibile giocare solo partite polizia contro polizia e poco prima del lancio, Ubisoft ha anche ridotto di molto gli investimenti pubblicitari, salvo poi riproporli in un momento successivo.
Videogiochi: quando possiamo parlare di censura e quando di modifiche corrette?
Suonare ancora più forte
In linea di massima saremmo tentati di dire che no, non ha assolutamente senso autocensurarsi per evitare di urtare la sensibilità del pubblico. Uno degli obiettivi essenziali del terrorismo in fondo è proprio modificare il nostro stile di vita, le nostre abitudini e il nostro modo di pensare attraverso l'intimidazione e la paura.
Quando non facciamo qualcosa temendo eventuali attacchi o ritorsioni i terroristi raggiungono il proprio scopo. Se dopo i fatti del Bataclan tutte le band avessero deciso di cancellare i concerti per non rischiare di morire in una sparatoria e non surriscaldare gli animi, l'Occidente avrebbe perso un po' della sua libertà. E anche se qualcuno ha deciso di farlo, altri hanno pensato che fosse giusto suonare ancora più forte, per far capire che non avevano paura. In questo scenario Rainbow Six: Siege si inserisce con un gioco in cui vengono presentate situazioni che potrebbero senza dubbio turbare gli animi più sensibili, ma che secondo noi devono comunque essere mostrate per il semplice principio della libertà di espressione. A meno che un gioco non violi in qualche modo la legge ha assolutamente diritto di essere distribuito e venduto, sarà poi il pubblico a decidere se vuole comprarlo o meno. Questo concetto dovrebbe valere sia per i giochi violenti, anche quando fanno vivere le cose dal punto di vista di un terrorista, come nella famigerata missione dell'aeroporto russo in Call of Duty: Modern Warfare 2, ma anche per titoli come Onechanbara e Dead or Alive: Extreme. È sessista, certo, è ridicolo, assolutamente sì, ma censurarlo è sbagliato, basta semplicemente non comprarlo, non sta al singolo né all'autorità sindacare sui gusti altrui, altrimenti, fosse per noi, bruceremmo tutti i cinepanettoni.
L’impossibilità di piacere a tutti
Tuttavia non è detto che un contenuto venga reso "inoffensivo" per paura di eventuali ritorsioni, spesso si cerca piuttosto di evitare il classico dramma da social network, in cui migliaia di persone lasciano messaggi inviperiti sulla bacheca del gioco, vengono aperte petizioni e si scrivono articoli che come al solito mettono alla gogna il mondo dei videogiochi descrivendolo come una nuova Gomorra. D'altronde al momento il dibattito ruota attorno a due grandi scuole di pensiero: "il videogioco dev'essere pubblicato così com'è e non deve preoccuparsi di chi si offende" e "l'integrità del videogioco viene dopo gli eventuali turbamenti del pubblico".
Questa diatriba è stata di recente anche al centro delle polemiche sulla rappresentazione dei personaggi femminili nei videogame scatenato dal controverso bikini della protagonista tredicenne di Xenoblade Chronicles X, ma potrebbe anche intrecciarsi con il tema della violenza. In effetti, paradossalmente, in Giappone è normale giocare un titolo in cui le protagoniste minorenni sono mostrate in pose ammiccanti e ipersessualizzate, ma se si gioca a Fallout 3 non si può far scoppiare la bomba atomica. Il problema quindi è che ogni paese ha la sua particolarissima sensibilità, la sua morale e un elenco ben preciso di cosa è giusto o sbagliato, ed è praticamente impossibile accontentare tutti. In fondo, ci siamo mai chiesti se gli sparatutto con ambientazione araba possano risultare offensivi per chi in quelle zone magari ci vive o ha dei parenti? Purtroppo, per quanto sia giusto predicare che ogni opera dell'ingegno dell'uomo, videogiochi compresi, non dovrebbe essere soggetta a censure per questioni di opportunità e buon gusto non è facile calarsi nei panni di chi le guarda con occhi diversi e ritiene legittimamente di essere stato offeso. Un maschio forse non può capire il punto di vista femminile su un videogioco, un giapponese non la penserà come noi sulle bambine in bikini e chi ha perso un parente per colpa del terrorismo forse preferirebbe non vedere pubblicizzato un gioco che gli riporta alla memoria tutto il dolore. Ricordiamoci inoltre che i videogiochi, come molti film, sono soprattutto prodotti che devono vendere e per farlo sono spesso disposti a scendere a compromessi per non rientrare in rating eccessivi o scandalizzare il pubblico. Non a caso, nel primo film di Spider Man fu tolta una scena con le Torri Gemelle.
Senza via d'uscita
Come vedete la questione è decisamente molto, molto complessa, a causa dell'accavallarsi di più punti di vista e di un continuo incrociarsi di morale, etica, diritto di espressione e personale visione del mondo. L'unica cosa certa è che gli sviluppatori dovrebbero sempre essere molto chiari nell'argomentare le proprie scelte.
Così facendo non sono al riparo dalle critiche, basta vedere Capcom e il famigerato schiaffo sul sedere di R. Mika, ma almeno si può dare il via a una discussione sull'opportunità o meno di modificare o eliminare un contenuto; anzi, si può dibattere più a fondo sul concetto di "censura", parola che spesso viene usata a sproposito per fare riferimento a cambiamenti necessari dettati dai costumi moderni e da un pubblico ben diverso da quello degli anni '90. Un altro punto fermo è che le mezze misure servono a ben poco. Inutile fare dei terroristi "neutri" se poi gli fai assaltare un campus universitario, inutile rimuovere un'inquadratura provocante se il personaggio sfoggia comunque un vestito che lascia poco spazio all'immaginazione e se modelli un'altra lottatrice con le fattezza di una pornodiva. Sono solo scelte poco coraggiose che cercano di salvare le apparenze e rincorrono il politically correct scontentando tutti. Certo non esiste una bacchetta magica per risolvere la questione: col tempo i gusti cambiano, le mode spariscono, la morale si modifica. L'unica cosa che resterà per sempre sarà un dibattito molto, molto complesso che difficilmente troverà un modo per separare le censure inaccettabili dalle doverose modifiche.