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Sessualizzazione femminile e censura

Siamo sicuri che la censura nei videogiochi sia nata dalle moderne prese di posizione sulla figura femminile al loro interno?

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   28/12/2015

Alcuni recenti casi di presunta censura di prodotti giapponesi in Occidente hanno rinfocolato la mai sopita questione della critica alla sessualizzazione nei videogiochi, con petizioni, accuse a questo o quel personaggio e con un'improbabile alzata di scudi in difesa della minacciata libertà di espressione. Già di suo è abbastanza divertente vedere tirati in ballo concetti così alti per un problema che non esiste, almeno non nei termini che vengono comunemente dibattuti.

La versione occidentale di Dead or Alive Xtreme 3 è stata censurata? O il problema è un altro?
La versione occidentale di Dead or Alive Xtreme 3 è stata censurata? O il problema è un altro?
Alcuni giochi decisamente espliciti nei contenuti sono arrivati in Occidente senza censure
Alcuni giochi decisamente espliciti nei contenuti sono arrivati in Occidente senza censure

Per capirlo basterebbe studiare un po' di storia dei videogiochi, così si apprenderebbe che le censure nelle versioni occidentali dei titoli orientali non sono cosa nuova. Anzi, ce ne sono a centinaia, alcune celebri, come quelle di Final Fantasy VI, e molte altre meno note, come quella di Snatcher di Konami (uno dei primi titoli di Hideo Kojima) che impiegò sei anni a uscire dal Giappone e quando lo fece vide moltissimi cambiamenti. Ad esempio l'età di un personaggio femminile passò da 14 a 18 anni, i vestiti dello stesso furono resi molto meno sexy, mentre i seni di un'altra donna furono opportunamente coperti. La stessa Nintendo chiese a Konami la censura, con conseguente rimozione, di alcuni oggetti religiosi in Super Castlevania IV per Super Nintendo, per non offendere la sensibilità occidentale. Precisiamo che tutti i casi citati avvennero negli anni '90, quando le polemiche sulla sessualizzazione erano ancora molto in là da venire. Sicuramente in passato era più difficile entrare in contatto con i publisher dell'arcipelago e fargli motivare la mancata esportazione di alcuni giochi o la loro censura, così com'era più difficile mettere in contatto tra loro i videogiocatori per farli accalorare sull'argomento. Ciò non toglie che casi come quello della mancata distribuzione in Occidente di Dead or Alive Xtreme 3, o la rimozione del costume sexy della ragazzina tredicenne di Xenoblade Chronicles X, o ancora l'oscuramento dello schiaffo sulle natiche di Mika in Street Fighter V, non sono che gli ultimi casi di un modus operandi che va avanti dalla nascita del mercato globale dei videogiochi. I motivi sono sempre stati ben manifesti e riguardano non solo le differenze culturali tra Occidente e Oriente, ma anche e soprattutto quelle legali. Ora, che i videogiocatori con il forcone abbiano subito legato le censure alle accuse di troppa sessualizzazione femminile che alcuni ambienti culturali muovono ai videogiochi, fa sinceramente sorridere, perché finiscono per essere i primi ad attribuire a personaggi come Anita Sarkeesian o a siti più schierati come Polygon un potere di interdizione che semplicemente non hanno. A dimostrarlo ci sono le decine di videogiochi con donne iper sessualizzate o temi sexy che affollano il mercato, anche provenienti dal Giappone. Basta aprire Steam e cercare qualche visual novel per trovarsi davanti a donne procaci che mostrano i loro attributi senza grosse timidezze, ma questo è soltanto un esempio tra i molti fattibili. Il freno quindi, non può essere nelle polemiche, che se avessero una tale forza, influenzerebbero l'intero mercato.

Torniamo a parlare di sessualizzazione, censura e libertà d'espressione in un nuovo speciale.

I casi del giorno

È più probabile, d'altro canto, che publisher molto grandi come Koei Tecmo (Dead or Alive Xtreme 3), Nintendo (Xenoblade Chronicles X) e Capcom (Street Fighter V) prima di avallare un gioco facciano valutazioni di ben altro tipo. Ad esempio possono chiedersi se ciò che vogliono pubblicare potrebbe avere qualche ripercussione legale. Prendiamo Xenoblade Chronicles X, che ci sembra il caso più chiaro anche se quello meno discusso: in Giappone una tredicenne con abiti sexy potrà anche essere tollerata, ma in Occidente rientra nell'ambito della pedo-pornografia.

Nintendo poteva rischiare l'accusa di diffondere contenuti pedo-pornografici?
Nintendo poteva rischiare l'accusa di diffondere contenuti pedo-pornografici?
Niente schiaffi sulle natiche, sorry
Niente schiaffi sulle natiche, sorry

Anche in Italia è così, visto che vengono sanzionati non solo gli atti sessuali con minori e il loro sfruttamento, ma anche le rappresentazioni degli stessi. Se vogliamo possiamo discutere se nel caso specifico Nintendo avrebbe rischiato davvero qualcosa e se si parli davvero di pedofilia, ma secondo voi un publisher che ha fama di produttore di videogiochi per famiglie può prendersi un rischio simile? Per gli altri due casi il discorso è simile. Dead or Alive Xtreme 3 è un titolo particolare che punta tutto sull'esposizione delle grazie delle combattenti della serie Dead or Alive, già di loro famose per la sovrabbondanza di costumi sexy acquistabili come DLC (quindi figuratevi se temono polemiche e censure). È probabile però che in Occidente, soprattutto negli Stati Uniti, un titolo simile avrebbe ottenuto una classificazione M (Mature) dall'ESRB, l'ente che si occupa di valutare i contenuti dei videogiochi assegnandoli alle varie fasce d'età legali. Ora, di fatto il publisher si sarebbe trovato con un prodotto con la stessa classificazione di un film pornografico, quindi oscurato nei negozi, quindi con prospettive di vendita ridicole. Insomma, motivare con un investitore una simile operazione potrebbe essere quantomeno complicato, anche in virtù di un altro fattore poco considerato: le vendite dei due precedenti capitoli dalle nostre parti sono state scarse. Insomma, per Koei Tecmo Dead or Alive Xtreme 3 è uno tra i molti titoli di un catalogo ben più ricco e variegato, con due predecessori che hanno dato pochi frutti fuori dal Giappone. Pensate davvero che il freno all'esportazione sia stato la paura di una potenziale polemica proveniente dall'ambiente femminista oppure, più realisticamente, è stato la prospettiva di fare un pessimo affare? In aggiunta: per venire incontro ai pochi occidentali che lo comprerebbero, la versione orientale del gioco conterrà anche la lingua inglese, così da permettere l'acquisto indolore delle versioni import in tutto il mondo. La censura dov'è? Per Street Fighter V il discorso è molto simile a quello fatto per Dead or Alive Xtreme 3, anche se con delle peculiarità. Come ha spiegato Yoshinori Ono, il producer del gioco, Capcom punta a venderlo a un pubblico più vasto possibile, formato anche da non conoscitori della serie. Insomma, l'idea è quello di vederlo in milioni di case e continuare a vendere contenuti extra negli anni a venire. Una prospettiva simile richiede grossi investimenti che non vanno messi a rischio da uno schiaffo sulle natiche. Per rischio intendiamo una classificazione sfavorevole da parte degli organi competenti e problemi legati alla rappresentazione in sé, che potrebbe alienare alcuni potenziali acquirenti (soprattutto famiglie con figli minorenni).

Questioni espressivo o economiche?

Oggidì che i videogiochi vengono sempre più spesso intesi come piattaforme per vendere contenuti supplementari, è chiaro che l'interesse dei publisher sia di creare ambienti il meno controversi possibile, in modo da poterci investire sopra nel lungo periodo, perché non si vuole più solo piazzare copie, ma anche fare in modo che il giocatore rimanga e compri ancora, o quantomeno contribuisca a mantenere in vita l'ecosistema della piattaforma/gioco così da spingere altri a spendere. Il sesso è il primo tema oggetto di censura perché è quello che, piaccia o meno, stimola maggiormente le difese delle famiglie verso i minori... e le famiglie sono quelle che spendono i soldi per i figli! Gli stessi sistemi di classificazione riflettono questa tendenza, visto che la presenza della rappresentazione del sesso causa immediatamente l'ingresso nella temuta fascia dei titoli per adulti.

No talebani, no party
No talebani, no party

Insomma, basta conoscere un minimo il mondo dei videogiochi per capire che le censure di cui parliamo non sono inedite e vengono da molto lontano, con motivazioni ben diverse da una qualche polemica di genere. Spesso ci sono autocensure di cui non si ha alcuna traccia, perché vengono applicate direttamente nella fase produttiva, su contenuti che vengono ritenuti troppo controversi dai responsabili del progetto. Questa pratica in particolare è molto diffusa in Occidente. Pensate ad esempio ad alcune esplicite scene di sesso tagliate senza troppa grazia, ma mantenute nel codice e riattivabili tramite mod o codici (hot coffee vi dice nulla?). Oppure pensate agli adattamenti di alcuni titoli occidentali nei diversi territori in cui sono stati distribuiti, come ad esempio le scene di sesso di Farhenheit di Quantic Dream che furono tagliate nella versione americana. Ma ci sono anche modifiche di altro tipo, come i nazisti cancellati dalle edizioni tedesche di giochi come i Wolfenstein, per fare un altro caso celebre. Certo, ci sono anche censure dovute a pressioni sociali, ma sono molto più esplicite e ben identificabili. Ad esempio la fazione giocabile dei talebani del Medal of Honor del 2010, fu trasformata in un generico gruppo di guerriglieri per non offendere le famiglie dei militari americani morti in Afghanistan, che avevano protestato in modo accesissimo creando una situazione insostenibile per Electronic Arts: il rischio di vedersi togliere il supporto dalle forze armate. Insomma, non basta un singolo intellettuale, opinionista o chiunque altro scriva un articolo di critica, per vedere eliminati alcuni contenuti, ma serve una forte pressione sociale spalleggiata dal potere economico politico.

L'improbabile cambiamento

Detto questo bisogna fare una precisazione: non vogliamo assolutamente sminuire il problema della censura nei videogiochi. Purtroppo non lo si risolve con favoleggianti petizioni contro il femminismo, che poi non rappresentano altro che la volontà di combattere la censura censurando.

Davvero qualcuno crede che abbia tutto il potere che le si attribuisce?
Davvero qualcuno crede che abbia tutto il potere che le si attribuisce?

Se vogliamo il rispetto di certe libertà, dobbiamo essere pronti a tutelarle anche quando ci si rivolgono contro. I modi per evitare che accadano ancora casi del genere non possono essere cercati solo all'interno del mondo dei videogiochi. Il modo principale sarebbe provare a farlo uscire dall'isolazionismo in cui vive, rendendolo parte attiva del dibattito pubblico. Ossia bisognerebbe riconoscere il valore espressivo dei videogiochi oltre ai luoghi comuni che noi stessi adoperiamo per descriverli. Finché continueremo a considerarli come dei giocattoloni tecnologici che servono solo per passare qualche ora di svago, non possiamo pretendere una maggiore considerazione di temi come la libertà di espressione. In fondo le censure non sono che una dichiarazione di impotenza di fronte alle pressioni del mondo esterno. In questo Nintendo, Koei Tecmo e Capcom condividono lo stesso disinteresse, motivato economicamente, per le problematiche espressive. Insomma, l'autocensura è solo il sintomo di un male più grande e sfaccettato. Verrebbe da dire che i primi a dover pretendere il rispetto per l'integrità di un videogioco, fosse anche uno pieno di ragazzette semi-nude che servono per stimolare i testicoli dei potenziali acquirenti, sono i videogiocatori stessi.