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Il (non) gioco da Gaza

Una polemica sorta attorno a un indie apparentemente come tanti ci dà l'occasione di approfondire un paio di questioni importanti

SPECIALE di Michele Maria Lamberti   —   26/05/2016

All'apparenza, Rasheed Abueideh è uno sviluppatore indipendente come ne esistono tantissimi: solido background di studi informatici, passione per i videogiochi, il nostro fonda una piccola casa di sviluppo, Art Technologies, e si getta nel mondo delle app per smart device. Neanche con un successo incredibile, a dire il vero, né con una frequenza di uscite rimarchevole: in sei anni si segnala per Azkari, un'app religiosa come tante, che facilita il devoto musulmano nella quotidiana recita di suppliche e preghiere a Dio, e per X-Bugs, che con la fede non ha nulla a che vedere essendo un classico "schiacciainsetti". Se quest'ultimo ha avuto veramente poco successo, Azkari è stato scaricato più di un milione di volte, che comunque non è un numero elevato se si va a considerare il successo di applicazioni analoghe. In ogni caso, entrambi godono di ottime recensioni su App Store e Play Store. Rasheed però ha una particolarità: è palestinese, e cioè viene da una terra che, comunque la vogliate pensare sul lato politico/religioso della questione, è indubbiamente una terra martoriata.

Apple ha fatto una richiesta particolare a uno sviluppatore indipendente palestinese: perché?

This War of Theirs

La nuova fatica di Rasheed, stavolta fatta completamente da solo senza il coinvolgimento del suo team, si chiama Liyla and The Shadows of War, è uscita proprio recentemente sui due store dei principali protagonisti del mondo mobile ed è disponibile in maniera del tutto gratuita: si caratterizza come un classico platform con elementi puzzle - ne esistono miliardi in questo determinato settore di mercato - e sin dal titolo ha a che fare con un tema preciso, la guerra.

Il (non) gioco da Gaza

Non vista nel suo lato ludico o mitologico ma, prendendo spunto da un'opera coraggiosa come This War of Mine, in quello più duramente reale e concreto: il protagonista si muove sullo sfondo di una città in macerie, gli ostacoli che deve superare sono perlopiù missili, bombe a grappolo e colpi di fucile di precisione che arrivano dall'esterno, da un nemico "sconosciuto" e invisibile, il suo obiettivo è portare in salvo se stesso e le persone che ama. Un'opera, al di là del suo valore ludico, certamente cruda e spiazzante, peraltro dotata di un'eccellente direzione artistica, che non a caso ha ricevuto una classificazione PEGI "18" per violenza estrema, che non è mai rappresentata graficamente in maniera realistica, ma casomai pervade costantemente l'atmosfera e il "mood" di chi gioca. A una prima occhiata quindi un indie del tutto normale, forse un po' più coraggioso ed estremo del solito, ma neanche tanto, visto che già This War of Mine non era certo il primo titolo ad affrontare in maniera cruda tematiche delicate. E allora perché a un certo punto Apple ha chiesto ad Abueideh di spostare il suo prodotto dalla categoria "Giochi" a quella "News" o "Reference", modificandone anche la descrizione? Lo sappiamo da un tweet dello stesso sviluppatore, che ha postato direttamente le parole con cui la casa di Cupertino gli si è rivolta, aggiungendo di suo che il motivo di questa richiesta starebbe nel fatto che il gioco "ha una dichiarazione d'intenti politica". Ed è vero? Sgombriamo il campo da un primo dubbio che potrebbe sorgere: Liyla and The Shadows of War, bastano due minuti per capirlo, è un videogioco vero e proprio, neanche si può parlare di quei prodotti a metà tra il gioco e qualcos'altro. Ha un gameplay preciso, meccaniche tradizionali, un level design canonico, è impossibile che la richiesta di Apple sia basata su una semplice ambiguità di categorizzazione.

Il (non) gioco da Gaza

E dove starebbe quindi questa dichiarazione d'intenti? Sia nella descrizione che in apertura del gioco, Rasheed ci dice che la storia è basata su eventi reali, ma non specifica mai quali. Per i più disattenti, l'ambientazione potrebbe essere una qualsiasi città sotto assedio. Ma basta seguire un po' i telegiornali per capire che quella città è Gaza, capitale dell'omonima "Striscia". La "Striscia di Gaza" è una delle due regioni, fisicamente non collegate tra di loro, nelle quali è attualmente suddiviso il territorio palestinese, territorio autonomo che non è uno Stato vero e proprio, al centro da decenni di una tragica contesa tra palestinesi e israeliani. Mentre la Cisgiordania, l'altra regione, è però controllata dagli eredi dell'OLP, l'organizzazione che Yasser Arafat negli scorsi decenni riuscì a trasformare, nella visione occidentale, da "terrorista" a necessario e affidabile interlocutore politico, a Gaza governa Hamas, un partito molto più estremo, d'ispirazione islamista oltre che indipendentista, ancora classificato come "organizzazione terroristica" dalla maggior parte dei Paesi del mondo. I missili che un giorno sì e uno no arrivano in pieno territorio civile israeliano partono quasi tutti da lì, così come da lì arriva la maggioranza di chi va a fare attentati a Gerusalemme o a Tel Aviv. Di converso, la città è martoriata da costanti attacchi e bombardamenti da parte di Israele. Chi abbia ragione e chi no, ammesso che di ragione si possa parlare, e come si risolva questa decennale tragedia, non può interessarci in questa sede; quello che c'interessa è che le, praticamente sole, vittime del conflitto sono le migliaia di civili che da entrambe le parti perdono la vita, gli affetti, le case. Liyla racconta tutto questo, dalla parte di una normalissima famiglia di Gaza.

Cosa sono i videogiochi?

Bisognerebbe sempre fare una distinzione tra politica e propaganda. Rappresentare, che sia per sensibilizzazione o per semplice sfogo, le condizioni dei civili in una città come Gaza, è indubbiamente un'azione di tipo politico. Ma non c'è traccia di propaganda in Liyla, perlomeno non esplicita. Certo, sappiamo che a lanciare i missili e le bombe sono gli israeliani, che di conseguenza potrebbero essere vissuti come i "cattivi" della situazione, ma mai si trovano affermazioni sull'indipendenza della Palestina, tanto meno sulla superiorità di una religione rispetto a un'altra. Il punto di vista è chiaramente parziale, ma non già dalla parte di Hamas, bensì da quella degli abitanti di Gaza; e non si può nemmeno attribuire, dopo aver giocato, a Rasheed la furbizia e l'ambiguità che spesso accompagnano operazioni del genere.

Come si fa un gioco sulla Guerra Civile Americana senza le bandiere Confederate?
Come si fa un gioco sulla Guerra Civile Americana senza le bandiere Confederate?

Anzi, quello che più resta è solo la constatazione di quanto faccia schifo la guerra, indipendentemente dalle parti in campo. Possiamo quindi giustificare la richiesta di Apple? Permetteteci di essere netti e chiari: la risposta è no. Che le cose stiano così lo hanno capito anche a Cupertino: sollecitata dalla community, la Mela Morsicata ha successivamente ritirato la richiesta - richiesta che peraltro Google non ha mai fatto - e potete tranquillamente trovare il titolo nella sezione dell'App Store che gli compete. Ma a ben vedere non è nello stabilire se Liyla sia un'opera politica o di propaganda che sta il nocciolo della questione, perlomeno non quello che riguarda noi. Il punto vero è la visione che ha Apple delle app e in particolare dei videogiochi. Non possediamo tutto l'incartamento tra l'azienda e lo sviluppatore, ma basta ricordare alcuni episodi recenti (l'eliminazione di tutte le bandiere degli Stati Confederati d'America da giochi anche ad ambientazione storica, per esempio, o i problemi cui è andato incontro uno sviluppatore "scomodo" come Molleindustria) e andarsi a leggere le linee guida per gli sviluppatori, nelle quali la creazione di Steve Jobs afferma esplicitamente: "Vediamo le app in maniera differente da libri e canzoni, che non curiamo. Se volete criticare una religione, scrivete un libro. Se volete parlare di sesso, scrivete un libro o una canzone, o create un'app medica". Quel "non curiamo" sta a significare "non sottoponiamo a censura", perché di libri e canzoni l'App Store è pieno. iTunes si fonda sulle canzoni. E quali sono i criteri per stabilire se un particolare contenuto è da censurare o meno? Qual è la linea di confine? "Come ha detto una volta un Giudice della Corte Suprema, la riconoscerò quando la vedo. E pensiamo che anche voi lo sappiate quando la superate". In maniera del tutto legittima, Apple si riserva, da azienda privata, il diritto di valutare ciò che le viene sottoposto caso per caso, senza dei criteri precisi. A parte il fatto che questo può portare a delle incoerenze non banali: Israeli Heroes, un clone di Angry Birds in cui controllate il sistema di difesa israeliano dagli attacchi di cui sopra, non ha mai avuto problemi.

Un motore dell'innovazione mondiale che si oppone all'innovazione dei videogiochi come arte?
Un motore dell'innovazione mondiale che si oppone all'innovazione dei videogiochi come arte?

Soprattutto però il corto circuito sta in una frase: "Vediamo le app in maniera differente da libri e canzoni." In soldoni significa questo: Apple, probabilmente oggi l'azienda più potente del mondo a livello culturale, motore fondamentale della diffusione del medium videoludico, si rifiuta, nel suo pieno diritto, di dare alle app, e quindi ai videogiochi, la stessa dignità artistica di altri prodotti d'intrattenimento. Magari lo fa per i minori, per le famiglie, certo: un'app finisce più facilmente nelle mani di un bimbo, i genitori esercitano meno controllo rispetto a un libro controverso o a una canzone di una stella del rap dal passato difficile. Ma l'abbiamo detto tante volte: il fatto che GTA sia un videogioco, tradizionalmente associato ai più piccoli, non giustifica quelle famiglie che lasciano che il piccolo ci giochi salvo poi scandalizzarsi per la violenza, e lo stesso discorso vale per altri tipi di contenuti sensibili. La classificazione "18" di Liyla, anche esagerata, dovrebbe automaticamente limitarne l'utenza a chi ha le capacità di capirne criticamente i significati. Soprattutto, Apple continua a non vedere una cosa che invece ormai è chiara a tutti: il videogioco ha da anni travalicato i confini del prodotto d'intrattenimento e si è dotato di tutti i mezzi - li ha sfruttati poche volte, certo, ma se ne è dotato - per diventare arte, esattamente come il cinema e la musica, perlomeno per quella parte della complessissima definizione della parola "arte" che riguarda il veicolare un messaggio difficile, profondo, strutturato su più livelli, e farlo in maniera coinvolgente ed efficace. Che significa tutto questo per il nostro medium? È un male? Un bene? Deve cambiare? E come? Ci permettiamo di far notare una cosa: certi cambiamenti nella storia avvengono perché debbono avvenire, indipendentemente da quanti sforzi qualcuno faccia per opporvisi. Nella stessa richiesta che Apple ha fatto ad uno sviluppatore palestinese di spostare il suo gioco sulle condizioni dei civili a Gaza dalla categoria "Giochi" a quella "News" sta l'implicita ammissione che un gioco può veicolare un messaggio importante, controverso, duro, sensibile. Per quanto possa essere un gigante, se anche Apple non si adatta alla realtà, sarà la realtà a far sì che ciò avvenga.