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Vecchia scuola

L'obiettivo di Face of War è quello di riportarci ai tempi in cui i compromessi si facevano sulla grafica e non sulla sostanza

PROVATO di Mattia Armani   —   26/05/2016

Siamo ancora abituati a pensare al videogioco come a un qualcosa di giovane, ma dal lancio del Magnavox Odyssey a oggi sono passati ormai 44 anni. Per chi è nato da quelle parti, anche se qualche anno dopo, i videogiochi dell'epoca sono ricordi di un tempo lontano e di un modo diverso di fare le cose. Anche se i colossi si stavano già muovendo, una parte rilevante del gaming era fatta da titoli difficilmente pianificati a tavolino ma nati, come i libri migliori, dalle viscere di un essere umano aiutato da un team di nerd decisi a sfidare il giocatore. Oggi i titoli di questo tipo sono fenomeni, retrogame o indie considerati di nicchia mentre buona parte del mercato è fatto di compromessi che finiscono spesso per essere l'ossatura di intere serie.

Vecchia scuola

Sia chiaro, i compromessi ci sono e ci sono stati quasi sempre, anche nel titolo apparentemente più hardcore che, oltre da un gran lavoro è spesso nato da un'analisi, da una stima di un possibile spazio nel mercato. Ma quell'analisi era la conseguenza di un'idea che prevaleva sulla mano dei manager e su una pubblicità che non era costretta a svelare ogni cosa. Certo, parliamo di titoli più semplici da sviluppare e da spiegare che non richiedevano grandi compromessi per comunicare e trasmettere una visione unica e ben definita. All'epoca c'erano otto direzioni al massimo, un paio di tasti quando andava bene, il mouse era una rarità e le due dimensioni riducevano tutto a un'unico piano. Ma proprio per la sua chiarezza e semplicità il gaming vintage, oggi cavalcato dalla scena indie, non è mai passato di moda. Trascurato dalle grandi compagnie, è schizzato per aria non appena nomi come Kickstarter, Steam, Unity e Game Maker hanno cominciato a bucherellare la crosta di quella torta che i grandi publisher hanno tentato di mettere sotto chiave per qualche anno. Buco dopo buco si sono formate anche delle briciole che sembrano poca roba parlando di una torta classica ma provate a immaginare un plumcake lungo dodici metri e del peso approssimativo di trecento chili. Le briciole di un affare del genere sono roba grossa, rappresentano il desiderio di decine di migliaia di appassionati che seguono con attenzione ogni uscita, ogni esperimento e ogni concept, anche quella pubblicata per sbaglio ai margini del mondo del videogioco. La forza di questa enorme nicchia è la stessa che alimenta la creazione di demo, alfa e interi videogiochi che non badano agli schemi, arrivano a metà strada prima ancora che si pensi alla pubblicazione, con anni di lavoro alle spalle. Non stupisce che da una forza creativa del genere possa spuntare qualcosa di interessante come Face of War, la cui beta è scaricabile gratuitamente a questo indirizzo, che brilla della spontaneità tutta pistoiese di chi lo ha realizzato e ci ha messo la faccia.

Face of War è un piccolo progetto indipendente realizzato con passione da alcuni amici di vecchia data

Scelte radicali ma spontanee

Gli sviluppatori li conosciamo. Per anni i due fratelli Pisaneschi hanno fatto parte della grande community di Multiplayer.it e chi ha avuto a che fare con loro sa bene che sono spinti da una passione quasi estrema per l'era a 16-bit e da una vena goliardica spesso eccessiva. Ma questo non significa che questo titolo ispirato un po' a Cannon Fodder, un po' a The Legend of Zelda e un po' ai grandi shoot'em up d'epoca sia da prendere troppo alla leggera. Face of War è frutto di un impegno evidente, a partire dall'introduzione che si fregia di alcune chicche assolutamente inutili a fini ludici come il motore tridimensionale che nel gioco, per ora, non ha alcuna applicazione pratica.

Vecchia scuola
Vecchia scuola

Ma è proprio da questa inutilità fortemente voluta che scatta quell'emozione che qualcuno di voi ha forse provato smanettando con il nasone di Mario 64. Poi c'è la beta effettiva, ancora piccola ma tutta fatta a mano, zeppa di citazioni che possono piacere o no ma sono affiancate da trovate pregevoli che, contro tutte le previsioni di chi ha seguito la genesi di Face of War, conferiscono un'identità autoriale a un titolo che trova un senso anche nelle sue bande nere, vive delle drastiche scelte legate alle collisioni e brilla di una vena polemica quasi irritante. Il codice di Face of War nasconde una miriade di dettagli pur trattandosi di un'esperienza piccola di cui parliamo per una questione di patriottismo videoludico, va detto, ma anche per la qualità, per la colonna sonora composta dal nostro Dario Rossi e per la sorprendente profondità. Siamo in Vietnam, c'è un carro armato, un UFO precipitato, un segreto da sviscerare, due poveracci tenuti in ostaggio e orde nemici che sbucano dalla vegetazione tropicale. Tutto questo si fonde in una beta che pur rappresentando la base di un lavoro ancora in corso rappresenta un'esperienza compiuta. L'ingenuità di alcuni artwork è evidente ma non incrina un lavoro minuzioso a partire dagli spawn dei nemici per arrivare al tempismo dei coccodrilli che si pappano chi ha l'ardire di attraversare il fiume incautamente. Il grado di sfida è bello alto e conoscere la zona è un obbligo, ma i Vietcong sono imprevedibili, sbucano dalla foresta, pedinano i tre soldati del giocatore e non devono essere sottovalutati, mai. I nemici sono rapidi, ci bersagliano mentre siamo a mollo nell'acqua, scappano dal carro per farsi sotto successivamente e puntano a ogni singolo membro della squadra rendendo fondamentale quel gioco di polso che chi ha vissuto con il mouse dell'Amiga in mano conosce fin troppo bene. Il tutto condito dalla necessità di portare in salvo i prigionieri che ci seguono con una discreta intelligenza ma piombano nel panico non appena ci allontaniamo troppo. Interessante anche la colonna sonora che ci trascina negli anni '80 ma non per questo può essere definita vecchia. Per ora ci fermiamo qui, dato che svelare di più sarebbe un male. Le sorprese della prima versione sono, assieme alle collisioni volutamente ostiche, una parte di quella spontaneità di cui abbiamo parlato in apertura, misteri che non si nascondono solo nei colpi di scena e nelle meccaniche ma in ogni piccola sfaccettatura del gameplay che da una parte mette alla prova i riflessi e dall'altra l'intelligenza, lasciando sempre una strada per cavarsela alla vecchia maniera, tirando di sbieco, sfruttando un'insenatura e trovando quel ritmo che risulta assolutamente fondamentale per poter trionfare nella modalità arcade.

L'organico del piccolo team BaAlengo include il nostro Dario Rossi che, purtroppo per noi, non ha sborsato nemmeno un soldo per assicurarsi che Face of War godesse di un trattamento speciale.

CERTEZZE

  • Un mix di retrogaming autentico pensato per i controlli di oggi
  • Due modalità completamente diverse l'una dall'altra
  • La beta impegna per un tempo sorprendentemente lungo rispetto ai contenuti apparenti...

DUBBI

  • ...ma è ancora poco più di una grossa demo
  • L'evoluzione del progetto dipenderà dal supporto e dal gradimento
  • Alcune scelte sono drastiche e potrebbero cozzare con le abitudini del giocatore di oggi