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Pro e contro dei giochi come servizi

Cambia il paradigma economico dell'industria, cerchiamo di capirne i vantaggi e gli svantaggi

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   09/10/2017

In questo breve speciale non ci prefiggiamo di mettere una pietra tombale sui giochi servizi, ma solo di chiarirne parte della natura esaminandone i pro e i contro, questi ultimi dedotti non solo dal modello in sé, ma anche dalle reazioni dei videogiocatori alla loro inesorabile affermazione. Insomma, vogliamo provare a capire cosa questo profondo cambiamento sta comportando per l'intera industria e cosa aggiunge e toglie ai videogiocatori a livello di fruizione. Dopo aver spiegato cosa intendiamo con videogiochi servizi, cominceremo a illustrarne i fattori positivi, o che quantomeno vengono percepiti come tali, quindi quelli negativi. Considerate che un valore indicato come positivo per alcuni potrebbe essere negativo e viceversa. Di fatto si tratta di un argomento complesso che tocca moltissimo le abitudini videoludiche individuali e collettive, quindi ci rendiamo perfettamente conto dei limiti di una simile analisi. Comprendiamo anche che non è possibile toccare tutti gli argomenti intorno a questa rivoluzione concettuale, a meno di non lasciarli morire nel nulla o di trattarli con estrema superficialità. Ad esempio non parleremo dei problemi di dipendenza connaturati al modello dei giochi servizi e non ci addentreremo in questioni più ampie come quelle di natura politica o sociologica, che esulano dai nostri obiettivi attuali, molto più modesti. Non tratteremo nemmeno in dettaglio le modifiche al design dei giochi imposte da questo modello, che richiederebbero uno speciale a parte. Ma ora bando alle ciance e cerchiamo di capire cosa ci viene prospettato per il futuro del medium.

L’ennesimo cambio di paradigma

L'industria di videogiochi vive di paradigmi, soprattutto a livello economico. Stabilita una tendenza di mercato e costruiti una serie di modelli di business intorno a essa, i grandi publisher fanno di tutto per seguirla, perché evidentemente è la strada più lucrosa, o semplicemente quella che promette meglio sul lungo periodo. È vero che nei momenti di transizione (ma anche successivamente) possono convivere più paradigmi e che l'offerta può essere varia, ma ci sarà comunque un paradigma dominante dove finiranno la maggior parte degli investimenti.

Nintendo concepì i videogiochi come giocattoli per superare la crisi dei primi anni '80. Non per niente puntò a venderli soprattutto nelle grandi catene di giocattolai.
Nintendo concepì i videogiochi come giocattoli per superare la crisi dei primi anni '80. Non per niente puntò a venderli soprattutto nelle grandi catene di giocattolai.

Se dopo la crisi della prima metà degli anni '80 Nintendo aveva imposto la sua visione del videogioco / giocattolo, puntando a un pubblico di giovani e molto giovani, con l'avvento delle console multimediali si è passati alla concezione del gioco come esperienza, introdotta dialetticamente da Sony con la prima PlayStation. Quel modello, che ha puntato a vendere ai fruitori di giocattoli, ormai cresciuti, i videogiochi come opere uniche portatrici di temi e valori che vanno oltre il mero divertimento (più adatti a un pubblico adulto), e ha diffuso tra le masse il concetto di autorialità videoludica, ha mostrato via via i fianchi a causa dell'aumento esponenziale dei costi produttivi, che ha comportato il fallimento di molti publisher e sviluppatori durante la generazione PlayStation 3 / Xbox 360, e a causa dell'affermarsi dell'online, che ha prima sovrapposto e poi imposto un nuovo paradigma: quella dei giochi come servizi, o GaaS (games as a service), produzioni che mettono al centro la comunità, frammentando e anestetizzando programmaticamente l'esperienza di gioco. Spiegare il nuovo modello è abbastanza semplice: se prima i videogiochi erano prodotti che venivano venduti completi ed esaurivano il loro ciclo commerciale poche settimane dopo il lancio, con il picco delle vendite che si concentrava nelle prime due settimane di permanenza nei negozi, i videogiochi servizi sono più fluidi, ossia sono pensati come progetti a lungo termine, in cui il lancio è solo l'inizio di un lungo percorso, fatto di DLC più o meno grossi, microtransazioni, aggiornamenti gratuiti, gestione della comunità con strumenti sempre più sofisticati e così via.

Con l'avvento delle tecnologie multimediali, il paradigma cambiò drasticamente.
Con l'avvento delle tecnologie multimediali, il paradigma cambiò drasticamente.

Insomma, i singoli titoli tendono a trasformarsi in ecosistemi autosufficienti, che mirano a trattenere i videogiocatori il più a lungo possibile al loro interno, come se fossero dei parchi tematici il cui biglietto d'ingresso dà accesso a tutte, o quasi, le attrazioni, ma in cui il visitatore viene bombardato dall'offerta di servizi collaterali che vanno dai ristoranti, ai negozi di gadget, agli asciugatori per le attrazioni acquatiche e così via.

I pro

Alcuni dei pro del modello dei GaaS sono evidenti e riguardano quasi tutti il fattore tempo, che è strettamente intrecciato con quello economico. Per il videogiocatore l'acquisto diventa di fatto un investimento, sia in termini monetari che di tempo, in cui spesso la singola spesa gli garantisce moltissime ore di gioco (basti pensare a un Destiny, o a Overwatch, o a Playerunknown's Battlegrounds). Nel caso di Overwatch, ad esempio, c'è chi ha pagato solo la cifra iniziale e ha continuato a giocare per mesi o più di un anno senza spendere un centesimo extra, mentre chi ha voluto si è fatto prendere dalla mania dei forzieri dando fondo alla carta di credito. Destiny ha richiesto un investimento monetario maggiore, ma diluito lungo molti mesi, mentre Destiny 2 deve ancora svelare tutte le sue carte.

Destiny 2 è tutto la sua comunità
Destiny 2 è tutto la sua comunità

Comunque a fronte di innumerevoli esempi fattibili, l'importante è che abbiate compreso il quadro generale, che ci conduce al secondo pro: le community. Più un gioco ha successo, più attira giocatori. Titoli come quelli citati nelle righe precedenti godono di comunità molto ampie che indirizzano lo sviluppo di nuovi contenuti e consentono più facilmente di fare o mantenere amicizie. I giochi servizi sono sempre incentrati intorno alle loro comunità e più queste crescono, più diventa interessante e coinvolgente farne parte per quello che possiamo considerare una specie di effetto gregge (che non va letto in senso necessariamente negativo), in cui publisher e sviluppatori diventano dei veri e propri pastori. Lo strumento principe per mantenere uniti i videogiocatori/pecorelle è sostanzialmente uno: il supporto. Per supporto intendiamo tutte quelle pratiche post-lancio di gestione software del prodotto: vi rientrano ad esempio la risoluzione dei bug residui e di quelli segnalati dagli utenti, l'aggiunta di nuovi contenuti, la modifica degli aspetti più controversi e così via. Con il modello tradizionale il supporto non durava che pochi mesi, e in alcuni casi era quasi nullo. Nei videogiochi servizi la mancanza di supporto è semplicemente impensabile, perché sarebbe letale per il prodotto. Quando viene a mancare il supporto a lungo termine è perché ci si trova di fronte a un insuccesso palese (prendete come esempio Mass Effect: Andromeda per il quale è stato chiuso il team ed è stata bloccata la produzione di nuovi contenuti dopo poche settimane dal lancio).

Overwatch: dopo un anno il supporto è sempre più grande
Overwatch: dopo un anno il supporto è sempre più grande

Un altro vantaggio di questo modello è l'incremento degli investimenti sul singolo titolo, con il relativo miglioramento dei valori tecnici, a fronte di una diminuzione dei rischi per publisher e sviluppatori. Questa affermazione, che ai più sembrerà paradossale, si fonda sulla constatazione che un brand progettato per durare dieci anni (pensate al già citato Destiny o al venturo Anthem) permette investimenti diluiti nel tempo, con oltretutto entrate monetarie costanti (in caso di successo), tramite la vendita del gioco in sé e dei vari contenuti extra. Inoltre, il modello GaaS consente di reagire più velocemente alle richieste del mercato o alle esigenze dei videogiocatori, evitando di concentrare gli sforzi su caratteristiche inutili o poco desiderate. Così ad esempio le espansioni di Destiny sono state progettate intorno ai feedback dell'utenza, risultando spesso più gradite del gioco base, mentre le lamentele relative alla casa d'aste di Diablo III ne ha portato, alla lunga, alla soppressione. Infine gli sviluppatori: avere una prospettiva di lavoro di anni e anni per supporto ed espansioni è sicuramente un fattore positivo, soprattutto dopo anni in cui i fallimenti di studi eccellenti sono stati all'ordine del giorno.

Ricapitoliamo i pro del modello giochi come servizi:
- L'acquisto diventa un investimento monetario e di tempo;
- Se il gioco ha successo si entra in comunità molto grandi;
- Il supporto viene garantito più a lungo;
- I valori produttivi spesso sono elevatissimi, ma comportano meno rischi per publisher e sviluppatori;
- Le espansioni sono molto grosse e quasi sempre migliorative rispetto al pacchetto base, grazie all'apporto dell'utenza.

I contro

Già dalla lettura del paragrafo precedente dovreste avere intuito alcuni dei fattori negativi del nuovo modello: concepire i videogiochi come servizi comporta necessariamente che siano strutturati in un certo modo. Intanto non è più possibile pensarli come opere finite, ma vanno frammentate per diversificare l'offerta. Oltretutto non è più concepibile che durino meno di un certo tempo, quindi li si rimpinza di contenuti riempitivi , basati sul grinding, che servono ad allungarli innaturalmente.

Chi gioca a un solo titolo per anni, è ancora un videogiocatore in senso stretto? O è più uno specialista?
Chi gioca a un solo titolo per anni, è ancora un videogiocatore in senso stretto? O è più uno specialista?

I videogiochi servizi rinunciano di fatto alla loro unicità, per farsi concorrenza sul fronte di un'offerta varia ed eventuale, in cui ogni caratteristica è solo uno dei tanti pezzi che compongono un quadro complessivo che somiglia più alla vetrina di un negozio che a un'esperienza. Non per niente siamo in anni di modalità intercambiabili, con giochi che si adattano a ogni tipo di gameplay per attirare più giocatori possibili (pensate alla modalità battle royale di Fortnite per farvi un'idea di quello che vogliamo dire). Da questo deriva un altro problema: i videogiochi vengono lanciati necessariamente incompleti, con microtransazioni e DLC che diventano strutturali ai prodotti e non più accessori. Lanciare un titolo completo significherebbe bloccarlo a livello commerciale: per questo ad esempio il single player, che per sue esigenze deve avere un inizio e una fine, è sempre meno giocato e si trova sempre più in una posizione marginale nei tripla A. È un servizio tra i tanti, a patto che il publisher decida di investirci sopra. Detto in altri termini: se l'obiettivo è trattenere in gioco il più a lungo possibile, una modalità che "finisce" diventa un peso, più che un valore. Da qui il passo verso il prossimo contro è davvero breve: i videogiochi servizi impoveriscono la cultura videoludica, invece di accrescerla. I motivi sono: che la privano di autori (un servizio non ha un autore, ma solo un fornitore); che specializzano i giocatori chiudendoli e riducendone le esperienze (se si passa un anno su un singolo gioco si diventerà sicuramente esperti di quello, ma ci si perderà tutto il resto) e che rendono impossibile, o molto difficile, la conservazione della loro memoria.

Un gioco progettato per durare dieci anni, sarà lanciato necessariamente incompleto
Un gioco progettato per durare dieci anni, sarà lanciato necessariamente incompleto

Pensateci bene: un giocatore che per anni giocherà solo a una manciata di titoli, tutti incentrati sulle comunità e tutti destinati a perdersi come lacrime nella pioggia quando saranno staccati i server, che giocatore sarà? Non chiediamo di creare una gerarchia, ma solo di capire che si tratterà di un soggetto molto diverso da colui che ha vissuto una serie di esperienze uniche, forse più brevi, alcune peggiori e altre migliori, ma tutte fondanti della sua persona. Lo sappiamo che qui si va sulla filosofia, ma è importante che capiate come il cambio di paradigma economico comporterà delle profonde modifiche all'industria tutta, compresa la cultura che le è nata intorno, che si manifesteranno con forza nei prossimi mesi e anni e che in parte sono già avvenute. Si possono accettare o rifiutare, ma l'importante, come sempre, è esserne consapevoli.

Ricapitoliamo i contro del modello giochi come servizi:
- Viene meno l'unicità dell'esperienza videoludica, con l'aggiunta di contenuti riempitivi che surclassano gli altri;
- I giochi vengono lanciati necessariamente incompleti, con microtransazioni e DLC che diventano strutturali ai prodotti e non più accessori;
- I videogiochi come servizi impoveriscono la cultura videoludica, privandola di autori;
- I videogiochi come servizi specializzano i videogiocatori, riducendo la cultura specifica del medium;
- Fra venti anni dei giochi servizi di oggi saranno rimasti solo immagini e filmati.