Ormai lo sanno tutti: pochi giorni fa l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha annunciato l'inserimento della dipendenza dai videogiochi nell'undicesima revisione dell'International Classification of Diseases (ICD), sistema di classificazione in cui vengono inquadrate tutte le malattie diagnosticabili secondo l'agenzia dell'ONU. Il diffondersi della notizia ha generato un po' di confusione, figlia per lo più degli intramontabili preconcetti con cui spesso affrontano i videogiochi media e opinionisti di stampo generalista. Di conseguenza è arrivata una levata di scudi da parte di coloro i quali passano diverse ore in compagnia dell'intrattenimento elettronico, derivata della paura di vedersi additare come dei malati di mente affetti da "gaming disorder" (questa la definizione ufficiale in inglese) a causa del loro hobby preferito. Un atteggiamento difensivo per certi versi condivisibile, visti i preconcetti di cui sopra, che però non deve indurre nell'errore di affrontare l'argomento legato alla dipendenza dai videogiochi con chiusura. Al di là delle dosi di estremismo e partigianeria a cui ci ha abituati Internet, tentare di sminuire o liquidare in modo superficiale la decisione dell'OMS è a nostro avviso controproducente. Vale infatti la pena capire di cosa si parla davvero quando si cita la dipendenza dai videogiochi, in modo da essere consapevoli in prima persona dei possibili effetti che quella che il più delle volte è "solo" una straordinaria passione può avere su tutti noi quando diventa una patologia.
La definizione di dipendenza dai videogiochi
Partiamo dalla base, e cioè dal modo in cui l'OMS ha definito la dipendenza dai videogiochi. Chiariamo prima di tutto che questa non si misura in ore: nessuno sarà mai definito da un punto di vista medico dipendente dai videogiochi per essersi chiuso in casa un fine settimana a giocare a God of War. Che si sia trattato dell'avventura di Kratos o di altro, è capitato a tutti quanti noi almeno una volta nella vita di appassionarci a un gioco, passando intere giornate in sua compagnia. La dipendenza dai videogiochi misurata in ore è solo quella maturata dai preconcetti di cui parlavamo poco fa, mentre quella vera e propria, leggibile sul sito ufficiale dell'OMS, suona in tutt'altro modo. Si parla infatti della perdita del controllo da parte della persona sull'attività di gioco, la quale finisce per assumere una priorità eccessiva rispetto ad altri interessi e bisogni quotidiani. Nei casi peggiori, può addirittura arrivare il punto in cui l'impegno videoludico si intensifichi anche di fronte all'insorgenza di conseguenze negative, sulle quali si basa il punto centrale del discorso.
Nella classificazione dell'OMS si legge inoltre che il modello comportamentale deve essere grave al punto da risultare in una compromissione significativa in ambito personale, familiare, sociale, educativo, lavorativo o in altre importanti aree funzionali, ed evidenziato per almeno 12 mesi. Non si parla quindi di chiudersi in casa per un weekend, ma di un eccesso protratto nel tempo perfettamente paragonabile ad altri tipi di dipendenze in termini di effetto. Quante volte abbiamo sentito di persone che a causa dell'abuso di alcool, o per il gioco d'azzardo, hanno perso il loro lavoro perché non erano più in grado di portarlo avanti in modo proficuo giorno dopo giorno? Quante finiscono per sfasciare la propria famiglia a causa di una dipendenza non affrontata? Di casi ce ne sono purtroppo tanti, e alcuni di essi sono anche legati ai videogiochi. Se teniamo presente quanto scritto in questo paragrafo, la decisione dell'OMS di aggiungere il "gaming disorder" all'ICD-11 non sembra poi così sbagliata.
No alla demonizzazione dei videogiochi
Il fatto che la dipendenza dai videogiochi sia stata formalizzata dall'OMS scopre purtroppo il fianco a chi non perde occasione per demonizzare l'intrattenimento elettronico, ma non deve indurre noi videogiocatori a fare lo stesso tipo di errore per difendere il nostro passatempo preferito. È senza dubbio giusto opporsi fermamente a chi non aspetta che una scusa per sparare a zero contro i videogiochi, ma nel caso specifico la definizione di "gaming disorder" deve essere l'inizio di un percorso d'aiuto destinato sia a chi si ritrova affetto dalla dipendenza, sia a chi deve prendersi cura di tali soggetti anche in ambito domestico. Così come non ci sogneremmo mai di prendercela col vino perché esiste qualcuno che ne abusa, allo stesso modo è sbagliato prendersela coi videogiochi perché esistono persone che ne sono dipendenti. Anche perché la problematica reale è rappresentata da ciò che si cela dietro la dipendenza, portando chi ne è affetto alla ricerca di un appagamento di natura distorta: sotto quest'ottica, la ricerca ossessiva di un high score e il suo ottenimento in ambito videoludico è uguale a consumare cibo spazzatura per sentirsi meglio. Teniamo presente che da un tipo di dipendenza si può anche passare a un'altra, come accade a chi dopo aver smesso di fumare inizia a bere più del dovuto.
Capita anche che le dipendenze finiscano per convivere, come succede a chi per restare sveglio a lungo per rimanere davanti a un videogioco finisce per abusare di bevande energetiche o alimenti poco salutari. È quindi il concetto stesso di dipendenza che necessita di essere affrontato da parte di persone specializzate nel trattamento dei disturbi comportamentali, al di là di quello che è l'oggetto effettivamente legato a essa. Non mettiamo in dubbio che in ambito videoludico ci siano dinamiche volte a generare dipendenza in chi si trova a interagire con esse: l'esempio tipico è quella delle casse premio, più volte accomunate proprio al gioco d'azzardo. Delle "loot box" abbiamo parlato ampiamente in passato, per cui non ci dilungheremo oltre in questa sede. Ci limitiamo a dire che tutto ciò che riesce a dare piacere ed è in grado di attivare il sistema della ricompensa del cervello è una potenziale fonte di disturbo: i videogiochi, coi loro meccanismi, non fanno eccezione. Perché essi diventino una dipendenza c'è però bisogno di una qualche forma di predisposizione, un terreno fertile nel soggetto di turno: è questo l'aspetto da approfondire, per evitare che la dipendenza da videogiochi possa mutare in forme di dipendenza più pericolose, non solo per i rapporti sociali ma anche per la salute.
Conclusioni
Come abbiamo detto, il clamore scatenatosi in seguito alla pubblicazione della notizia riguardante l'OMS è figlio del modo approssimativo con cui spesso si parla dei videogiochi, storicamente trattati dai media e da alcune personalità pubbliche come capro espiatorio per spiegare qualsiasi genere di nefandezza accaduta. Le dinamiche che portano ad avere un rapporto distorto con cose di cui tante persone riescono a godere con equilibrio sono molto profonde, e per questo richiedono la massima attenzione: una volta attestato che a causa dell'eccessivo attaccamento ai videogiochi si possono perdere affetti e lavoro, studiare questo tipo di dipendenza appare un atto dovuto, considerando anche il giro d'affari che ruota ormai intorno all'intrattenimento elettronico. L'importante è farlo in modo collaborativo, senza vedere l'associazione tra le parole "dipendenza" e "videogiochi" come l'unione tra due entità maligne da combattere a tutti i costi. Da questo punto di vista, il nostro auspicio è che passato il clamore iniziale la decisione dell'OMS possa spingere chi continua ancora oggi a trattare i videogiochi con superficialità a fermarsi un attimo per approfondire l'intrattenimento elettronico e tutto ciò che lo riguarda. Alla fine, si torna sempre allo stesso punto: la notizia legata alla dipendenza dai videogiochi fa tre volte il giro del mondo, mentre studi ed esperimenti che a più riprese ne hanno confermato le proprietà salutari e terapeutiche - anche quando si parla di altre forme di dipendenza - vengono spesso ignorati perché in contrasto col mito dei videogiochi che fanno male.