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Japan Studio, una storia di coraggio che ci ha lasciato in eredità il Team Asobi

Ripercorriamo la storia del leggendario studio di sviluppo di Sony attraverso cinque momenti di splendore e di coraggio.

SPECIALE di Fabio Di Felice   —   02/10/2024
Il logo di Japan Studio

Negli anni '90, quello dei videogiochi è un mondo in fermento. Scalpitante, quasi inafferrabile. Sono tempi di grande cambiamento, mutevoli, incostanti, specialmente da quando Sony Computer Entertainment si è affacciata sul mercato. Come un terremoto, questo evento ha sconvolto certi equilibri presentando un modo nuovo di fare videogiochi. All'improvviso il medium sembra uscire fuori da quel circolino nel quale è rimasto chiuso a lungo, e inglobare talenti che arrivano dai campi più disparati della cultura: registi, scrittori, musicisti e artisti giapponesi vedono nel virtuale un nuovo strumento per esprimere la loro sensibilità. Molti di loro finiscono a lavorare nel primo studio interno di Sony: il Japan Studio.

Nel corso degli anni, c'è stata una parola d'ordine ricorrente che ha animato tutte le produzioni di questo studio: coraggio. Si è dato spazio a forme di sperimentazione a volte bizzarre (come un cane che rappa con una cipolla...), altre volte capaci di rivoluzionare o inventare nuovi generi. Questa è la storia di un gruppo di artisti che, con il crudo talento della gioventù, ha messo insieme alcuni dei videogiochi più iconici e di successo di un'epoca. È la storia del Japan Studio attraverso cinque degli innumerevoli attimi di splendore che ha conosciuto, fino alla chiusura definitiva nel 2021.

PaRappa the Rapper, il coraggio di inventare

I primi anni del Japan Studio sono di pura sperimentazione. C'è margine per proporre idee nuove, fresche, mai sentite prima. Come un magnete irresistibile, attrae dentro di sé artisti che, fino a quel momento, poco hanno avuto a che fare con i videogiochi. Tra di essi c'è Masaya Matsuura, musicista famoso per il suo ruolo nel duo J-Pop Psy-S.

Immagini che puoi sentire: kick, punch, it's all in the mind!
Immagini che puoi sentire: kick, punch, it's all in the mind!

Sotto, sotto, Masaya oltre a essere una star della musica è anche uno smanettone che ama pasticciare con l'elettronica e il digitale. È uno che pensa fuori dagli schemi. E questo è chiaro guardando alla sua creatura. Chi altro avrebbe potuto pensare a qualcosa di così assurdo come PaRappa the Rapper, ovvero quello che viene considerato come il primo vero rhythm game della storia?

Prima di Matsuura, in effetti, non c'era niente di simile. Il musicista passa attraverso diverse idee prima di approdare a quella giusta. È difficile anche solo definirne il senso. Nella sua testa, in effetti, PaRappa non è proprio un videogioco, è piuttosto una sorta di album musicale interattivo che intercetta, tra l'altro, un genere nascente come il rap. Tutti i testi vengono scritti in giapponese da Matsuura e poi tradotti dal rapper Ryu Watanabe che doppierà buona parte dei personaggi. La vera rivoluzione infatti è possibile grazie al maggior spazio disponibile sul supporto fisico scelto per PlayStation, il CD-ROM, che può ospitare canzoni con tracce vocali e animazioni all'avanguardia. A tal proposito, PaRappa the Rapper è il primo videogioco prodotto da Sony a utilizzare la tecnologia del motion capture.

Prendere lezioni di guida da un'alce è ordinaria amministrazione in PaRappa the Rapper
Prendere lezioni di guida da un'alce è ordinaria amministrazione in PaRappa the Rapper

Anche il ballo diventa quindi componente fondamentale di una sceneggiatura assurda che fa capo a una storia abitata da personaggi irresistibili. Su tutti spicca PaRappa, il cagnolino protagonista innamorato di una margherita antropomorfa, che all'inizio fatica un po' a trovare la sua forma definitiva. In una delle prime proposte ha le sembianze di un gambero. Quando esce, nel 1996, nemmeno la critica sa come approcciarlo. Comunicarlo è difficile per tutti, anche per Matsuura, che non sa come raccontare una formula così unica al pubblico. Il grande risultato di PaRappa the Rapper lo trasforma da un acclamato musicista a un game designer affermato.

Gran Turismo, il coraggio di osare

Una delle caratteristiche del Japan Studio è la straordinaria varietà e quantità dei team interni che ci lavorano. E della qualità dei singoli progetti che nascono. Tra questi c'è anche il più ambizioso simulatore di guida della storia. Un videogioco che trasuda passione e amore, ed è a conti fatti il sogno nel cassetto del suo ideatore, Kazunori Yamauchi.

Gran Turismo è stato un punto di svolta epocale per il genere dei videogiochi di corsa
Gran Turismo è stato un punto di svolta epocale per il genere dei videogiochi di corsa

Polys Entertainment, che diventerà nel 1998 Polyphony Digital, è un team piccolo, contenuto, che ha realizzato due racing game particolarmente apprezzati dagli utenti PlayStation: Motor Toon Grand Prix 1 e 2. Sono ancora al lavoro sul secondo, quando Yamauchi ritorna all'attacco con un vecchio tormentone. Un gioco di corse profondamente realistico, che ha l'ambizione di presentare un parco automobili sconfinato: Gran Turismo.

Vecchio tormentone perché in realtà Yamauchi l'ha già proposto a Sony. L'idea di uno strano ibrido che unisca lo stile graffiante degli arcade e il piglio rigoroso dei simulatori era stata giudicata intrigante, sì, ma il budget richiesto era un rischio troppo grande senza garanzie di vendita. E così, Yamauchi e il suo team, composto da una dozzina di persone, avevano cominciato a lavorare a Motor Toon Grand Prix. Un banco di prova a tutti gli effetti, perché quando finalmente Yamauchi ottiene luce verde per Gran Turismo, il team si trova per le mani un sistema di fisica delle auto già perfettamente collaudato.

Kazunori Yamauchi disse in un'intervista che, dopo cinque anni di sviluppo, non riusciva a vedere la fine del progetto Gran Turismo
Kazunori Yamauchi disse in un'intervista che, dopo cinque anni di sviluppo, non riusciva a vedere la fine del progetto Gran Turismo

Cos'è che rende così unico Gran Turismo? Nel 1997 esistono già videogiochi di automobili che hanno roster contenenti auto reali, e che permettono ai giocatori di provare l'ebbrezza di guidare una supercar. Per esempio The Need for Speed, del 1996. Gran Turismo però ha dalla sua i numeri. Numeri sconfinati. Basti pensare che nell'appena citato gioco di Electronic Arts è possibile guidare nove automobili diverse, mentre Gran Turismo ne propone centoquaranta. E le vetture non si limitano a quelle da competizione: si possono guidare anche i modelli civili, le stesse automobili che i giocatori possono incrociare in strada.

Com'è possibile un divario numerico di questo tipo? Quando in un'intervista gli chiedono quanto è stato difficile creare Gran Turismo, Yamauchi dà una risposta destinata a passare alla storia: "Non riuscivamo a vederne la fine.

Ho calcolato che sono tornato a casa solo quattro giorni all'anno". Alla fine del tunnel, però, ci sono dieci milioni di copie vendute, che hanno reso GT il videogioco più venduto di sempre su PlayStation.

ICO, il coraggio di tornare all’essenziale

Una donna e un bambino si tengono per mano mentre camminano in un bosco. Basta questa pubblicità giapponese per scatenare la fantasia di uno dei più grandi poeti videoludici di sempre, Fumito Ueda. Soprattutto perché gli ricorda di uno dei suoi anime preferiti, Galaxy Express 999, dove Maetel, una donna adulta, fa da "guardiana" al giovane Masai. È vero che Ueda rivede in quell'immagine molte altre suggestioni, da Another World a Prince of Persia, ma l'idea che gli si forma in mente è pura e semplice: un ragazzo e una ragazza si incontrano, non parlano la stessa lingua e quindi non riescono a capirsi, ma si prendono per mano e scappano da una situazione di pericolo.

La forza di ICO è racchiusa in questa immagine: due mondi che si incontrano
La forza di ICO è racchiusa in questa immagine: due mondi che si incontrano

Fumito Ueda e il suo piccolissimo gruppo sono un altro dei micro team interni del Japan Studio. Nel 1997, quando iniziano a lavorare sul nuovo videogioco, quello che poi diventerà ICO, lo fanno con in mente un'uscita sulla prima PlayStation. Quattro anni dopo fanno un salto di piattaforma e si spostano su PlayStation 2 per ragioni tecniche.

Il loro è un videogioco non convenzionale in ogni senso possibile. Hanno seguito un metodo di lavoro che, nelle interviste, Ueda chiamerà design per sottrazione. In pratica la sua idea è di realizzare un'opera minimalista: senza interfaccia, con meccaniche molto semplici, pochi personaggi e ancor meno linee di dialogo. Un solo tipo di nemico. È un concetto estraneo al mondo dei videogiochi dei primi anni 2000. Ueda stesso si chiede se un dogma così estremo sarà ben accettato dai videogiocatori: non c'è un punteggio, non ci sono statistiche o meccaniche che "sporcano" l'idea centrale del videogioco. Addirittura i due protagonisti, ICO e Yorda, non riescono a capirsi, parlano due lingue differenti. Il loro rapporto si concentra esclusivamente su quelle mani che si stringono, si lasciano e poi si afferrano ancora.

Ueda continuerà a coltivare la sua idea di videogioco minimalista in Shadow of the Colossus e in The Last Guardian
Ueda continuerà a coltivare la sua idea di videogioco minimalista in Shadow of the Colossus e in The Last Guardian

ICO non è un successo commerciale, ma è un plebiscito di critica e di pubblico. E soprattutto diventa in fretta un cult. Così, come lo diventeranno i suoi seguiti spirituali: Shadow of the Colossus e The Last Guardian, entrambi prodotti da Japan Studio. Il coraggio di Ueda e di ICO di essere fedeli a sé stessi, a ogni costo, ha ispirato un'intera generazione di game designer.

Forbidden Siren, il coraggio di ricominciare

A volte il confine tra coraggio e sconsideratezza è sottile, al punto che è difficile comprendere molte delle scelte che animano i cuori degli sviluppatori giapponesi in questo periodo. Su tutti, Keiichiro Toyama, l'uomo che ha appena regalato a Konami una saga che vale oro: Silent Hill. Dopo il successo del suo videogioco, però, Toyama e parte del Team Silent hanno deciso di disertare, di andare via da Konami, fuggire via da un sequel che gli è già stato chiesto a gran voce. E di approdare a Japan Studio. Le loro figure professionali vengono ridimensionate, ma è lo scotto da pagare per una decisione allo stesso tempo coraggiosa e sconsiderata.

In Forbidden Siren vivono molte delle suggestioni nate in Silent Hill
In Forbidden Siren vivono molte delle suggestioni nate in Silent Hill

Come si è detto, questi sono anni di grandi opportunità, e non ci vuole molto tempo prima che una gigantesca offerta si presenti alla porta di Toyama: formare un nuovo team e lavorare a un videogioco horror. Il Project Siren (che diventerà poi Team Gravity) annovera tra le sue fila anche Naoko Sato, designer delle creature in Silent Hill, che qui sarà impegnata come scrittrice, e Isao Takahashi, ex art director dell'horror Konami.

Toyama e i suoi hanno tutta l'intenzione di non buttare al vento le seminali intuizioni avute con Silent Hill e di convogliarle in una storia più autentica, che sia ambientata in un posto che conoscono molto bene, a differenza degli Stati Uniti: il Giappone rurale, protagonista di innumerevoli leggende metropolitane, come quella del Villaggio Sugisawa, un luogo fantasma abitato dagli spettri dei suoi cittadini. Per il suo nuovo videogioco, Toyama parte proprio da qui e dal racconto di Lovecraft, L'ombra su Innsmouth. Il risultato si intitola Forbidden Siren, un titolo destinato a diventare un cult e ad ammaliare una nicchia di appassionati forse ancora più dura e pura di quella di Silent Hill.

Gravity Rush è un cambio radicale rispetto ai videogiochi precedenti di Keiichiro Toyama
Gravity Rush è un cambio radicale rispetto ai videogiochi precedenti di Keiichiro Toyama

Il Team Gravity non si fermerà all'horror. Con un colpo di coda spariglierà le carte in tavola lanciandosi in un genere lontanissimo dalla precedente produzione e che ha a che fare con l'amore di Toyama per il fumettista francese Moebius: Gravity Rush. Ancora senza paura, seguendo il suo cuore.

Team Asobi, il coraggio di sperimentare

Quella del Japan Studio è una storia lunga, piena di traguardi, ma con un finale amaro. Nel 2021, dopo l'abbandono di figure chiave come Ueda, Toyama e Masaaki Yamagiwa (producer di Bloodborne e Tokyo Jungle), il Japan Studio viene formalmente chiuso da Sony. In realtà viene riorganizzato all'interno di uno dei numerosi studi interni: il Team Asobi.

In Astro Bot vengono celebrate moltissime mascotte nate sotto l'egida del Japan Studio
In Astro Bot vengono celebrate moltissime mascotte nate sotto l'egida del Japan Studio

Nato nel 2012, Asobi ha già in nuce una particolarità: è un piccolo team giapponese capitanato da un francese, Nicolas Doucet. Questa caratteristica, questo incontro culturale, gli dà sin dagli albori un carattere unico. In Asobi vive il coraggio di sperimentare, sviluppando progetti che ruotino intorno alle peculiarità del nuovo hardware delle console Sony. Un po' come fece un'altra pietra miliare del Japan Studio, Ape Escape, un titolo creato con in mente il nuovissimo DualShock di PlayStation.

Il primo videogioco del team Asobi è The Playroom, che mostra le potenzialità tecnologiche della PlayStation Camera e del DualShock 4, per poi passare al PlayStation VR con Playroom VR e Astro Bot Rescue Mission, da molti considerato il miglior videogioco del parco titoli della periferica. Saranno sempre loro ad aprire le danze dell'attuale console Sony nel 2020, con Astro's Playroom, in grado di esaltare tutte le caratteristiche sensoriali del DualSense.

Anche The Legend of Dragoon, storico JRPG prodotto da Japan Studio, viene celebrato in Astro Bot!
Anche The Legend of Dragoon, storico JRPG prodotto da Japan Studio, viene celebrato in Astro Bot!

Questi progetti confluiranno nel loro titolo più recente: Astro Bot, un platform adventure che ha messo d'accordo critica e pubblico. È ancora la voglia di divertire, spensierata, scanzonata e genuina, che muove i passi dei loro robottini in un parco giochi a tema, che è anche la celebrazione della ricorrenza dei 30 anni del brand PlayStation. Una festa che è iniziata con Japan Studio e che vede protagonista il suo erede più prossimo, ma sempre animata dallo stesso straordinario coraggio.