Ci sediamo, come al solito virtualmente, alla scrivania e aspettiamo di collegarci per l'intervista. I convenevoli sono piuttosto brevi, non è la prima volta che ci ritroviamo per parlare di Life is Strange: True Colors sebbene le persone non siano sempre state le stesse. Al terzo giro diventa difficile trovare un argomento di conversazione che non sia già stato approfondito, o non risulti sciocco avendo scavato a fondo sia nel gioco originale sia nel DLC Wavelengths.
Decidiamo di improvvisare, come un GM che si trova davanti giocatori navigati capaci di prevedere ogni sua mossa, pronti davanti a qualunque consueto stratagemma. Optiamo per un attacco diretto, quello della verità, e ammettiamo, arrivati a quel punto, di aver esaurito le domande: la risata è tanto unanime quanto fragorosa, il ghiaccio che precede sempre ogni intervista si spezza e all'improvviso è come essere davvero lì, assieme, con la leggerezza di chi sembra conoscersi da sempre e invece si è visto solo attraverso uno schermo per poco.
C'è Katy "Steph" Bentz, con la quale abbiamo già avuto un'interessante chiacchierata, che ai nostri occhi è un perfetto chierico - da non sottovalutare, abbiamo testimonianze dirette di chierici che hanno inferto un gloriosissimo colpo di grazia a Strahd von Zarovich. Assieme a lei c'è Erika "Alex" Mori, che è un bardo non solo di diritto, visto il ruolo coperto nel terzo capitolo del gioco, ma perché le sue parole hanno colpito particolarmente a fondo. Infine, a fare da ponte tra loro, Felice Kuan, il cui ruolo di sceneggiatrice la pone senza dubbio sotto l'archetipo del Maestro di Battaglia. E poi ci siamo noi, cantastorie di una compagnia errante, in cerca di qualcosa da raccontare e pronti a mettere a disposizione le nostre capacità per restituirvi la loro avventura, in quel lungo viaggio che è stato Life is Strange: True Colors.
Mettetevi comodi, dunque, e buona lettura.
Guardare al presente
Se avete mai terminato un gioco con una lunga storia e siamo sicuri che l'avete fatto, allora saprete che guardarsi indietro ripercorrendo la strada che vi ha condotto fin lì ha la bellezza dolceamara delle storie che si sono concluse ma, al contempo, hanno lasciato dentro di voi un ricordo indelebile: siete cresciuti con i vostri alter ego, siete persino stati una cosa sola e vi siete dati tanto a vicenda, magari senza capirlo se non alla fine quando si fanno i conti con un'avventura durata mesi, forse addirittura anni. O cinque, come nel caso di Katy la cui "sessione" è cominciata in maniera marginale con Life is Strange: Before the Storm e si è, con sua sorpresa, evoluta in Life is Strange: True Colors.
Sapere che sarei tornata a vestire i panni di Steph in True Colors era qualcosa che non pensavo sarebbe mai successo, ci racconta, e vedere quanto fosse evoluta, fino a che punto si fosse esteso il suo ruolo quando credevo sarebbe stata un semplice cameo... è arrivata a essere non solo una scelta romantica, ma un pezzo importante nella vita di Alex, un personaggio così di spessore da essersi guadagnata un suo DLC dove i giocatori l'hanno conosciuta meglio. È stato straordinario.
Quando si interpreta un personaggio, a maggior ragione se non l'abbiamo scritto noi, può capitare di entrare inconsapevolmente in sintonia e non si tratta di una questione recitativa, quanto proprio del fatto di rispecchiarci in lui o lei. Katy ci ha già accennato di ritrovarsi in alcuni degli aspetti di Steph ma è stato con Wavelengths che loro due si sono intrecciate e ha potuto spiegare meglio come: il DLC ci racconta una Steph diversa da quella che siamo stati abituati a conoscere e della quale True Colors ha mostrato una piccola parte. Siamo di fronte a una persona che non ha mai davvero dimenticato gli eventi di Arcadia Bay, a prescindere dalla scelta che abbiamo fatto, perché comunque sia andata ha perso qualcuno. Un trauma che si porta ancora addosso e la spinge alla costante ricerca di qualcosa di più; qualcosa che forse nemmeno lei sa davvero cosa possa essere, ma è un bisogno che nasce da dentro e al quale sente di non poter rifiutare - almeno finché nella sua vita non arriva Alex. Lo vediamo chiaramente, nell'anno che precede il loro incontro, il vuoto che cerca di colmare, ed è qui, in un certo senso, che si intrecciano lei e Katy.
Io come persona, come Katy Bentz, guardo sempre avanti e non vivo nel presente. Non guardo a cos'ho adesso, qui e ora, né riesco a sentirmi grata per questo: penso a cosa succederebbe se mi trasferissi, se facessi altro eccetera eccetera. Se c'è qualcosa che Steph mi ha insegnato, se ho imparato una "lezione" dall'averle dato voce, è stato invece fermarmi e dire no, guarda a quello che hai ora perché proprio quando meno te lo aspetti tutto potrebbe cambiare. Non aspettare che le cose accadano, non pensare a come sarebbe se, tuffati in quello stai vivendo adesso. Non possiamo dire con certezza se si sia commossa, a questo punto, ma è stato evidente il segno che Steph ha lasciato su di lei e quanto sia grata dell'occasione. Tutti a Deck Nine hanno fatto un ottimo lavoro nel costruire il personaggio.
Maturazione professionale
Il viaggio di Felice è stato diverso, più didattico potremmo dire, ma non per questo meno interessante. D'altronde, personaggi come Alex e Steph non potrebbero esistere se dietro non ci fosse qualcuno a dare loro una direzione, perciò l'archetipo scherzosamente assegnatole ci è sembrato adeguato: assieme al resto della squadra, Felice ha diretto e pianificato lo sviluppo della storia come, in chiave più drastica, si farebbe con una battaglia. Perché sviluppare un videogioco, al di là della passione, questo è: un costante conflitto con difficoltà previste e non, di fronte alle quali bisogna dimostrarsi capaci di reagire trovando la soluzione migliore. Life is Strange: True Colors è stato, dal punto di vista di chi l'ha plasmato da zero, un'occasione per mettersi alla prova, rifinire le proprie conoscenze per poi concentrarle in ciò che si sarebbe voluto raccontare. È stato un percorso di crescita anche questo, solo più rivolto verso la maturazione professionale.
Per me come sviluppatrice e per tutti noi come studio avere a disposizione una storia originale ci ha permesso di perfezionare quello a cui teniamo di più e cosa vogliamo dire. Siamo riusciti a portare su schermo un personaggio principale attraverso il quale è stato possibile parlare della difficile relazione con i genitori, delle emozioni e quanto possono essere complicate, del fatto di affrontare a viso aperto persone che hanno fatto del male e reagire, rispondere a voce alta seguendo la rabbia o il perdono. Le diverse occasioni avute all'interno del gioco ci hanno dato modo di andare fino in fondo e capire cosa davvero volessimo dire. Personalmente sono cresciuta molto durante questo processo, imparando a conoscere meglio me stessa come sviluppatrice e comprendere cosa, in generale, desidero raccontare.
Riconoscere le emozioni
L'ultima parola va a Erika, il cui racconto, come vi abbiamo anticipato, ha colpito profondamente non tanto perché Katy o Felice non siano state in grado di trasmetterci qualcosa, quanto per una questione di sintonia. Proprio come Erika si è ritrovata nei discorsi delle colleghe, lo stesso abbiamo fatto noi con lei - d'altronde, chi meglio di un bardo poteva far breccia con le parole? Il suo è stato un viaggio le cui radici affondano più di quanto lei stessa, per ammissione, avesse creduto. Life is Strange: True Colors è stato un'ancora di salvezza che non ho riconosciuto come tale in quel momento. Da parte nostra c'è, soprattutto ascoltando sue pause iniziali, la consapevolezza di assistere a qualcosa di molto personale perché entrano in gioco quelle che sono il nucleo dell'intero nuovo capitolo della serie: le emozioni.
Sono rientrata da poco nel mondo della recitazione, un modo per non finire imprigionata dal mio loop lavoro casa, casa lavoro. Silvia Gregory è stata una delle mie insegnanti di recitazione ed è inoltre una direttrice del casting, tra cui quello di True Colors, e ha cambiato la mia vita quando mi ha mandato l'audizione. Non avevo la minima idea di dove mi stavo cacciando, non ero mai stata a un'audizione con tutto quello che ne consegue e non ho dubbi che fossi, allora, un vero e proprio casino. True Colors mi ha davvero cambiato la vita: le persone con cui ho lavorato e con le quali ora ho rapporti d'amicizia, ognuna di loro a modo proprio ha contribuito a plasmarmi facendomi diventare l'adulta che sono. Perché mi hanno aiutato ad abbattere quella barriera insormontabile nei confronti delle mie stesse emozioni.
Ho imparato come farlo in maniera sicura e come raggiungerle, toccarle, per lavoro, ma poi tornare ad averne il pieno controllo. Non credo avessi davvero realizzato quanto mi stessi trattenendo sia con me stessa sia con gli altri. Adesso instauro relazioni che scopro e approfondisco giorno dopo giorno, perché non c'è davvero una fine, e risultano molto più genuine nella loro vulnerabilità, nella loro fragilità. True Colors ha cambiato la mia vita, è una certezza incrollabile, l'ha fatto con una profondità maggiore di quella che avrei mai potuto chiedere ed è stato merito delle persone coinvolte nel progetto. Il momento in cui l'arco narrativo di Alex si è spezzato, quando il giocatore è stato messo di fronte a se stesso, dopo essere stato per tutto il tempo burattinaio delle emozioni altrui, ecco lì è dove il gioco si è fatto metanarrativo: perché sei passato tu sotto i riflettori, tu sei stato spinto a guardarti dentro mentre, invisibile ma presente, aleggiava una domanda. Cosa mi dici della tua vita? Io l'ho vissuto sulla mia pelle e per questo non posso che ringraziare chiunque abbia partecipato a True Colors, perché la mia vita l'ha cambiata davvero.