Guerre Stellari non è mai stato solo spade laser, Forza, Jedi, Sith e Skywalker. La bellezza di questo immaginario sta proprio nella sua vastità, una pluralità di idee, situazioni e scenari rappresentata per anni solo dal multimediale Universo Espanso attraverso romanzi, fumetti e videogiochi. Negli ultimi anni la TV ha cominciato a esplorare gli angoli più reconditi di Star Wars, passando per i Mandaloriani, la dicotomia tra il bene e il male ai tempi dell'Alta Repubblica in The Acolyte, le faide tra i signori del crimine in The Book of the Boba Fett, le cospirazioni di Andor e così via.
Skeleton Crew è un nuovo tentativo di raccontare Star Wars da una prospettiva diversa, quella dei film anni '80 in stile Amblin Entertainment: i vari Explorers, Navigator, I Goonies o E.T. con cui sono cresciuti molti lettori/spettatori sulla quarantina prima che si cominciasse a parlare di genere young adult e Netflix s'inventasse la moda Stranger Things. Una scommessa voluta fortemente dai Jon Watts e Christopher Ford di Spider-Man: Homecoming e che ha avuto la benedizione di Dave Filoni e Jon Favreau, diventando parte del cosiddetto Mandoverse.
Insomma, abbiamo visto i primi tre episodi di Skeleton Crew con un misto di diffidenza e trepidazione: quante possibilità c'erano di raccontare Star Wars attraverso gli occhi di un pugno di bambini, rievocando le atmosfere fantastiche di quei film che ci hanno accompagnato in un momento molto più ingenuo e smaliziato di questa catastrofica tempolinea in cui stiamo vivendo? Pochissime. Eppure...
I Goonies di At Attin
Saremo del tutto onesti: abbiamo cominciato a sorridere nei primissimi minuti di Skeleton Crew e abbiamo smesso solo ai titoli di coda del terzo episodio, quando la nostra espressione è mutata in una smorfia per la consapevolezza di dover aspettare almeno altre due settimane per scoprire una storia che ci ha tenuti incollati allo schermo con un equilibrio praticamente perfetto. Skeleton Crew è una serie che fa tornare bambini, che fa esattamente quello che deve fare un intrattenimento da escapismo come Star Wars e che stupisce e meraviglia come facevano i film di altri tempi nonostante le loro ingenuità.
I trailer di Skeleton Crew hanno fatto storcere il naso a molti spettatori che vedevano nel pianeta di origine dei bambini protagonisti un riflesso dei sobborghi americani: in effetti l'incipit è a dir poco straniante, poiché si passa da un arrembaggio piratesco nello spazio - anche piuttosto violento - al contesto urbano completamente diverso del pianeta At Attin dove i protagonisti vanno a scuola, fanno esami per fare carriera nella Repubblica e, in generale, vivono vite normali con i loro problemi da men che adolescenti.
Wim, per esempio, ha un rapporto difficile col padre vedovo - che richiama direttamente La storia infinita, se vogliamo - e ha un amico un po' mammone, Neel, col quale condivide la passione per le leggendarie avventure dei Jedi. Fern è una ragazzina scapestrata che deve nascondere i suoi veri interessi a una madre oppressiva, sgattaiolando fuori di casa per dedicarsi alle hoverbike da corsa con la sua timida amica KB, che nasconde lo sguardo dietro un visore ispirato sfacciatamente a quello di Geordi La Forge in Star Trek. Ragazzini molto diversi, sotto certi aspetti, che per un motivo o per altro - non staremo a spoilerare - finiranno in un'astronave che prenderà il volo e l'iperspazio, intrappolandoli dall'altra parte della galassia.
I film degli anni '80 funzionavano perché all'epoca non avevamo le tecnologie odierne, non c'erano i telefoni cellulari e non si potevano aggirare gli ostacoli che i giovani protagonisti dovevano affrontare per crescere nel corso della storia: se Google Maps fosse esistito nel '86, probabilmente Navigator sarebbe durato molto meno. Quindi Watts e Ford si sono inventati uno stratagemma per ostacolare il ritorno a casa dei bambini, un escamotage geniale che rappresenta un inedito nell'universo di Star Wars e farà impazzire gli appassionati di canoni e continuità: abbiamo trovato questa soluzione molto coraggiosa, soprattutto perché giustifica certe scelte visive e mette in discussione quel che sappiamo della galassia lontana lontana.
Non è il solo modo in cui il regista di Spider-Man: Homecoming e il suo collaboratore preferito scavano nella mitologia di Star Wars. La nuova serie TV si ispira vagamente anche a L'isola del tesoro di R.L. Stevenson, all'immaginario piratesco - c'è un (fighissimo) droide che si chiama SM-33 come il nostromo di Capitan Uncino, da noi Spugna - e ai Pirati dei Caraibi, con tanto di pianeta che fa il verso a Tortuga (Port Borgo) e un cammeo, l'unico, che collega Skeleton Crew al Mandoverse, e cioè il pirata Vane comparso in un paio di episodi di The Mandalorian. I corsari spaziali non sono una novità, ma la nostra speranza è vedere una versione live action di Hondo Ohnaka, anche se Watts in persona ha ammesso che la sua miniserie non conta comparsate importanti.
Lo Star Wars che ci piace
La nuova miniserie TV su Disney+ non sfoggia un cast da capogiro: i giovani attori, tutti davvero in gamba, sono perlopiù alle prime armi, e gli adulti sono semisconosciuti dalle nostre parti, ma naturalmente spiccano i talenti di Nick Frost (che doppia SM-33 in lingua originale) e soprattutto Jude Law. Quest'ultimo non dovrebbe avere bisogno di presentazioni, ma se ne avete proprio bisogno (seriamente?) è stato Silente nei recenti Animali fantastici e ha interpretato un'infinità di ruoli eccezionali; in Skeleton Crew, Jude Law è Jod Na Nawood, un enigmatico lestofante che aiuterà i bambini col potere della Forza. Naturalmente questa caratteristica ha risvolti importanti, ma forse non quelli che pensate o che fanno credere i trailer.
L'attore britannico instaura subito un'immediata alchimia con i quattro bambini, i quali forse in questi primi tre episodi fanno fatica a entrare in sintonia, ma la storia corre talmente tanto che si potrebbe dire abbiano avuto davvero poco tempo per legare e ci aspettiamo uno sviluppo in piena regola nel resto della miniserie. Passando da un pianeta all'altro, mentre svela le meraviglie della galassia - anche quelle più oscure - Skeleton Crew è una serie mozzafiato e il regista David Lowery (suoi gli eccellenti Storia di un fantasma e Sir Gawain e il Cavaliere Verde) maneggia il secondo e il terzo episodio con grande talento, orchestrando rocambolesche fughe e inseguimenti.
Lo sforzo produttivo è enorme, soprattutto dal punto di vista degli effetti speciali, non tanto quelli in computer grafica quanto il trucco e i costumi. L'impiego massiccio di maschere e protesi - rifinite digitalmente, se necessario - rimanda ancora una volta alla tradizione anni '80 e ai primi Star Wars di George Lucas, che poi è la stessa scuola di Favreau e Filoni: se già le scene di vita quotidiana ad At Attin sono incantevoli, Port Borgo è una vera gioia per gli occhi, soprattutto per la varietà di specie aliene.
Skeleton Crew cattura lo spirito di Star Wars, magari non quello che tutti conoscono fatto di grandi battaglie, duelli con le spade laser e saghe generazionali, ma il senso di meraviglia e di scoperta che caratterizza una buona parte della produzione trasversale, raccontando una storia che omaggia il cinema d'annata con un equilibrio praticamente perfetto, un cast azzeccatissimo e un amore sconfinato per Guerre Stellari.
Se il buongiorno si vede dal mattino, ci aspettiamo grandi cose dalle prossime settimane. È una miniserie molto particolare, che affronta l'universo di Lucas in una maniera originale e coraggiosa, e proprio per questo potrebbe non piacere a tutti. Alla luce delle storie che hanno circondato Jake Lloyd e Ahmed Best ai tempi di Episodio I, speriamo solo che il lato oscuro dei social e del fandom di Star Wars abbia stavolta la decenza di non riversare tossicità sul suo giovanissimo cast di attori.