Bruce Straley ha una carriera impressionante: lavora dall'inizio degli anni '90 nell'industria dei videogiochi dove è entrato come artista, prima di crescere e assumere un numero sempre maggiore di ruoli direttivi. In Naughty Dog esplode definitivamente firmando praticamente tutta la serie di Uncharted e dirigendo anche i lavori su The Last of Us, al cui seguito non prenderà parte attivamente. A Bilbao l'organizzazione di Fun & Serious l'ha invitato per parlare della sua carriera e noi non ci siamo lasciati scappare l'occasione, chiedendogli non solo quello che ha fatto ma anche quello che farà in futuro.
Narrazione e gameplay
Quali sono i momenti della tua carriera che ricordi con maggior piacere? Le soddisfazioni più grandi?
Quando ho iniziato a lavorare a Naughty Dog il livello di talento presente all'interno del team mi lasciò senza parole: fu una sfida adeguarmi a quello standard ma fu anche un processo che mi permise di diventare un professionista migliore, più preciso e attento. Quello è stato di certo un passaggio fondamentale. Quando poi presi la direzione di Uncharted 2, il team veniva da un periodo, quello in cui concludemmo il primo episodio, abbastanza complesso: era stato un ultimo tratto di strada molto difficile, diverse persone lasciarono la compagnia ma quelli che rimasero, seppur scottati da quei problemi, ripresero il lavoro con una rinnovata energia ed esperienza. Si era creata una voglia di dimostrare al mondo cosa sapevamo fare, uno spirito molto positivo che, guardando ad Uncharted, ci dava la consapevolezza di poter realizzare qualcosa di grandioso. In quel periodo lavoravo con persone fantastiche come Amy (Henning) e Neil (Druckmann) con cui creai un rapporto speciale. Con Neil in particolare andavamo fuori a mangiare insieme quasi tutte le sere per parlare di game design e delle nostre idee. Penso che quello fu un altro periodo fantastico e ispirato, c'era una positività che credo si riflettesse molto bene nel gioco.
Al contrario, quali i momento peggiori? Hai ad esempio citato le difficoltà delle battute finali dello sviluppo di Uncharted...
Quel periodo fu complesso, c'erano delle incertezze. Però non lo definirei negativo, solo difficile. Forse il momento più brutto è stato lo sviluppo di Uncharted 4: era dal primo capitolo che rispondevo alle stesse domande e cercavo di risolvere gli stessi problemi, il mio lavoro proponeva le stesse sfide ancora e ancora. Era difficile presentarsi in ufficio tutti i giorni e, come game director, c'è bisogno di mostrare sempre il proprio volto più positivo e stimolante alle persone con cui lavori. Ero consumato da quanto avevo fatto gli anni precedenti.
Nel mondo dei videogiochi sentiamo spesso questa storia: figure importanti dello sviluppo ad un certo punto smettono, cambiano radicalmente, si prendono delle pause. Come mai avviene questo?
Penso che sia qualcosa che accade in certi ruoli creativi, è la stessa cosa per registi e scrittori che in determinate situazioni sentono il bisogno di addentrarsi in altri sentieri: è una necessità fisiologica ma che, allo stesso tempo, comporta parecchio stress. Se prendi un regista come Wes Anderson, ad esempio, che fa film che hanno molto spesso un tono e un mood simili, probabilmente si esaurisce meno rispetto, non so, a Martin Scorsese che fa film che hanno sempre qualcosa di differente e nuovo, esplorano altre direzioni. Ci sono alcuni creativi che si sentono a loro agio nel ripetere la stessa formula, altri dopo un po' perdono di stimoli e passione.
Penso che molti giocatori riconoscano ai titoli di Naughty Dog la capacità unica di plasmare la narrazione sulle meccaniche di gioco, l'esperienza diventa un tutt'uno. Come si crea questa alchimia?
Premetto che posso parlare solo per me stesso, ovviamente. Innanzitutto lì c'è un team composto da persone che non sono seconde a nessun altro in quanto a capacità e determinazione. Ci fidavamo tutti del lavoro altrui e sapevamo, insieme, di poter raggiungere risultati sulla carta impossibili. Il lavoro iniziato con Uncharted 2 e poi trasportato su The Last of Us, la nostra sfida, era trovare un'integrazione ideale tra narrazione e gameplay. In un bel film c'è sempre un sali e scendi di emozioni, accelerazioni e frenate; lo stesso vale per un videogioco. Se ad esempio il protagonista è sempre sotto attacco, in situazioni di tensione, non ha tempo per riflettere, per procedere nel suo percorso. Io ho cercato di imporre questo sali e scendi in ogni aspetto dei miei giochi, fossero un'ambientazione, un puzzle, una scena di combattimento oppure un filmato. Una scena può trasmettere ansia, paura, rilassatezza e qualsiasi altra emozione, l'importante è capire che queste suggestioni non si devono riflettere solo sulla narrazione, ma possono emergere anche dal gameplay. Se conosci la storia e il personaggio, puoi fare in modo che il giocatore provi le stesse emozioni del protagonista: quello che abbiamo imparato è che né la narrazione né le meccaniche possono arrivare prima, devono entrambe procedere sempre una accanto alle altre.
Hai lasciato Naughty Dog mentre The Last of Us 2 era ancora in alto mare. Cosa ti aspetti dal gioco? Sono sicuro che sarà un gioco grandioso: i sequel sono fantastici perché già sai cosa stai facendo. Uncharted 2 è stato un titolo eccezionale grazie ad Uncharted. Non vedo l'ora di provarlo come giocatore. Non posso parlare liberamente del titolo, però in generale penso che la sfida che hanno dovuto affrontare quando ho lasciato il team sia stata quella di dover mettere altre persone nelle scarpe in cui ero io: le stesse decisioni andavano prese da altri e Neil ha dovuto creare nuove relazioni all'interno del team. Questa necessità sono sicuro che ha fatto emergere una forza positiva nello studio, che li ha spinti a dare dieci volte tanto per creare un prodotto che possa rispecchiare il talento e la volontà delle persone che ci stanno lavorando.
Capisco la difficoltà nel parlare di un titolo che era in produzione mentre ancora lavoravi nello studio. Proviamo con qualcosa che non esiste: come ti saresti immaginato Uncharted 5?
Se fossi ancora in Naughty Dog e se mi chiedessero di lavorare ad Uncharted 5, due enormi 'se' ovviamente, penso che approfondirei di più il concetto di avventura e cosa voglia dire essere un moderno cacciatore di tesori. Vorrei esplorare l'idea che sparare ai nemici è un'ultima, disperata soluzione piuttosto che la maniera principale per avanzare all'interno del gioco. Uno strumento difensivo piuttosto che offensivo. L'idea di caccia al tesoro vorrei quindi declinarla all'interno del gameplay, cercando di fare in modo che il giocatore possa davvero provare il senso della scoperta. Mi piacerebbe che non fossero il gioco o Nathan Drake a interpretare gli indizi e a trovare le soluzioni, piuttosto che fosse l'utente a farlo.
Cosa stai facendo?
Ho alcune idee. Sto cercando di capire che tipo di gioco, di squadra e di valori dovrebbe avere un team, qualora dovessi fondarne uno. Sto cercando di fare il punto su quanto imparato in Naughty Dog, su quello che magari in quell'ambiente, come in tanti altri, non funziona. Per poi fare meglio. Penso sia necessario trovare un equilibrio per cui le persone con cui lavori mantengano giorno dopo giorno la stessa passione.
Sei stato abbastanza vago. Facciamo così: ti immagini più a fare un indie game o un AAA?
Faccio solo giochi che vorrei giocare io stesso e sono anni e anni che non ho voglia di provare titoli che durano 20 o 30 ore. Penso che tutti i giochi che ho amato di più negli ultimi anni duravano da una a cinque ore. Dal 1991, quando ho iniziato a lavorare nel mondo dei videogiochi, mi impegno unicamente su titoli che hanno un protagonista molto forte al centro, sempre in terza persona, quindi vorrei andare avanti evolvendo la mia filosofia e quello che ho imparato in tutto questo tempo. Lo so, sono stato molto vago anche in questo caso...