Andrzej Sapkowski non voleva diventare uno scrittore. Ossia, probabilmente non desiderava altro, ma non ci sperava più di tanto. Precisiamo, ci sperava moltissimo, come del resto fanno tutti quelli che decidono di trasformare le loro idee in racconti, ma non lo ammetterà mai perché, semplicemente, non credeva che sarebbe mai successo. Nella sua testa era solo un avido lettore di letteratura fantasy senza alcuna ambizione. Ovviamente queste sono principalmente nostre speculazioni, fatto sta che la saga letteraria con protagonista Geralt di Rivia, quella che oggi conosciamo come la saga di The Witcher, sembra essere prima di tutto una specie di percorso lungo in cui Sapkowski ha preso coscienza delle sue stesse potenzialità: dopo un timido esordio, la partecipazione a un concorso letterario con un singolo racconto, arrivano i primi riconoscimenti e parte la fase di esplorazione, che si esprime nelle due raccolte Il Guardiano degli Innocenti e La Spada del destino, il cui ordine di pubblicazione è inverso rispetto a quello di scrittura, come se il mondo di Geralt avesse iniziato a prendere una forma più compiuta in itinere, richiedendo una revisione completa di ciò che era già stato narrato. Con il successo Sapkowski scopre Sapkowski e inizia a puntare più in alto, verso i suoi modelli letterari di riferimento, Tolkien su tutti.
È in questa fase che le idee abbozzate nei primi due libri vengono trasformate in una saga dal respiro più ampio e della visione più compiuta, in cui l'identità dell'autore e la storia della sua terra entrano prepotentemente in scena.
Identità
Non abbiamo tirato in ballo il concetto di identità a caso, perché crediamo che sia fondamentale per capire l'unicità della saga di The Witcher. Sapkowski è un autore polacco e i suoi libri sono pieni di echi della storia della sua nazione. Considerate che sono stati scritti tra il 1990 e il 1999, ossia in quel turbolento periodo che ha visto il crollo del blocco sovietico e la ridefinizione completa degli equilibri mondiali, economici, politici e culturali. Improvvisamente era finita la Guerra Fredda e la contrapposizione tra mondo comunista e mondo capitalista, che aveva tenuto banco dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, non esisteva più. In Polonia quelli sono gli anni della salita al potere di Solidarność e di una serie di riforme che mutarono profondamente l'assetto sociale ed economico dello stato polacco, tanto che nel 1999 riuscì a entrare nella NATO, primo tra i paesi dell'ormai ex-blocco sovietico a essere ammesso.
Nei libri di Sapkowski c'è tutta la turbolenza vissuta dalla Polonia di quegli anni, ben rappresentata dal cinismo dei suoi personaggi e dalla perdita di un orizzonte comune dei vari regni, perennemente in guerra e capaci di ritrovarsi solo nell'odio per i mostri. Geralt è un eroe che vive al limite tra gli umani e i mostri: non è più né l'uno nell'altro. Caccia i mostri per gli umani, ma viene disprezzato dagli umani come mostro. Si è creato un suo codice etico per non dover compiere azioni che lo ripugnano, l'unica legge che segue in ogni occasione. I regnanti chiedono i suoi servigi per poi trattarlo da paria quando ne hanno tratto il giusto beneficio. Tutte le figure che si incontrano nei romanzi di Sapkowski sembrano uscire da fiabe distorte (a volte in senso oggettivo) di un mondo ormai alla deriva.
Temi
Probabilmente è proprio la visione dell'identità frammentata della Polonia di quegli anni, implicita nell'opera di Sapkowski, ad aver risonato negli sviluppatori di CD Projekt Red, polacchi anch'essi. La grandezza dei tre The Witcher nasce anche dal fatto che hanno maneggiato del materiale che sentivano proprio in modo quasi viscerale. Certo, i libri di Sapkowski, e di conseguenza i videogiochi, sono pieni di temi contemporanei, come ad esempio il razzismo, il ruolo dell'individuo nella società e nel mondo, il terrorismo, tanto per citarne alcuni tra i più evidenti e profondi, ma vengono svolti in modo unico proprio perché forti di un'identità di partenza che ne amplia la portata al di là della retorica comune e di quella del fantasy stesso, rendendoli peculiari.
Poi ovviamente c'è anche tutto il resto, ossia lo spessore dei personaggi maschili e femminili, la rottura consapevole di alcune tradizioni del fantasy, il sesso, l'ironia che in alcune occasioni sfocia nell'umorismo, la magia, gli intrighi di potere, l'amicizia, i sentimenti e quant'altro. Pensando alla serie Netflix di The Witcher in arrivo in questi giorni la speranza è che parta da tutto questo, evitando il più possibile il folklore fantasy fine a se stesso. Il materiale visto finora (trailer, immagini, interviste) è rassicurante da questo punto di vista: il lavoro fatto per portare le avventure di Geralt su Netflix sembra orientato alla qualità, più che al mero sfruttamento di un universo amato dal grande pubblico. Chi ha già potuto vedere la prima stagione ne sta parlando davvero bene, quindi almeno le premesse sono davvero ottime. Chissà se gli autori saranno riusciti a mantenere le peculiarità che abbiamo illustrato o se avranno puntato ad altro. Per scoprirlo, non resta che attendere il 20 dicembre 2019, quando The Witcher sarà disponibile su Netflix in tutto il mondo, Italia compresa.