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Hogwarts Legacy: gli open world single player li finiscono in pochi, facciamocene una ragione

Gli open world single player come Hogwarts Legacy sono molto desiderati, ma sono pochi quelli che li portano a conclusione.

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   21/03/2023
Hogwarts Legacy: gli open world single player li finiscono in pochi, facciamocene una ragione

Pare che Hogwarts Legacy sia stato finito da meno del 30% di quelli che lo hanno acquistato. Non è un dato stupefacente, in realtà, come abbiamo sottolineato anche nella notizia in cui lo abbiamo riportato, ma vedere confermato per l'ennesima volta che i giocatori non finiscono i giochi single player, in particolare quelli open world molto lunghi, fa sempre il suo effetto.

Comunque sia vale la pena di ribadire l'esistenza di questa strana malattia del settore per cui molti giocatori chiedono giochi sempre più lunghi, che però portano a termine sempre meno persone. Open world da 50, 60, 80, 100, 200, 500 ore. Chi più ne ha più ne metta. Peccato che la maggior parte dei loro contenuti saranno fruiti solo da pochi. Del resto uno dei diritti inalienabili di un giocatore è scegliere se giocare o no, anche se farlo fino in fondo o meno, quindi non c'è poi chissà quale scandalo dietro a tanti abbandoni. Sono scelte che si fanno. Ma perché non si arriva fino alla fine?

Guardando ai moderni open world i mali che li riguardano sono abbastanza noti. Prendiamo proprio Hogwarts Legacy: il mondo di gioco è sì bello, ma le cose da fare sono poche e molto ripetitive. L'impegno richiesto al giocatore è minimo (in fondo si tratta di seguire qualche icona), ma decisamente prolungato. Probabile che molti, dopo l'entusiasmo iniziale per aver visto esaudirsi il desiderio di diventare dei maghetti, si siano stancati di fare sempre le stesse cose per ore e ore e piano piano abbiano abbandonato il gioco per qualcos'altro (magari promettendosi di riprenderlo più avanti... la classica promessa che di tanto in tanto noi videogiocatori ci facciamo sapendo bene che non la manterremo). Non è uno scenario così atipico come potrebbe sembrare. Un videogioco che dura più di tot ore è facile che porti l'esperienza a saturazione prima che si sia conclusa, nemmeno per sue colpe particolari, ma per come funzioniamo noi esseri umani e per come la vita e le esigenze di ciascuno si intrecciano con il tempo che dedichiamo a giocare.

Rimane da capire come mai ci sia questa bulimia da tempo di gioco, che porta molti a considerare appetibili solo quei titoli che promettono una longevità estrema, pur a fronte alla consapevolezza che non saranno finiti. Perché non preferirgli esperienze più brevi e intense? Perché arrivare addirittura a considerare queste ultime delle esperienze di serie B? Probabilmente è solo una prospettiva di consumo (giustificare la spesa con il tempo di gioco potenziale) che ci costringe a creare gerarchie che poi, nei fatti, noi stessi sappiamo essere completamente inconsistenti.

Parliamone è una rubrica d'opinione quotidiana che propone uno spunto di discussione attorno alla notizia del giorno, un piccolo editoriale scritto da un membro della redazione ma che non è necessariamente rappresentativo della linea editoriale di Multiplayer.it.