Durante la fase dei rimedi del processo antitrust contro Google, aperta lunedì a Washington, un'affermazione inattesa ha catturato l'attenzione di tutti: OpenAI si è dichiarata interessata ad acquistare il browser Chrome, nel caso in cui il tribunale decidesse di imporne la cessione. Lo ha rivelato Nick Turley, responsabile prodotto di ChatGPT, durante la sua testimonianza, riportata da Reuters.
L'ipotesi di uno spacchettamento di Chrome è una delle misure più radicali richieste dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ) per indebolire la posizione dominante di Google nella ricerca online. Già riconosciuta come monopolista dal giudice Amit Mehta nell'agosto 2024, Google è ora al centro di una delle fasi più delicate del processo, in cui si deciderà se e come ristrutturarne il potere.
La strategia di OpenAI e il ruolo della ricerca
Durante l'udienza, Turley ha dichiarato che OpenAI aveva anche tentato di stabilire una collaborazione con Google per integrare l'accesso diretto al motore di ricerca nei risultati di ChatGPT. Tuttavia, la proposta non ha mai preso forma. Attualmente, ChatGPT sfrutta Bing come fonte di ricerca, ma Turley ha ammesso che ci sono stati "problemi di qualità significativi" con un fornitore definito solo come "Provider No.1" - un riferimento implicito, secondo Bloomberg, proprio a Bing o Microsoft.
OpenAI sta lavorando anche a un motore di ricerca proprietario, ma lo sviluppo sta richiedendo più tempo del previsto. L'obiettivo iniziale era quello di coprire l'80% delle ricerche entro la fine del 2025, ma ora la società prevede di raggiungere tale soglia solo tra alcuni anni. In questo contesto, avere accesso a Chrome o al motore di Google diventerebbe un enorme vantaggio strategico.
Cessione di Chrome e licenze per gli algoritmi: i rimedi chiesti dal governo USA
Il governo statunitense ha proposto tre rimedi principali per riequilibrare il mercato:
- Impedire a Google di stipulare accordi di esclusiva per l'impostazione predefinita del suo motore di ricerca.
- Separare Chrome da Google, considerando il browser una "porta d'accesso privilegiata" che da sola genera circa il 35% delle ricerche globali.
- Concedere in licenza a terzi l'accesso all'indice di ricerca di Google e ai suoi dati, per offrire parità di condizioni ad altri motori di ricerca.
Queste richieste sono considerate da Google "estreme" e potenzialmente dannose per i consumatori, mentre il Dipartimento di Giustizia insiste sul fatto che siano essenziali per "rompere il ciclo vizioso" di pratiche anticoncorrenziali che ha garantito a Big G oltre il 90% del mercato della ricerca.