Un'intervista di Alan Moore, il maestro cui dobbiamo alcuni dei fumetti USA migliori di sempre (V for Vendetta, Watchmen, Batman: The Killing Joke, per citare i più noti) sta facendo molto discutere gli appassionati di fumetti e di cinecomics. In particolare alcuni passaggi relativi all'evoluzione dell'industria, e al suo disprezzo per i film di supereroi, sono oggetto di forti dibattiti in rete.
Francamente non stupisce che non sia un grosso appassionato del genere supereroistico, genere che aveva già ampiamente messo in crisi con le sue opere, svelandone i lati più oscuri, ma il suo intervento è stato particolarmente duro ed efficace, nonché capace di evidenziare anche il rapporto culturale malsano, non necessariamente di causa / effetto, che c'è tra il successo dei film con eroi mascherati e l'evoluzione della società.
La domanda che ha scatenato Moore riguarda il suo possibile ritorno al mondo dei fumetti. La risposta è quantomai caustica:
"Non mi interessano più i fumetti e non voglio più averci niente a che fare.
Prima di ritirarmi ho creato fumetti per circa quarant'anni. Quando sono entrato nell'industria dei fumetti ad attrarre era il suo essere un medium popolare, creato per intrattenere la classe lavoratrice, in particolare i bambini. L'industria è cambiata trasformando il fumetto in "graphic novel", con prezzi mirati a persone della classe media. Non ho niente contro la classe media, ma da principio non era un medium per hobbisti di mezza età. Doveva essere un medium per gente che non aveva molti soldi a disposizione.
Oggi molti mettono fumetti e film di supereroi sullo stesso piano e la cosa mi mette in difficoltà. Non vedo un film di supereroi dai tempi del primo Batman di Tim Burton. Penso che abbiano rovinato il cinema e degradato la cultura. Anni fa dissi che vedevo come un segnale preoccupante le file di centinaia di migliaia di adulti per vedere personaggi creati cinquant'anni prima per intrattenere dei dodicenni. Mi sembra che nasconda il desiderio di scappare dalla complessità del mondo moderno, rifugiandosi nella nostalgia e nei ricordi d'infanzia. È pericoloso, perché la popolazione si sta infantilizzando.
Probabilmente è solo una coincidenza, ma nel 2016, l'anno in cui gli americani hanno eletto un satsuma nazional socialista e nel Regno Unito si è votato per uscire dall'Unione Europea, sei dei dodici film più visti erano di supereroi. Non voglio dire che un fenomeno sia causa dell'altro, ma credo che siano sintomi dello stesso male: il rifiuto della realtà e il desiderio di soluzioni semplicistiche e sensazionalistiche."
Abbiamo riportato la risposta in forma integrale, mantenendone la paragrafazione originale, perché, al di là dell'attacco ai cinecomics, ci sembra interessante anche la visione sociale di Moore, da cui deriva tutto il resto, e la strutturazione del suo pensiero. Importante anche il fatto che Moore veda quasi come una colpa l'aver nobilitato il fumetto con i suoi capolavori, concetto che emergerà in una risposta successiva, trasformandoli in oggetti per un pubblico sofisticato che vuole continuare a leggerli una volta cresciuto, senza doversi vergognare della loro origine. Da qui la trasformazione del fumetto in graphic novel e, se vogliamo, il tentativo di nobilitare i cinecomics descrivendoli come ciò che non sono e non saranno mai.
Moore di suo non guarda film di supereroi, a quanto pare, nemmeno quelli considerati più "adulti" come Joker:
"Cristo no, non ne guardo nessuno. Tutti quei personaggi sono stati rubati ai loro autori originali. Tutti. Hanno alle spalle una lunga fila di fantasmi. Nel caso dei film Marvel, Jack Kirby. Non mi interessano i supereroi. Furono inventati nei tardi anni '30 per i bambini e sono perfetti come intrattenimento per ragazzi. Ma se provi ad adattarli al mondo degli adulti, diventano grotteschi.
" E nel mondo dei videogiochi? Moore non ne parla direttamente, visto che non li conosce e probabilmente non gli interessano, ma anche dalle nostre parti non sta succedendo qualcosa di simile? Non siamo vittime della nostalgia, o della retrotopia, per dirla alla Bauman, che ci porta non solo a mitizzare i nostri ricordi, ma anche a consumare prodotti sempre uguali a se stessi, come se cercassimo ogni volta di reiterare le stesse esperienze fatte a dodici anni, senza riuscire a elaborarle e superarle?