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Perché l’industria dei videogiochi non riesce a smetterla di lanciare giochi incompleti?

Nonostante i lanci disastrosi che si susseguono di anno in anno, l'industria dei videogiochi sembra non essere in grado di emanciparsi da certe logiche.

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   01/12/2021

Il 2020 è stato l'anno di Cyberpunk 2077: attesissimo, promosso da un marketing aggressivo, ma a conti fatti uscito sostanzialmente incompleto e pieno di problemi. L'industria dei videogiochi avrà imparato? Macché... siamo nel 2021 e abbiamo tanti altri giochi "problematici" da commentare, ossia Battlefield 2042, Call of Duty: Vanguard (in misura molto minore rispetto agli altri) e la GTA Trilogy, solo per citare alcuni dei più recenti.

Ora, dimentichiamoci che chi sviluppa un gioco non riconosca lo stato del suo lavoro. Magari all'epoca dei primi sistemi si poteva essere accecati dalla mancanza di test esterni e dal fatto che a lavorare sui singoli titoli fossero team formati da pochissime persone, spesso degli sviluppatori solitari. Oggi i giochi tripla A vengono lavorati da centinaia, quando non migliaia di persone e passano il vaglio di tanti occhi, interni ed esterni alla software house, che alla fine si rendono immancabilmente conto di quando un gioco è considerabile pronto o meno. Quindi perché ancora accadono certe situazioni? Perché sempre più spesso dei titoli attesissimi danno come prospettiva quella di essere effettivamente finiti, in termini di sviluppo, dopo mesi, quando non anni, di presenza sul mercato?

In realtà non c'è un'unica motivazione. La più ovvia è che mantenere i team di sviluppo tripla A costa decine di milioni di euro l'anno agli editori. Un rinvio, anche di pochi mesi, significa un aggravio importante per i costi di sviluppo. Quindi si preferisce lanciare un gioco, anche non completo al 100%, per iniziare a recuperare l'investimento ed evitare di far impazzire il budget.

Il secondo fattore da considerare è la felicità degli azionisti: spostare il lancio di un gioco da un periodo festivo a una data successiva, magari nell'anno fiscale seguente, significa implicitamente ridurre i ricavi per l'anno corrente, quindi i dividendi. Per compagnie come EA o Activision, che lanciano sempre meno giochi, focalizzandosi sul farli diventare servizi, i danni di un rinvio sarebbero significativi, soprattutto per prodotti su cui hanno basato buona parte delle previsioni per i bilanci dell'anno fiscale corrente.

Il terzo motivo da considerare è che, se decidi di lanciare un gioco, mettiamo sotto Natale 2021, quando arrivi intorno al periodo del lancio hai già speso ingenti risorse per il marketing, compresi accordi commerciali con altre compagnie, magari per promozioni incrociate. Un rinvio significa buttare via praticamente tutto (o quasi). Pensate ad esempio a Microsoft che aveva già pronto il materiale per il lancio di Halo Infinite nel 2020, compreso quello relativo alle Xbox Series, e non ha potuto modificarlo in corsa, legando così la campagna di lancio delle sue console a un gioco poi uscito l'anno successivo. Microsoft ha scelto di vanificare milioni di dollari per non rischiare di trasformare in un flop il suo titolo di punta, appartenente a uno dei franchise più importanti in suo possesso. Altri non hanno fatto lo stesso.

Purtroppo quando un titolo viene lanciato incompleto a rimetterci sono soprattutto gli sviluppatori, che vengono spesso additati dai videogiocatori schiumanti di rabbia come i colpevoli di tutto, quando magari hanno solo dovuto eseguire degli ordini piovuti dall'alto. Naturalmente ci rimettono anche i giocatori stessi, in particolare quelli paganti, che si ritrovano tra le mani dei titoli pieni di problemi, che saranno fruibili al meglio solo dopo tanti aggiornamenti.

Parliamone è una rubrica d'opinione quotidiana che propone uno spunto di discussione attorno alla notizia del giorno, un piccolo editoriale scritto da un membro della redazione ma che non è necessariamente rappresentativo della linea editoriale di Multiplayer.it.