Secondo un recente articolo pubblicato da Harper's Magazine, Spotify starebbe utilizzando un programma chiamato Perfect Fit Content (PFC) per riempire le sue playlist con brani musicali generici, prodotti da studi di registrazione contrattati per creare tracce a basso costo. Questa pratica, se confermata, favorirebbe la musica acquistata a tariffa fissa rispetto a quella di artisti indipendenti, riducendo significativamente i costi legati al pagamento delle royalties.
Il report afferma che Spotify punterebbe su brani che imitano generi popolari come lo-fi, musica ambient e classica, dandogli visibilità nelle playlist principali. Questo approccio, pur vantaggioso per i bilanci aziendali, comprometterebbe il modello di "meritocrazia dello streaming" che la piattaforma dichiara di promuovere.
Le implicazioni per gli artisti indipendenti
La musica proposta attraverso il programma PFC rappresenta una minaccia per gli artisti, soprattutto per quelli indipendenti, che già ricevono royalties molto basse: tra $0.003 e $0.005 per streaming. Se Spotify dà priorità a contenuti acquistati in blocco a tariffa fissa, gli artisti indipendenti rischiano di essere messi da parte.
Liz Pelly, giornalista di Harper's Magazine, sottolinea come questa pratica "riduce la musica a semplice sottofondo, ignorando la sua importanza culturale e le vite degli artisti che la creano." Questo modello di business sembrerebbe basarsi sull'idea che gli ascoltatori "distratti" non notino la differenza tra musica generica e tracce originali di artisti veri.
Spotify smentisce, ma i dubbi restano
Spotify ha negato le accuse, dichiarando che i curatori delle playlist non sono incentivati a inserire brani del programma PFC. Tuttavia, il report cita testimonianze di ex dipendenti che avrebbero confermato l'esistenza del programma e descritto il malcontento interno legato a queste pratiche.
Inoltre, l'articolo mette in discussione l'impatto della musica generata da intelligenza artificiale (AI) sulle playlist di Spotify. La piattaforma, guidata dal CEO Daniel Ek, è nota per il suo entusiasmo verso l'AI, ma critici ed ex curatori temono che l'uso di tracce AI possa trasformare il catalogo musicale in una massa indistinta di "sfondo musicale" che imita senza offrire valore artistico.