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Videogiochi violenti, stragi, Trump e armi di distrazione

Torna puntuale il vecchio tema dei videogiochi violenti come causa scatenante degli omicidi di massa.

NOTIZIA di Giorgio Melani   —   09/08/2019

Con il duplice omicidio di massa avvenuto a distanza di pochi giorni negli Stati Uniti a El Paso, Texas e Dayton, Ohio, i politici e l'amministrazione Trump hanno tirato fuori dal cassetto il buon vecchio adagio sui videogiochi violenti che causano comportamenti aggressivi e possono essere responsabili di questi tragici eventi. Seriamente, sarebbe il caso di smettere di parlarne, il che è alquanto ironico per una puntata di "Parliamone": il problema che emerge in questi casi è il fatto di fare da cassa di risonanza per questa visione, alimentando il chiacchiericcio su una considerazione che - nonostante gli sforzi - continua a non avere alcuna base scientifica e di fatto facendo il gioco di coloro che vogliono scaricare la colpa sui videogiochi, perché di fatto l'obiettivo di questi è trovare semplicemente un capro espiatorio e spostare l'attenzione dai problemi veri.

Trump ha menzionato la necessità di "fermare la glorificazione della violenza nella nostra società", un concetto che sarebbe anche condivisibile, se fosse basato su una reale intenzione di lavorare sugli elementi che possono alimentare questa glorificazione e farla sfociare in tragedia. Invece il tutto ricade semplicemente sui soliti "videogiochi violenti e cruenti che sono ormai comuni" e forme d'intrattenimento simili, di fatto riportando la discussione allo stesso punto in cui si trovava una trentina d'anni fa, quanto iniziò ufficialmente la lotta di parte della politica e dell'opinione pubblica su questa tipologia di giochi. Il problema è che manca un supporto scientifico e statistico a questa visione, visto che nessuno studio è riuscito a confermare in maniera inequivocabile il collegamento tra l'esposizione ai videogiochi violenti e comportamenti devianti che arrivino alle stragi di massa (d'altra parte, la stessa definizione di mass shooting non è nemmeno del tutto precisa, dunque risulta ulteriormente difficile inquadrare perfettamente l'argomento).

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Sostenere che i videogiochi causino le stragi con armi da fuoco "È come dire che le banane causino il suicidio", ha riferito di recente Chris Ferguson, professore di psicologia alla Stetson University, "letteralmente: i dati che emergono sui collegamenti in entrambi i casi sono praticamente uguali". Tuttavia, nel frattempo la polemica è già montata e sui media si parla di videogiochi violenti, dunque è già stato trovato un colpevole. Tutto questo comporta, tra l'altro, una polarizzazione drastica delle opinioni che non porta assolutamente a nulla di buono e rischia anche di far passare nel torto le difese a spada tratta di appassionati e addetti ai lavori nell'ambito videoludico, magari seppellendo momentaneamente lo spirito critico nei confronti di contenuti e soggetti effettivamente indifendibili nell'impeto iperprotettivo. La discussione regredisce su posizioni inconciliabili e ampiamente sbagliate in entrambi i sensi, con il problema principale che rimane tranquillamente al di fuori dell'analisi.

Ovviamente non vogliamo arrogarci il diritto di indicare quale siano le effettive cause scatenanti di questi episodi - sempre che esista un qualche pattern riconoscibile tra i diversi casi - ma sembra abbastanza ovvio e condivisibile che, se dopo decadi di ricerche non siamo ancora giunti a dimostrare senza dubbio alcuno la connessione tra l'uso di videogiochi violenti e azioni di questo tipo, sarebbe il caso che politica e media guardassero altrove per individuare i "colpevoli". Di ambiti su cui effettuare ricerche ce ne sono a bizzeffe: dalla libera circolazione della armi al sistema educativo, dagli squilibri mentali non opportunamente rilevati e curati alle disuguaglianze di un sistema socio-economico che nasconde numerosi lati oscuri, gli spunti sono veramente tanti e anche molto stimolanti. Da parte nostra, da appassionati di videogiochi, dovremmo cercare magari di non abbandonare una certa visione critica anche in questi casi per non fare proprio il gioco degli "apocalittici".