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The Stanley Parable, recensione

Scopriamo uno dei videogiochi più importanti di sempre

RECENSIONE di Simone Tagliaferri   —   31/10/2013
The Stanley Parable
The Stanley Parable
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Avvertenza: è impossibile analizzare The Stanley Parable senza parlare dei suoi contenuti. Se non volete avere rivelazioni di sorta sulla trama o altro, autoconvincetevi a comprarlo e tornate a leggere qui solo dopo averci giocato a fondo.

Anche la libertà è un'illusione
Anche la libertà è un'illusione

Per comprendere appieno The Stanley Parable bisogna fare un salto indietro fino al 2007, l'anno di pubblicazione di BioShock di Irrational Games. Levine riuscì a dimostrare con una trovata davvero geniale quale sia il ruolo del fruitore all'interno di un videogioco, ribaltando completamente la prospettiva critica sull'argomento. Dopo anni passati a discutere del videogiocatore come agente attivo della fruizione, il cui ruolo per alcuni sarebbe stato addirittura creativo (chi si ricorda i fiumi di inchiostro spesi sul "videogiocatore regista"?) bastò il "Would You Kindly" del Dottor Yi Suchong per far saltare la diga e mostrare la natura effimera delle scelte nel tessuto videoludico, la loro inconsistenza ontologica, nonché il loro essere completamente illusorie, perché sempre previste dal programma. Da creatore, il videogiocatore è stato di fatto retrocesso al ruolo di asino cui basta mettere una carota davanti al naso per farlo andare dove si vuole. Ogni tanto gli permetti di mangiarne una, senza mai portarlo alla sazietà, per poi piazzargliene un'altra davanti e farlo camminare un altro poco, fino a fargli raggiungere la destinazione programmata. Dopo BioShock il tema della natura delle scelte all'interno dei videogiochi è stato ripreso numerose volte ed è diventato oggetto di opere di grande importanza e valore, come l'eccezionale Spec Ops: The Line, dove è stato usato per sezionare il genere degli sparatutto militari, mettendo in scena più la psicologia del videogiocatore medio che li divora voracemente, che dei personaggi rappresentati. Mai nessuno però aveva tentato la strada imboccata dagli autori di The Stanley Parable.

Può un videogioco riflettere efficacemente su se stesso? Il capolavoro The Stanley Parable dice di sì

Cos’è The Stanley Parable?

All'inizio del gioco sappiamo solo che Stanley è nel suo ufficio, davanti al monitor del computer con cui lavora da anni. Ma c'è qualcosa di strano, perché improvvisamente non sta ricevendo più ordini. Il povero Stanley, per la prima volta nella sua vita, è costretto ad alzare la testa dalla sua postazione e a guardarsi intorno. Scopertosi solo, dovrà esplorare gli uffici dell'azienda per cui lavora per scoprire cos'è successo ai suoi colleghi. Ad accompagnarlo c'è soltanto un'ingombrante voce narrante, che descrive con puntiglio e professionalità la sua situazione e gli dice di volta in volta come deve comportarsi.

La vita non è mai quella che sembra
La vita non è mai quella che sembra

Il gameplay è di una semplicità quasi disarmante, visto che Stanley può solo camminare e guardarsi intorno, interagendo di tanto in tanto con pulsanti, leve od oggetti simili (pensate a Dear Esther e siete a cavallo). Tutto però prende una piega diversa già dal primo bivio. Stanley si trova davanti a due porte e deve scegliere o, meglio, il videogiocatore deve scegliere per lui, se passare per quella di sinistra, e far proseguire il flusso regolare della storia, come chiede la voce narrante, oppure andare a destra per vedere cosa cambia violando le regole. È da questo momento che The Stanley Parable svela le sue carte e si mostra per quello che è: la messa in scena compiuta della "teoria delle scelte" esposta nel paragrafo precedente. Ben presto il giocatore è costretto a capire che per quanto possa penare nel decidere, all'interno del gioco non esiste una scelta giusta da compiere e si possono solo seguire una serie di percorsi prestabiliti, che spesso portano a situazioni spiazzanti e inattese. Ogni bivio conduce al disvelamento di un pezzo del puzzle, senza mai mostrarlo nella sua interezza, puzzle che prova a definire la natura stessa dei videogiochi. Non ci sono scelte giuste o scelte sbagliate e non è possibile alcuna ribellione, tranne il rifiuto del gioco, ossia tornare al desktop, come tematizzato in uno dei percorsi (ma non è anch'essa una scelta effimera?). Al giocatore spetta solo di prendere atto del mondo che è stato creato per lui, esplorandolo magari in tutte le sue sfaccettature, ma di fatto subendolo senza poter fare davvero nulla per cambiarlo.

Meta-videogioco

Il sistema ha le idee un po' confuse?
Il sistema ha le idee un po' confuse?

In un contesto simile la stessa ricerca della verità del protagonista assume un significato del tutto particolare, quasi paradossale, perché la chiave di lettura principale non è da ricercarsi tanto in ciò che viene raccontato, quanto nel rapporto tra chi gioca e ciò che accade, ossia nel continuo tentativo del videogioco di relazionarsi con il terzo personaggio in campo, cioè il videogiocatore stesso, tirandolo a forza all'interno della rappresentazione. Per fare questo la voce narrante/sviluppatore si rivolge non tanto a Stanley in quanto tale, ma al videogiocatore in quanto colui che controlla Stanley, impedendogli di fatto ogni forma di immedesimazione e favorendo lo straniamento completo. L'intera opera diventa quindi un dialogo continuo tra un'entità impalpabile ma immanente (lo sviluppatore) e il fruitore, sfruttante come canale un personaggio extra-diegetico (la voce narrante) che parla all'unico agente virtuale attivo nel mondo di gioco, ossia Stanley. Volendo è un po' quello che succedeva nel primo Metal Gear Solid di Hideo Kojima, quando il giocatore era chiamato a cambiare la porta del joypad per riprendere il controllo di Snake, così da poter sconfiggere il boss Psycho Mantis, ossia quando il gioco di Hideo Kojima svelava la sua natura nel modo più plateale che si fosse mai visto.

Spieghiamo brevemente il “Would you kindly?”

Fate attenzione: questo box contiene delle anticipazioni sulla trama del primo BioShock. Maneggiare con cura.

Nelle prime fasi del primo BioShock, il protagonista Jack veniva motivato ad agire dalle gentili richieste di Frank Fontaine, definibile come una specie di quest giver, che iniziavano sempre con la stessa formula: "Would you kindly?"
Andando avanti nella trama si scopre che quella frase è in realtà un codice di attivazione creato dal Dr. Yi Suchong per controllare le azioni di Jack. Serve per usarlo come arma contro Andrew Ryan, il padre di Rapture (e di Jack), la città sommersa in cui è ambientata la storia.
Ovviamente la questione non è così semplice. Nel momento della scoperta, il giocatore, ossia colui che controlla realmente le azioni di Jack, è costretto a rendersi conto di aver eseguito esattamente gli ordini di Fontaine, senza poterli discutere in alcun modo e senza che nessuno lo avesse obbligato a farlo. Il problema è che non farlo avrebbe significato uscire dal gioco, ossia rifiutare l'ingresso nella finzione videoludica. Il giocatore si ritrovava così, suo malgrado, a essere una marionetta nelle mani del game designer.

L'inevitabile bellezza

Nei videogiochi non esistono vere scelte
Nei videogiochi non esistono vere scelte

Forse, volendo trovare una debolezza in The Stanley Parable, si potrebbe parlare dell'eccessiva didascalicità con cui vengono affrontati alcuni temi, al punto da far percepire chiaramente la paura degli autori, in parte legittima, di non essere compresi appieno nel loro messaggio. In un certo senso manca di sottigliezza, anche se va detto che la materia trattata è davvero complessa e mai si era fatto un tentativo così diretto di metterla in scena all'interno di un videogioco. Quindi alcuni eccessi esplicativi della scrittura sono in buona parte giustificati e si possono accettare senza troppi drammi (non ci sentiamo di penalizzarlo per questo). Per il resto rimanete voi, cari videogiocatori, e la vostra voglia di farvi coinvolgere da un titolo del genere. Provatelo, perché potreste viverlo davvero come una rivelazione, capace di ribaltare il vostro punto di vista su quello che supponiamo essere uno dei vostri hobby preferiti. The Stanley Parable è un tassello fondamentale per comprendere le moderne teorie sui videogiochi e per capire la natura dell'azione del videogiocare. Perché? Intanto perché lo fa dall'interno di un videogioco. Non è cosa da poco, visto che ogni linguaggio può essere considerato veramente evoluto quando sviluppa i mezzi espressivi per riflettere su se stesso. Inoltre perché mostra come il linguaggio videoludico possa essere usato efficacemente per creare opere fortemente riflessive, senza doversi sentire il cugino scemo di letteratura, cinema, teatro e di tutte le altre arti. Anche questo, se permettete, è un merito che va sottolineato.

Requisiti di Sistema PC

Configurazione di Prova

  • La redazione usa il Personal Computer ASUS CG8250
  • Processore Intel Core i7-3770K @ 3.50GHz
  • 16 GB di RAM
  • Scheda video NVIDIA GeForce GTX680

Requisiti minimi

  • Sistema operativo: Windows XP
  • Processore: 3.0 GHz P4, Dual Core 2.0 (o superiore) o AMD64X2 (o superiore)
  • RAM: 2 GB
  • Scheda video: Scheda video con 128MB di VRAM compatibile con DirectX 9.0C e con supporto per Pixel Shader 2.0b (ATI Radeon X800 o superiore / NVIDIA GeForce 7600 o superiore / Intel HD Graphics 2000 o superiore - *NON* una scheda video Express)
  • Spazio su disco: 3 GB
  • DirectX: 9.0c

Conclusioni

Versione mostrata: PC Windows
Digital Delivery: Steam
Prezzo: 11,99€
Multiplayer.it
9.5
Lettori (175)
8.8
Il tuo voto

Mettersi a discutere di voti riguardo a The Stanley Parable è davvero risibile. Però in questo contesto un voto va dato e non ci si può tirare indietro. Leggete il 9.5 come un modo per valorizzare l'eccezionalità del gioco e consigliarlo davvero a tutti, senza distinzioni. Ma no dai, non esageriamo. Quasi quasi portiamo tutto a 4.0 così scappate e non ci pensiamo più. Insomma, la scelta finale spetta a voi... sempre che non si tratti di un'altra scelta illusoria e che qualcuno non abbia già scelto per voi.

PRO

  • La più compiuta riflessione sui videogiochi fatta attraverso un videogioco
  • Alcuni momenti sono davvero sorprendenti
  • Per alcuni avrà l'effetto di una rivelazione

CONTRO

  • Forse cerca di spiegare troppo la sua natura di meta-videogioco