Non c'è dubbio che Minecraft abbia spianato la strada a tante produzioni, per lo più indipendenti, che hanno esplorato il tema della sopravvivenza e le sue molteplici sfaccettature. Nel caso di Don't Starve, disponibile su Steam dallo scorso aprile, al centro del gameplay c'è - come suggerisce il titolo - l'evitare di morire di fame;
tuttavia non si tratta che di uno degli aspetti dell'esperienza, che ci vede improvvisamente proiettati nel mezzo di una foresta inospitale, con l'incombenza di provvedere a tre bisogni fondamentali (nutrirsi, preservare la propria incolumità fisica e mentale) che possono essere soddisfatti in tanti più modi quanto più è lunga la nostra permanenza nel mondo dei vivi. Il personaggio che controlliamo inizialmente, Wilson, non è un uomo d'azione, bensì un mite scienziato che decide di sfruttare le proprie conoscenze per sopravvivere a questa dura prova, e lo fa prima raccogliendo piante, erba e sassi, così da costruire una rudimentale accetta; poi abbattendo qualche albero per ottenere tronchi di legno con cui alimentare torce o fuochi da campo, indispensabili per affrontare la notte ed eventualmente cuocere le prede che riusciamo a catturare approntando delle trappole. Il tutto nell'arco di una giornata che scorre ovviamente a ritmo accelerato e che alterna ore diurne in cui procurarsi i materiali e cacciare, ore serali in cui mettere a punto gli ultimi preparativi e ore notturne in cui riposare davanti al fuoco, facendo attenzione a non avventurarci mai nell'oscurità senza una fonte di luce. Nel buio, infatti, si annidano creature terribili e misteriose, che non impiegano che pochi secondi per ferirci a morte. E, a proposito di morte, questo concetto in Don't Starve appare quanto mai definitivo.
Don't Starve propone un'esperienza survival interessante, ricca e particolare, anche se ripetitiva
P-p-p-p-p-p-permadeath!
Ebbene sì, abbiamo a che fare con un survival puro e duro, che mette alla prova tanto la nostra tenacia e la nostra inventiva quanto la nostra pazienza, visto che vige il regime della permadeath, la morte definitiva, e ciò significa che al game over perderemo tutti i progressi fatti e tutti gli oggetti ottenuti, con l'obbligo di ricominciare da capo alla partita successiva.
L'unico elemento di progressione in Don't Starve è rappresentato dai punti esperienza, che si accumulano raggiungendo una durata sempre maggiore e consentono di sbloccare altri otto personaggi, ognuno dotato di abilità peculiari. C'è ad esempio la ragazzina piromane, che non si ferisce quando entra in contatto col fuoco, oppure il forzuto da circo, letale con una mazza in mano ma al contempo estremamente timoroso del buio, e così via. Testare queste variabili è certamente interessante, ma rimane il problema di fondo della perdita dei progressi ogni volta che si muore. Ci sono titoli in cui la durezza di una scelta del genere viene smussata dalla possibilità di cercare e recuperare gli oggetti perduti dal nostro "predecessore", oggetti che peraltro saltano via quando veniamo uccisi, ma in Don't Starve purtroppo ciò non è possibile e bisogna effettivamente rassegnarsi a rifare tutto. Con maggiore consapevolezza, certo, e con un'idea più chiara degli oggetti avanzati che possiamo costruire una volta raccolti determinati elementi; ma pur sempre con l'obbligo di ripetere ancora e ancora la tediosa fase della partenza, il che rende l'esperienza da una parte frustrante, dall'altra inevitabilmente ripetitiva.
Trofei PlayStation 4
Don't Starve include solo dieci Trofei, la maggior parte dei quali ottenibile semplicemente dedicando un po' di tempo al gioco. Otto trofei vengono infatti assegnati semplicemente sbloccando i vari personaggi, mentre gli altri due, segreti, si ottengono costruendo e utilizzando una delle strutture più complesse a disposizione.
Ok, però...
La permadeath, quantomeno nella sua accezione più dura e spietata, rappresenta insomma un fattore decisivo rispetto alla fruibilità di questo interessante indie game, che potreste odiare in modo assoluto oppure amare alla follia, a seconda di ciò che riuscirete a vedere nella sua offerta.
Perché diciamolo, Don't Starve ha tanto, tantissimo da dare a chi decide di accettare le sue condizioni. Si parte da un comparto grafico stilisticamente peculiare e gradevolissimo, una sorta di rappresentazione in cartoncino di un libro di fiabe creato da Tim Burton, con personaggi e creature estremamente bizzarri, che si muovono in un mondo generato da un sistema procedurale che rende ogni partita diversa dall'altra e che può essere personalizzato dalla schermata delle opzioni perché presenti più o meno mostri, più o meno alberi, una stagione differente e così via.
A corredo abbiamo un accompagnamento sonoro all'altezza della situazione, privo di voci reali (i "dialoghi" sono dei suoni vagamente simili a quelli di The Legend of Zelda) ma con musiche ben fatte e di grande atmosfera. E poi naturalmente c'è il gameplay, sulle prime reso un po' ostico dalla configurazione dei controlli, con i dorsali che aprono un menu "a croce" che nella colonna a sinistra mostra le varie categorie di oggetti che è possibile costruire, nella riga in basso le risorse raccolte, accumulate per tipologia. I menu si navigano usando gli stick analogici e presentano per ogni oggetto varie opzioni, attivabili agendo sula croce direzionale, dunque viene da sé che all'inizio ci si senta un po' impacciati e sia necessario del tempo per familiarizzare con questa impostazione. Superato tale ostacolo, però, le cose ingranano rapidamente e si entra subito nel meccanismo di crafting che rende così gradevole l'esperienza di Don't Starve, visto che le cose che è possibile costruire sono tantissime e si fanno più complesse man mano che la nostra sopravvivenza si protrae col passare dei giorni virtuali. Peccato per la mancanza di una traduzione dei testi in italiano, infine.
Conclusioni
Don't Starve è stato senza dubbio come uno degli indie game più interessanti del 2013, e il suo debutto su PlayStation 4 andrebbe accolto con grande entusiasmo, anche perché gli utenti Plus possono scaricarlo gratuitamente. L'avventura di Wilson in questa sorta di isola delle fiabe, popolata da creature strane e talvolta inquietanti, da una parte segue i canoni più spietati del genere survival, con l'implementazione di una permadeath che costringe a ricominciare da capo a ogni game over e dunque a ripetere tantissime volte le stesse fasi iniziali (al netto di uno scenario generato in modo procedurale, e che dunque presenta caratteristiche sempre differenti); dall'altra offre tantissimi spunti interessanti in termini di loot e crafting, con situazioni che si fanno man mano più complesse e coinvolgenti. Potreste odiarlo o innamorarvene, noi ne abbiamo sicuramente apprezzato i pregi.
PRO
- Stilisticamente particolare e gradevolissimo
- C'è tanto spessore dietro l'iniziale semplicità
- Nove personaggi differenti e qualche variazione sul tema...
CONTRO
- ...ma l'azione risulta inevitabilmente ripetitiva
- La permadeath è spietata e costringe ogni volta a ricominciare da capo
- Buona trasposizione dei controlli, ma sulle prime si fa un po' fatica